3 luglio 2007
SPECIALE DI "REPUBBLICA" SULLA MESSA TRIDENTINA (prima parte)
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Cari amici, pubblichiamo la prima parte dello speciale "IL DIARIO" di "Repubblica" sul ritorno della Messa tridentina (e del latino). Seguiranno altre due parti.
Raffaella
Se la messa torna all´antico
Benedetto xvi e i riti della tradizione
Ma una parte della Chiesa, fedele al passato, non ha rinunciato a chiedere il suo ripristino
Per secoli fu la lingua sacra della liturgia. Poi progressivamente venne esautorato
GIOVANNI FILORAMO
Il termine "messa" (che secondo alcuni proverrebbe dal congedo ite, missa est, che però non ha equivalenti in greco), pur designando il "culmine e la fonte" della liturgia della Chiesa cattolica e precisamente il rito centrale del culto cristiano conservatosi nei secoli, nonostante e attraverso innumerevoli variazioni, come elemento determinante dell´identità ecclesiale, non appartiene al vocabolario originario con cui è attestato nelle fonti più antiche della scrittura e della tradizione. Nei testi del Nuovo Testamento, infatti, si parla di "cena del Signore" e " frazione del pane". A partire da una distinzione di Paolo (1 Cor 11, 29), l´eucaristia come banchetto del Signore, distinto dall´agape come pasto comunitario, divenne il centro della celebrazione delle più antiche comunità, compiuta nelle lingue locali e, in assenza di una struttura formale comune, secondo notevoli varianti.
A partire dal IV secolo, la trasformazione del cristianesimo in religione di stato e la progressiva separazione tra Oriente e Occidente comportarono anche una profonda differenziazione nella pratica della messa. Mentre in Oriente si tese a conservare una serie di elementi tradizionali, come una maggiore partecipazione della comunità, la comunione di entrambe le specie, il ricorso alle lingue nazionali (tutti elementi ricuperati dalla riforma liturgica del Vaticano II), in Occidente, dove ormai prevaleva il latino, la celebrazione della messa seguì altre strade, legate al diverso concetto di chiesa e alla crescente separazione tra clero e fedeli. Fenomeni come le messe private e il proliferare di usi (e abusi) locali ne snaturarono l´originario significato eucaristico, trasformandola spesso in un mezzo di acquisizione di grazie per sé e per i propri defunti: tutti usi che dovevano far sorgere, al volgere dell´evo moderno, l´esigenza di una profonda riforma.
Alla risposta dei Riformatori si oppose quella del Concilio di Trento (1545-1563), che impose un modello tradizionale di messa in latino, conservatosi in sostanza inalterato fino alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II (1962-1965).
Oggi la messa si presenta nel suo centro, il momento eucaristico, come presenza reale del corpo del Cristo ("questo è il mio corpo") alla e nella sua comunità radunata per concelebrare il sacrificio-offerta, occasione di riconciliazione e perdono dei peccati ma anche, attraverso la comunione, testimonianza rinnovata della (ri)fondazione della comunità dei concelebranti, che ringrazia e prega riconoscente di fronte al mistero di questa offerta divina, ogni volta, attraverso questo rito memoriale, non soltanto ricordando e riattivando quanto fece il Salvatore per l´umanità, ma anticipando il futuro della riunificazione della comunità dei credenti.
Ma che cosa significa esattamente "concelebrare"? Se il sacerdote è il celebrante sacrificatore, qual è precisamente il ruolo della comunità dei laici che partecipa al rito? Forzando un po´ le cose, si potrebbe dire che proprio intorno alla natura di questo ruolo si sono dati i conflitti più significativi che hanno portato alla configurazione attuale della messa. Il Concilio Vaticano II ha avuto uno dei suoi tratti distintivi nell´aver costituito la comunità locale come principale espressione della chiesa, di cui la commemorazione eucaristica ritorna ad essere il perno. Di qui la centralità che vi assume la concelebrazione, un termine che, tecnicamente, rimanda, secondo un modello antico, alla partecipazione simultanea di più presbiteri al rito dell´eucaristia sotto la presidenza di un celebrante principale, ma più generalmente al ruolo attivo svolto dalla comunità, a partire dal fatto fondamentale che ora essa può partecipare attivamente alla messa, celebrata non più in latino ma nelle lingue locali.
