2 luglio 2007

Rassegna stampa del 2 luglio 2007


Vedi anche:

LETTERA DEL PAPA ALLA CHIESA CATTOLICA CINESE

Lettera del Papa alla Chiesa cinese: lo speciale di Apcom

La lettera del Papa ai Cinesi: qualche commento

Il Papa spiazza ancora una volta i commentatori (Massimo Introvigne)

Riflessione sulla lettera del Papa alla Chiesa cinese

La lettera del Papa alla Cina: la parola a Padre Cervellera, al Card.Zen e a Mons. Li Jingfeng

VIDEO DI SKY

San Pietro nella catechesi di Papa Benedetto

Dal libro intervista “Dio e il mondo”, tre domande a Joseph Ratzinger

Cari amici, oggi abbiamo una vasta rassegna stampa. Lo sciopero di ieri ha "costretto" i quotidiani a scrivere oggi della lettera del Papa alla Chiesa cinese.
Tutti si sono sentiti "costretti", tranne "Il Corriere della sera", che non dedica una parola al documento storico preferendo altri argomenti, come l'invettiva della Bindi contro il cardinale Ruini presso il monastero di Bose.
Evidentemente ci sono persone che meritano piu' spazio del Santo Padre...

Raffaella

LE NOVITÀ

I DOCUMENTI DEL PASSATO

Nella lettera di Ratzinger importanti aperture e rassicurazioni per chiudere una stagione di gelo

LE NOMINE DEI VESCOVI

Prove di dialogo Vaticano-Cina "Non vogliamo sostituirci allo Stato"

MARCO POLITI

CITTA´ DEL VATICANO - «La Cina si apra alla libertà e al Vangelo» così come si è aperta al libero mercato. L´auspicio è del segretario di Stato cardinale Bertone all´indomani della Lettera ai cattolici cinesi scritta dal Papa. Il documento, diffuso sabato scorso, rappresenta una pietra miliare nello sforzo di Benedetto XVI di normalizzare i rapporti con Pechino. Papa Ratzinger sgombra il tavolo dai relitti del passato e cerca di gettare positivamente le basi per una trattativa. Pur escludendo arrendevolezza in materia di fede e disciplina della Chiesa, il pontefice dice no all´idea di un «permanente conflitto con le legittime autorità civili». Se la leadership cinese teme una Chiesa cattolica che diventi centrale di agitazione politica per la democratizzazione come fu in Polonia negli Anni Settanta, Benedetto XVI esordisce con un´assicurazione di fondo: «La Chiesa cattolica che è in Cina non ha la missione di cambiare la struttura o l´amministrazione dello Stato». Suo obiettivo è annunciare Cristo. Rifacendosi alla sua enciclica, il Papa ricorda che la Chiesa «non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica e non deve mettersi al posto dello Stato».
Evidente è l´intenzione di rassicurare i politici di Pechino. «Lo sappia la Cina: la Chiesa cattolica - scrive Ratzinger - ha il vivo proposito di offrire un umile e disinteressato servizio per il bene dei cattolici cinesi e per quello di tutti gli abitanti del Paese». I cattolici sono buoni e rispettosi cittadini.
Di fatto vengono messe sul tavolo dal pontefice alcune garanzie.
1. Vengono abrogati i documenti vaticani del passato, che potevano suonare come istruzioni segrete ai cattolici nella clandestinità di resistere al regime. D´ora in avanti l´unica piattaforma d´azione sarà in piena trasparenza la Lettera papale. 2. Chiesa ufficiale e Chiesa clandestina vengono considerati un´unica comunità. Sono incoraggiati i rapporti reciproci e le concelebrazioni a patto che non implichino la negazione di principi irrinunciabili della fede e della comunione ecclesiastica. 3. C´è disponibilità a cercare l´accordo sulle nomine vescovili, lasciando alle autorità cinesi un diritto di opzione come avviene in Vietnam e avveniva in passato nell´Europa dell´Est, mentre il Vaticano è pronto a riconoscere anche le ordinazioni illegittime fatte da organismi statali. Al tempo stesso si chiede allo Stato di riconoscere i vescovi clandestini.
Complessivamente Benedetto XVI ammette che nella Cina odierna c´è maggiore libertà religiosa che in passato, ma si augura che vengano eliminate le «indebite interferenze e limitazioni» imposte alle comunità cattoliche e che sia istituita una vera Conferenza episcopale cinese, di cui facciano parte i vescovi riconosciuti dal governo e anche quelli clandestini.
Rassicurata la leadership cinese sull´impegno della Chiesa a non immischiarsi nelle questioni politiche, papa Ratzinger rivendica la piena libertà religiosa e la legittima autonomia dell´istituzione ecclesiastica: «Ogni Conferenza episcopale - precisa - mantiene opportuni e utili contatti con le autorità civili del luogo, anche per favorire la collaborazione tra la Chiesa e lo Stato». Tuttavia, rimarca, va considerato «ovvio» che una Conferenza episcopale «non sia sottoposta» al governo nelle questioni di fede e di vita sacramentale, che sono esclusivamente di competenza della Chiesa. Positivo il commento alla Lettera del cardinale di Hong Kong Joseph Zen: «E´ un punto di partenza comune per un dialogo fra il clero e i leader politici cinesi». Spiega il portavoce papale Lombardi: «Il Papa non cerca scontri con nessuno e non pronuncia accuse nei confronti di nessuno nè dentro nè fuori la Chiesa». La Lettera è una mano tesa.

