21 ottobre 2008

Nel suo discorso ai chirurghi, ignorato dai media, il Papa ha integrato Ippocrate nel punto cruciale della bioetica (D'Agostino)


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IMPORTANTE DISCORSO DEL PAPA ALLA SOCIETÀ DI CHIRURGIA

Ha integrato Ippocrate nel punto cruciale della bioetica

FRANCESCO D’AGOSTINO

Il discorso che Benedetto XVI ha rivolto ai partecipanti al 110° Congresso nazionale della Società Italiana di Chirurgia è rilevante sotto diversi profili. Da una parte conferma, con toni fermi e lucidissimi, i punti essenziali della tradizione ippocratica: ogni essere umano, nato o non nato, sano o malato, possiede un valore incondizionato e la sua dignità esige un rispetto altrettanto incondizionato; esistono certamente malati che la medicina è costretta a ritenere non guaribili, ma non esistono malati che vadano ritenuti non curabili, la cui sofferenza cioè non possa essere alleviata; il rapporto tra medico e paziente non può ridursi a una relazione burocratica, governata da progetti terapeutici corretti ma freddi: esso deve, primariamente, esprimersi nella forma di un’alleanza terapeutica, in un rapporto caldo e personale, ispirato ad una mutua fiducia, all’interno del quale il paziente percepisca «di essere nella mente e nel cuore del medico che lo cura» ed il medico a sua volta percepisca il rispetto che il paziente gli deve, come a colui che ha come propria motivazione fondamentale quella di operare per quel bene obiettivo che è la vita. Sotto un altro profilo, però, il discorso del Papa va oltre la tradizione ippocratica: non nel senso che la neghi o la superi, ma nel senso che la integra in un punto cruciale, che è poi uno di quelli che hanno attivato e giustificato il sorgere della bioetica. L’estrema complessità della medicina moderna e l’incredibile ventaglio delle odierne possibilità terapeutiche offrono infatti nuovi e inediti spazi all’autonomia del paziente, che non può non diventare «collaboratore attivo e responsabile del trattamento terapeutico».

Questo punto è cruciale e il Papa lo tratta con particolare lucidità, fissando tre punti sui quali merita portare l’attenzione. In primo luogo, egli sostiene, «bisogna guardare con sospetto qualsiasi tentativo di intromissione dall’esterno in questo delicato rapporto medico-paziente».

L’allusione ad una legislazione invasiva, che svuoti la deontologia medica, che stabilisca o imponga procedure medicalmente non giustificate, che attribuisca o al medico o al paziente poteri che loro non competono è un rischio reale, di cui non tutti hanno ancora preso adeguatamente coscienza. In secondo luogo, afferma il Papa, «è innegabile che si debba rispettare l’autodeterminazione del paziente». Questa affermazione apparirà a molti bioeticisti (anche di formazione cattolica) particolarmente pungente: speriamo che essa chiuda una volta tante recenti e gratuite polemiche. Il rispetto per l’autodeterminazione del paziente, insiste però il Papa, e questo è il terzo punto su cui va richiamata la nostra attenzione, non va confuso con una «esaltazione individualistica dell’autonomia», che non può non portare ad una lettura impoverita ed astratta della realtà umana. La bioetica fatta non a partire dalle teorie dei manuali, ma dalla concreta presenza accanto ai letti dei malati, ci insegna infatti che ogni paziente, e in particolare il paziente anziano o terminale, non è un soggetto forte, sereno e determinato, ma un soggetto debole, fragile, facilmente influenzabile, spesso intimorito dalla previsione di quanto potranno essere onerose le cure da somministrargli e la cui prima esigenza è quella di non essere abbandonato. L’assoluto dovere del medico di rispettare l’autodeterminazione del paziente va sempre coniugato con l’altro dovere, per lui parimenti assoluto, di impegnare la sua competenza a favore e non contro la vita. Il tutto a partire da un principio inoppugnabile: in molti casi, e soprattutto nei casi estremi, è solo al medico (e non al paziente!) che è concessa la corretta valutazione della situazione clinica del malato. È facile prevedere che queste parole del Papa deluderanno sia gli astratti fautori di un’autodeterminazione ad oltranza, inevitabilmente destinata a divenire coercitiva nei confronti dei medici, sia gli snobistici fautori di una concezione della medicina come sapere elitario, autoreferenziale, 'non negoziabile'. Si tratta di due posizioni parimenti inaccettabili, perché irriducibili, per diversi motivi, a quell’orizzonte di alleanza terapeutica nel quale dobbiamo calare la medicina contemporanea, se vogliamo salvarla dal rischio di indebite esasperazioni tecnologiche. Il Papa, insomma, ha riportato i dibattiti bioetici dall’etereo cielo delle controversie morali (peraltro inevitabili e affascinanti) al terreno, umile e dolente, delle scelte tragiche che quotidianamente paziente e medici sono chiamati ad elaborare congiuntamente. È un alto insegnamento di bioetica clinica quello che il Papa ha offerto a tutti e in particolare a coloro, come il sottoscritto, che cedono spesso alla tentazione di privilegiare in bioetica approccio filosofici e dottrinali.

© Copyright Avvenire, 21 ottobre 2008

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