21 ottobre 2008

La Scrittura come esperienza di Cristo nell'insegnamento di sant'Ambrogio (Inos Biffi per l'Osservatore Romano)


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La Scrittura come esperienza di Cristo nell'insegnamento di sant'Ambrogio

La parola che si mangia e si beve

di Inos Biffi

Tutti i padri hanno commentato la Scrittura, fonte immediata della loro predicazione e catechesi e della loro teologia. Come del resto sarà per larga parte nel medioevo, dove la sacra pagina rappresentava il principio e il testo base della lectio scolastica, dal quale si verranno sviluppando le diverse glosse, e quindi le quaestiones e le disputationes.
Ma un tratto particolare contraddistingue la teologia e la spiritualità biblica di sant'Ambrogio, che largamente attinse al metodo di Origene, con la sua distinzione tra la "lettera" e lo "spirito" della Bibbia, tra l'apparenza esteriore e il midollo interiore, ed è la lettura cristologica del libro sacro.
Accostarsi alla Scrittura per il vescovo di Milano non è un puro esercizio di informazione o di cultura, ma una profonda esperienza spirituale, una reale comunione con Gesù Cristo; e, infatti, essa non è tanto una fonte di informazioni sul passato, un repertorio di concetti e di dottrine, ma il luogo di esperienza del Verbo, d'altra parte secondo la persuasione che la Bibbia è tutta attraversata dall'attuale presenza di Gesù, quasi un suo sacramento.
Secondo Ambrogio (De paradiso) il passeggiare di Dio nel paradiso terrestre (Genesi, 3, 8) significa la sua presenza e il suo aleggiare "nel corso degli avvenimenti narrati dalle divine scritture"; ma, ugualmente, nelle medesime Scritture, è presente e aleggia Gesù Cristo. Ambrogio, infatti, commentando il salmo 39, esclama: "Io ti attendevo, Signore Gesù, e tu finalmente sei giunto; nel vangelo hai indirizzato i miei passi, hai infuso nella mia bocca un canto nuovo: il Nuovo Testamento".
Veramente, già prima di giungere nel Nuovo Testamento, Gesù era presente nell'Antico: la Scrittura egli la percorre tutta, non solo perché vi si trova raffigurato, ma perché vi è già realmente anticipato. Egli già agisce e parla nei grandi eventi e nei protagonisti dell'attesa. Nell'Antico Testamento - secondo la lettura che è comune ai padri ma con un tono e un sentimento tutto santambrosiano - è soprattutto Gesù che si riscontra, che viene preveduto ed è motivo della speranza del perdono: Davide "aveva sete del sangue di Cristo (...), aveva sete del sacrificio di Cristo (...), in cui sarebbe avvenuta la remissione dei peccati"; i suoi occhi in pianto prevedevano lui; se i suoi occhi erano sempre volti al Signore, vuol dire che "era sempre sotto lo sguardo di Cristo"; se pianse a lungo è perché rimase a lungo "sotto lo sguardo del Signore", "arbitro del perdono". C'è, tra le opere di sant'Ambrogio, una pagina, che specialmente illustra questa presenza di Gesù Cristo e quindi la possibilità di un vivo contatto con lui nella Scrittura, espresso con l'efficace e concreta immagine del "bere": "Bevi per prima cosa l'Antico Testamento - egli esorta nel commento al 1 salmo - per bere poi anche il Nuovo Testamento (...). Bevi tutt'e due i calici, dell'Antico e del Nuovo Testamento, perché in entrambi bevi Cristo. Bevi Cristo, che è la vite; bevi Cristo, che è la pietra che ha sprizzato l'acqua. Bevi Cristo, che è la fontana di vita; bevi Cristo, che è il fiume la cui corrente feconda la città di Dio; bevi Cristo, che è la pace; bevi Cristo, che è "il ventre da cui sgorgano vene d'acqua viva": bevi Cristo, per bere il suo discorso. Il suo discorso è l'Antico Testamento, il suo discorso è il Nuovo Testamento. La Scrittura divina si beve, la Scrittura divina si divora, quando il succo della parola eterna discende nelle vene della mente e nelle energie dell'anima".
Come si vede, dichiarando la presenza di Cristo, quando si proclama la Scrittura, la Sacrosanctum Concilium (7) non fa che recuperare una persuasione antica.
Ma qui possiamo aggiungere un'osservazione: propriamente, non è la Scrittura, come libro, a "sostenere" e a creare la presenza di Gesù Cristo; al contrario, è Gesù Cristo che dà consistenza al libro e lo rende sempre vivo e attuale: l'eterna Parola è lui personalmente; la Bibbia è un suo segno: il "culto" non sarà mai rivolto al libro, bensì a Gesù Cristo, che percorre il libro, destinato a essere la sua ispirata e infallibile mediazione. A ragione ne Le paysan de la Garonne Jacques Maritain condannava la "bibliolatria". Un cristiano, inoltre, è consapevole che essa non è un testo "privato", offerto all'autonoma esegesi del singolo credente, ma un dono affidato da Cristo alla sua Chiesa, dove la Bibbia vive ed è commentata sotto la luce dello Spirito e con la guida di quanti hanno ricevuto il carisma e la missione del magistero.
Senza dubbio, è il singolo fedele che la deve assimilare e lasciarla crescere dentro di sé, quasi conferendole una molteplicità e un incremento di significati, disvelandone, secondo la propria intelligenza e le proprie necessità, gli infiniti e stupendi segreti in essa contenuti, ossia scoprendo tutte le risorse che, di là dalla "lettera", sono nascoste nello "spirito" della Scrittura.

(©L'Osservatore Romano - 20-21 ottobre 2008)

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