© Copyright Repubblica, 2 luglio 2007


Cina, il Papa apre una nuova stagione

Alberto Bobbio

Tende la mano Benedetto XVI. E lo fa con lo stile di mitezza, simpatia e comprensione che tutti hanno imparato a riconoscergli in questi due anni di pontificato. Non nasconde le difficoltà, ma con la cocciutaggine di uno che crede al ruolo della Provvidenza, apre la strada a una stagione nuova nei rapporti tra Santa Sede e Pechino.
L'obiettivo della Lettera alla Chiesa e al popolo cinese è chiaro: superare anni di contrasto, soprattutto per quanto riguarda le nomine dei vescovi, senza rinunciare alle prerogative della Santa Sede e alla riaffermazione della libertà religiosa. La Lettera è stata pubblicata sabato scorso, annunciata da mesi e attesa dal governo cinese, al quale una decina di giorni fa era stata recapitata una copia allo scopo di farne oggetto di osservazioni riservate, che pare siano state consegnate al Vaticano attraverso canali diplomatici stranieri. Tra Pechino e la Santa Sede infatti non ci sono dal 1951 – cioè da quando Mao espulse il nunzio apostolico Antonio Riberi – relazioni diplomatiche. La Lettera intreccia consapevolezza dei problemi e grande capacità creativa di risolverli, su tutti i piani, da quello teologico a quello del diritto canonico, da quello pastorale fino a quello diplomatico.

