16 ottobre 2008

Melloni elogia la dimissione dallo stado clericale di Don Cantini. Stranamente non cita mai l'autore del provvedimento: Benedetto XVI!


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CHIESA FIORENTINA

LA GRANDE OCCASIONE

di ALBERTO MELLONI

Quella annunciata ai danni di Lelio Cantini è una pena indubbiamente rigorosa: la più rigorosa che il diritto canonico consenta di somministrare ad un chierico colpevole di crimini della gravità di quelli contestati all'imputato.
Venendo a monte del giudizio penale e configurandosi come una dichiarazione di colpevolezza da parte dell'autorità ecclesiastica, la condanna di domenica appare quasi come una consegna del reo al braccio secolare, al quale compete l'irrogazione delle pene del caso. Ma per quel che riguarda la vita di una comunità cristiana la riduzione allo stato laicale, il soggiorno obbligato in un luogo scelto dall'arcivescovo, la scomunica incombente in caso di «evasione» è severissima.
Ancor più perché non viene dagli appellabili organi diocesani, ma dall'autorità romana che in prima persona s'accolla la responsabilità di prendere sul serio la tragedia delle vittime di un tradimento della fiducia così profondo come quello che si può generare dentro i rapporti spirituali di figliolanza.
La severità come attenzione alla devastazione del sé che le vittime lamentano non è stata usata sempre e dovunque e i disastri umani e pastorali causati da vescovi — ad esempio in alcune diocesi americane — che non erano all'altezza del loro compito sono stati immani.
Ragion per cui, oggi a Firenze, l'arrivo della più forte delle condanne a disposizione del sistema penale della Chiesa dev'essere guardata anche con qualche sollievo: nulla è stato taciuto e nulla di ciò che le vittime hanno lamentato è stato considerato in modo superficiale o specioso.
Al tempo stesso, però, bisogna essere chiari sul significato che questa pena ha, non rispetto al condannato ma rispetto alla Chiesa locale. Con questa condanna non si scioglie certo il mistero di una vita: ciò che compete alla giustizia degli uomini farà il suo corso, ciò che compete alla giustizia ultima non è a disposizione di nessuno. Essa, però, può e vuole spezzare un clima di sospetto che violenterebbe a sua volta rapporti di fiducia e legami pastorali che meritano di essere stigmatizzati con severità se del caso, ma che non possono essere zavorrati dalle chiacchiere.
Perché — va detto con molta serenità e nettezza — l'uso violento della sessualità, lo stupro delle relazioni di abbandono fiducioso che sono le uniche a disposizione dei bambini e delle persone delicate, non è una prerogativa del clero cattolico, anzi. Sono tante le donne e gli uomini, le mogli e i confessori, i fratelli e le sorelle, che sanno come sia proprio dentro i circuiti famigliari che albergano violenze sordide e micidiali, coperte da quella tentazione all'omertà che rappresenta la ferità più profonda della vittima.
Questa constatazione non cambia in nulla la gravità di quanto accaduto al sacerdote fiorentino. E la severità della pena comminata è lì per dire che ogni violenza non conta per una quota percentuale, ma nella sua orrenda unicità.
Ma guai se questo diventasse un'ombra generica, un sospetto indiscriminato da usare come un'arma o addirittura da tenere in serbo per avvelenare rapporti e ruoli.

Se altri crimini come quelli già puniti dovessero emergere, è ormai chiaro — lo dice questa condanna — che non troverebbero copertura alcuna nelle autorità ecclesiastiche, a Firenze e a Roma.

Nel momento in cui il nuovo arcivescovo sta per fare il suo ingresso nella diocesi, l'autorità romana ha però inteso sgombrare il campo da equivoci e allusioni che potrebbero paralizzare il suo ministero. Sta ora alle comunità cristiane usare o recuperare la semplicità più limpida per far sì che un momento rigenerante come l'avvio di un ministero episcopale non si impantani in maldicenze. La partenza di un servizio episcopale non è una occasione qualsiasi: il sigillo di una condanna durissima dovrebbe bastare a farlo capire a tutti.

© Copyright Corriere Fiorentino, 14 ottobre 2008

Bello questo articolo ma io avrei citato, almeno una volta, il nome del Papa senza parlare genericamente di "autorita' di Roma".
R.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

ha fatto ricorso a una contorta circonlocuzione per evitare di nominarlo ... "autorità romana che in prima persona" ...
Alessia

Anonimo ha detto...

Raffaella, hai dato un'occhiata ai siti di repubblica e corriere?
Ciao
Alessia

Raffaella ha detto...

Ho visto...ho visto...speriamo che non mi si blocchi la digestione :-)

euge ha detto...

Carissime, credetemi che è stata la digestione di qualcun altro a bloccarsi.....:-)))))

Comunque, figuriamoci se Melloni si abbassava a riconoscere e soprattutto a dichiarare che Benedetto XVI ha disposto la dimissione di Don Cantini....... l'unica occasione la potrebbe avere se si tratterà in futuro di far passare Don Cantini, come " martire della cattiveria e durezza del Papa attuale" in questo caso credo sarebbe in prima linea!!!!