21 ottobre 2008
Preservare la dignità del malato, favorendo la solidarietà tra il medico e il paziente: il Prof. Saraceni commenta il discorso del Papa ai chirurghi
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Preservare la dignità del malato, favorendo la solidarietà tra il medico e il paziente: il commento del prof. Vincenzo Saraceni, all’indomani del discorso del Papa ai chirurghi
Umanizzare la medicina, favorendo un’“alleanza terapeutica” tra medico e paziente: è il cuore del discorso che Benedetto XVI ha rivolto ieri ai partecipanti al Congresso dei chirurghi italiani. Nel suo intervento, il Papa ha ribadito che la dignità del malato va sempre preservata e che la tecnologia non può sostituire l’amore nella cura del sofferente. Su questo passaggio del discorso di Benedetto XVI si sofferma il prof. Vincenzo Saraceni, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, intervistato da Alessandro Gisotti:
R. - Mi sembra che al centro del suo intervento ci sia il rispetto del malato. Il rispetto del malato significa il rispetto della sua dignità, sempre. Qualche volta i malati hanno la sensazione soggettiva di trovarsi in una condizione di non dignità e questo dipende dallo sguardo col quale, qualche volta, i medici si accostano al malato. Talvolta, i malati hanno la sensazione che i medici tolgano lo sguardo dalla loro condizione. Quindi, anzitutto serve il rispetto della dignità e, secondo, il rispetto della loro storia. Anzi, dice il Pontefice, questa storia, se viene accolta, può anche aiutare il medico a fare meglio la diagnosi. A volte, noi medici andiamo di corsa, non abbiamo questa pazienza di ascoltare. Terzo punto, la storia familiare. Anche questo contesto è un altro richiamo fondamentale per il rispetto del paziente.
D. - Benedetto XVI ha detto che si deve mirare ad una vera alleanza terapeutica con il paziente, specie in un periodo nel quale si insiste sull’autonomia individuale del paziente. Ecco, un richiamo particolarmente attuale...
R. - Deve essere consentita questa solidarietà tra medico e paziente: che entrambi riconoscano la propria fragilità e il proprio destino. Questa relazione di solidarietà può diventare addirittura una relazione di alleanza, se entrambi hanno a cuore il vero bene del malato. Però, da un lato, c’è il malato che ha diritto, dice il Papa, alla sua autodeterminazione, ma questa autodeterminazione evidentemente è finalizzata al bene della persona. Dall’altro, c’è il medico, che deve responsabilmente, e sempre per il bene del paziente, proporre. Con questo termine, il Papa ha voluto mostrare ancora una volta grande rispetto: il medico propone una soluzione terapeutica che il paziente deve accogliere, condividere, perché entrambi hanno questo comune denominatore, che vogliono guardare al bene della persona.
D. - Il paziente, ha avvertito il Santo Padre, rischia di essere in qualche misura “cosificato”: un termine difficile, ma che rende drammaticamente l’idea del pericolo di disumanizzazione del malato, del rapporto con il malato stesso. Come evitare questa deriva?
R. - Non è facile evitare questa deriva, perché purtroppo c’è una cultura dominante in campo medico, che è una cultura di neutralità. Il rischio è che la malattia venga considerata una sorta di meccanismo che si è inceppato e la terapia il ripristino automatico di questo meccanismo inceppato. Questa è una modalità di approccio che rende il paziente una "cosa". Quindi, è una riduzione del paziente alla sua malattia. Peggio ancora, ai suoi meccanismi biologici che in qualche modo sono alterati. Quando invece noi parliamo di relazione, parliamo di accoglienza della sua storia, parliamo di alleanza: evidentemente non c’è la malattia, c’è la persona umana.
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