Mano tesa del Papa. Ma senza sconti

Ed è un invito alla collaborazione, frutto di una lunga analisi, alla quale Joseph Ratzinger si è dedicato con passione fin dai primi giorni del pontificato. Nessuna delegazione cinese aveva partecipato ai funerali di Giovanni Paolo II, ufficialmente perché vi avrebbero preso parte i dirigenti politici di Taiwan. Ma il realismo politico di Pechino, se da un lato non poteva cedere su una questione di principio, dall'altra ha deciso immediatamente di seguire una linea pragmatica, inviando in segreto un emissario del ministero degli Esteri in Segreteria di Stato per portare le condoglianze di Pechino.
Adesso arriva la Lettera, che è una sorta di piccola enciclica, segno che i rapporti con Pechino e la situazione delicatissima della Chiesa in Cina sono stati sempre al centro dell'attenzione di Benedetto XVI. Dall'altra parte c'è il realismo pragmatico del premier Hu Jintao e del gruppo dirigente di Pechino, che sta lavorando alla madre di tutte le rappresentazioni del Paese sulla scena mondiale, simbolo e specchio insieme della Cina moderna, cioè le Olimpiadi del prossimo anno. E i rapporti diplomatici con il Vaticano potrebbero essere il diadema sul capo della nuova icona cinese nel mondo. La Lettera di Benedetto XVI, insomma, apre una linea di credito, come mai era stato fatto nella storia millenaria della Chiesa e della Cina. E lo fa con una chiara consapevolezza.
Scrive il Papa: «La soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le autorità civili; nello stesso tempo, però, non è accettabile un'arrendevolezza alle medesime, quando esse interferiscano indebitamente in materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa. Le autorità civili sono ben consapevoli che la Chiesa, nel suo insegnamento, invita i fedeli a essere buoni cittadini, collaboratori rispettosi e attivi del bene comune nel loro Paese, ma è altresì chiaro che essa chiede allo Stato di garantire ai medesimi cittadini cattolici il pieno esercizio della loro fede, nel rispetto di un'autentica libertà religiosa».
La linea è quella del Concilio Vaticano II, cioè della indipendenza della realtà spirituale dal potere politico, ma con un invito alla collaborazione e al rispetto delle reciproche sfere di competenza. Si rivolge al governo di Pechino e non fa sconti, rilevando che «permangono gravi limitazioni» alla vita della Chiesa, usa in un'occasione anche la parola «persecuzioni» e scrive di «pesante situazione di malintesi e di incomprensioni». Ma tranquillizza le autorità cinesi su un tema cui le autorità cinesi sono particolarmente sensibili: «La Chiesa cattolica in Cina ha la missione non di cambiare la struttura o l'amministrazione dello Stato, bensì di annunciare agli uomini il Cristo». Anche sul nodo della nomina dei vescovi, Ratzinger cerca il rasserenare i dirigenti cinesi: «Si può comprendere che le autorità governative siano attente alla scelta di coloro che svolgeranno l'importante ruolo di guide e pastori delle comunità cattoliche locali, attesi i risvolti sociali che, in Cina come nel resto del mondo, tale funzione ha anche nel campo civile». Ma ribadisce la sua «suprema autorità spirituale» e la giustezza del suo «intervento, che – rimarca – ...rimangono nell'ambito strettamente religioso. Non si tratta quindi di un'autorità politica che si intromette indebitamente negli affari interni di uno Stato e ne lede la sovranità». E cita il fatto che «anche in documenti internazionali» la nomina dei vescovi appare come «un elemento costitutivo del pieno esercizio del diritto alla libertà religiosa».
Il Papa auspica «un accordo con il governo», che potrebbe essere quello di un'intesa previa sui nomi dei vescovi, come avveniva in molti Paesi comunisti al tempo della Cortina di ferro e come avviene, secondo recenti accordi, tra Hanoi e Santa Sede, in Vietnam. Nella Lettera non si parla mai di Chiesa patriottica fedele al governo e di Chiesa clandestina fedele al Papa, ma di una sola Chiesa. È un passaggio importante, perché Benedetto XVI offre un'immagine nuova della Chiesa in Cina, che spezza quell'orizzonte ideologico che, da una parte e dall'altra, ha cercato di giustificare via via repressione e paura. Ai vescovi e ai fedeli chiede «riconciliazione» e «perdono», spiega che l'epoca dell'emergenza è finita, che «la clandestinità non rientra nella normalità della vita della Chiesa», revocando anche tutte le facoltà e le direttive speciali che erano stata concesse dalla Santa Sede alla Chiesa cinese in tempo di persecuzioni e di clandestinità e che anche per quest'ultima è arrivata l'ora di dotarsi tutti gli strumenti normali delle Chiese locali, cioè Conferenza episcopale, curie e consigli pastorali. Anche questo è un importante segnale politico al governo di Pechino. Tuttavia, papa Ratzinger non rinuncia a condannare l'Associazione patriottica, l'organismo del Partito comunista che ha mantenuto il controllo sui membri della Chiesa e le sue proprietà. Viene citata esplicitamente solo in una nota, in cui si fa riferimento all'articolo 3 dei suoi Statuti, per rilevare che «è inconciliabile con la dottrina cattolica» la pretesta di attuare «i principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa».
E, sempre ai funzionari dell'Associazione patriottica, il Papa si riferisce sia quando rileva che «persone non ordinate e a volte non battezzate controllano e prendono decisioni circa importanti questioni ecclesiali, inclusa la nomina dei vescovi, in nome di vari organismi statali» sia quando sottolinea che «la comunione e l'unità sono elementi essenziali e integrali della Chiesa cattolica»: «Pertanto il progetto di una Chiesa indipendente, in ambito religioso, dalla Santa Sede è incompatibile con la dottrina cattolica». Ai vescovi clandestini il Papa consiglia di farsi riconoscere dalle autorità, a quelli ufficiali di vincere la paura dichiarando la comunione con Roma e, infine, alle autorità di trovare il modo di far valere i cosiddetti «effetti civili» per tutti.
C'è inoltre una questione che non è mai nominata nella Lettera, quella di Taiwan. La evoca invece la Nota esplicativa , nella quale si rileva, a proposito della nunziatura a Taipei o a Pechino, che «come è stato detto in altre circostanze, se si perviene a un accordo con il governo, il trasferimento a Pechino della nunziatura della Santa Sede in Cina può avvenire in qualsiasi momento». La posizione del Vaticano è nota e nel 1999 era stata ben spiegata dall'allora Segretario di Stato, il cardinale Angelo Sodano, il quale confermò che il nunzio Riberi, dopo la sua espulsione nel 1951, a malincuore si trasferì a Taipei, e che il Vaticano è sempre stato disposto a tornare a Pechino «non domani, ma stanotte».

© Copyright L'Eco di Bergamo, 2 luglio 2007


«Un importante appello all'unità»

CITTÀ DEL VATICANO La pubblicazione della Lettera alla Chiesa e al popolo cinese di Benedetto XVI ai cattolici della Cina «è arrivata giusto in tempo per salvare la Chiesa cinese». È il commento di monsignor Luca Li Jingfeng, vescovo di Fengxiang (Shaanxi, Cina centrale) – riconosciuto dal governo, ma non iscritto all'Associazione patriottica – uno dei quattro vescovi che il Papa aveva invitato al Sinodo sull'Eucaristia, nell'ottobre 2005, ai quali il governo vietò la partecipazione.
La Lettera e il suo appello a tutti i sacerdoti cinesi, spiega monsignor Li, «vanno verso una giusta direzione: quelli che seguono la tradizione cattolica si sentono rassicurati, mentre quelli che non la seguono poi così tanto hanno sentito la grande chiamata del successore di Pietro a tutto il gregge di Dio». È quindi «molto importante» la chiamata all'unità fra le due parti della Chiesa cinese, quella ufficiale e quella non ufficiale, che «vogliono trovare la via giusta per avvicinarsi e unirsi in una sola realtà, anche se la chiesa "più clandestina" forse farà fatica a fare marcia indietro sulla complessa questione della comunione con il Papa».
Secondo il vescovo, è importante sottolineare anche l'aspetto «politico» del testo: la Lettera «è da questo punto di vista fondamentale, perché ha parlato a tutti. Se il governo accettasse le parole del Papa, saremmo tutti molto felici, anche la stessa leadership; in caso contrario, le cose potrebbero peggiorare. Sappiamo che non è facile arrivare a un compromesso, perché sia la Chiesa che il governo hanno i loro princìpi. Speriamo però che Pechino voglia iniziare un dialogo con la Santa Sede per trovare un accordo e accogliere i princìpi ecclesiali. Io prego il Signore per il governo cinese – continua il vescovo – perché possa capire il messaggio del Papa, e spero che lo faccia per il bene di tutta la Cina».
Da parte sua, monsignor Giulio Jia Zhiguo, vescovo sotterraneo di Zhengding, liberato una settimana fa dopo un sequestro durato 17 giorni, mostra speranza e pessimismo sugli effetti della Lettera. Secondo il vescovo, che ha passato più di venti anni in un lager, il governo cinese non è ancora cambiato, «usa la stessa strategia dei tempi di Mao» e utilizza l'Associazione patriottica per dividere la Chiesa. Secondo monsignor Jia, «la Lettera dichiara con chiarezza quello che è l'insegnamento della Chiesa e per coloro che cercano la verità è un grande incoraggiamento. Ma è necessario – aggiunge – un profondo cambiamento di mentalità nel governo e una maggiore apertura nel realizzare una vera libertà religiosa».

© Copyright L'Eco di Bergamo, 2 luglio 2007


Monsignor Li: è la giusta direzione

Cina, vasta eco per l'appello del Papa all'unità della Chiesa

CITTÀ DEL VATICANOLa pubblicazione della Lettera di Benedetto XVI ai cattolici della Cina «è arrivata giusto in tempo per salvare la Chiesa cinese». È il commento di mons. Luca Li Jingfeng, vescovo di Fengxiang (Shaanxi, Cina centrale) – riconosciuto dal governo ma non iscritto all'Associazione patriottica – uno dei quattro vescovi che il Papa aveva invitato al Sinodo sull'Eucaristia, nell'ottobre 2005, ai quali il governo vietò la partecipazione.
La Lettera e il suo appello a tutti i sacerdoti cinesi, spiega mons. Li all'agenzia missionaria AsiaNews, «vanno verso una giusta direzione: quelli che seguono la tradizione cattolica si sentono rassicurati, mentre quelli che non la seguono poi così tanto hanno sentito la grande chiamata del successore di Pietro a tutto il gregge di Dio». È quindi «molto importante» la chiamata all'unità fra le due parti della Chiesa cinese, quella ufficiale e quella non ufficiale, che «vogliono trovare la via giusta per avvicinarsi ed unirsi in una sola realtà, anche se la chiesa "più clandestina" forse farà fatica a fare marcia indietro sulla complessa questione della comunione con il Papa».
Secondo il vescovo, è importante sottolineare anche l'aspetto "politico" del testo: la Lettera «è da questo punto di vista fondamentale, perchè ha parlato a tutti. Se il governo accettasse le parole del Papa, saremmo tutti molto felici, anche la stessa leadership; in caso contrario, le cose potrebbero peggiorare. Sappiamo che non è facile arrivare ad un compromesso, perchè sia la Chiesa che il governo hanno i loro principi. Speriamo però che Pechino voglia iniziare un dialogo con la Santa Sede, per trovare un accordo ed accogliere i principi ecclesiali». «Io prego il Signore per il governo cinese – continua il vescovo – perchè possa capire il messaggio del Papa, e spero che lo faccia per il bene di tutta la Cina. Dico sempre ai nostri governanti: guardate la Cina, un Paese in grande sviluppo che si sta unendo a tutto il mondo, ma che è rimasto indietro con la Chiesa. Se la Cina vuole aprirsi a tutto mondo, deve aprirsi anche alla Chiesa».(r.a.)

© Copyright Gazzetta del sud, 2 luglio 2007

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