Le varie religioni usano spesso nel loro culto una lingua più o meno distante da quella comune, al punto da arrivare talora ad avere una lingua liturgica totalmente differente da quella parlata. Diversi sono i fattori che possono portare a questa situazione, come la percezione dell´inadeguatezza del linguaggio normale per la comunicazione del e col divino, l´esigenza di sottrarsi all´errore e a ogni forma di inquinamento del messaggio primitivo, il presentimento che solo quella lingua ha valore in ordine alla produzione di determinati effetti. Per un processo di ritualizzazione a cui concorrono vari fattori, tali lingue hanno la tendenza a fissarsi e rendersi immutabili. A determinare questo fenomeno concorrono la preoccupazione di conservare nella trasmissione il messaggio originario, una venerazione per quella lingua che si crede propria di Dio, la concezione che solo essa sia in grado di trasmettere adeguatamente un tipico messaggio religioso o di produrre l´effetto richiesto.
Qualcosa del genere è avvenuto, in epoca moderna, per il latino della messa. In reazione alle critiche radicali dei riformatori, il Concilio di Trento, oltre a difendere la presenza reale del Cristo e il carattere sacrale della messa, respingendo la concezione del sacerdozio dei fedeli, che minava alla base la funzione mediatrice del clero, rifiutò nel contempo tutte le proposte di riforma tese a valorizzare il ruolo dei fedeli, come l´uso della lingua del popolo, il calice ai laici e in genere una maggiore partecipazione della comunità. In tutto ciò svolse un ruolo centrale la celebrazione della messa in latino, che trovò il suo compimento nel Missale Romanum di Pio V del 1570, con il quale si formalizzava – nell´epoca del trionfo delle lingue nazionali e dell´espansione missionaria – il ruolo centrale che il latino come lingua sacra doveva continuare a svolgere nella liturgia in generale e nella celebrazione della messa in particolare. In base alla bolla di presentazione Quo primum del 14 luglio 1579, il messale veniva introdotto in tutta la chiesa cattolica di Occidente, con la prescrizione che ad esso non potesse «mai venire aggiunto, tolto o cambiato nulla».
Con i due principi della unicità e della immutabilità doveva venire garantita in tutto il mondo occidentale, al di là delle diversità culturali, l´identità cattolica; la Congregazione dei riti, fondata nel 1588, era demandata a vigilare al riguardo. Iniziava quel periodo "della liturgia dalla ferrea unità e della rubricistica" che doveva arrivare al Vaticano II. Il primato assegnato al latino come lingua sacra costituì il sigillo linguistico a questa rigida difesa della Tradizione. Che oggi si voglia nuovamente valorizzare questo tipo di messa non può che significare l´esigenza, da parte dell´attuale pontefice, di voler ricuperare e rafforzare un legame vitale con la Tradizione. Un elemento, forse, di forza, ma anche di oggettiva debolezza, se si pensa che nella storia millenaria della liturgia cristiana la presenza di Cristo e l´efficacia delle formule sacramentali non sono legate al suono delle parole (fosse pure quello maestoso del latino liturgico), ma alla "intenzione" del celebrante e della comunità che concelebra.
© Copyright Repubblica, 3 luglio 2007
Intenzione del celebrante? Al cento della Messa deve esserci Cristo, non il celebrante e sicuramente non la comunita' dei fedeli. Non mi risulta che essi "concelebrino" la Messa.
Raffaella
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5 commenti:
Cara Raffaella, che cosa ci potevamo aspettare da un giornale come Repubblica?????? Riguardo a ciò che hai detto sono d'accordo al centro della messa c'è Cristo non il celebrante se non sbaglio il senso di dare le spalle ai fedeli è proprio questo accom'pagnare Cristo nel cammino che porta al Calvario ma, forse qualcuno ha perso di vista questo dettaglio che direi è determinante nella celebrazione.
Eugenia - sempre con Benedetto XVI -
che orrore di articolo!!! teologicamente da 4... molto molto grossolano
però da l'idea di come manca ormai una diffusa conoscenza dell'ABC della fede
cmq l'intenzione del celebrante è vera... è l'intenzione del celebrante (di celebrare secondo la mente della chiesa) che secondo la teologia scolastica permette la validità del sacramento
francesco
Col beneplacito di Padre Francesco, consiglio a tutte di leggere il "breve esame critico del novus-ordo missae" presentato a S.S.Paolo VI dai cardinali Ottaviani e Bacci. E'un documento chiaro, molto breve e fa luce su tutti gli errorri teologici contenuti in questo pessimo articolo, e su molti altri ancora! E'disponibile qui: http://www.unavox.it/doc14.htm.
Saluti!
oh cristiano!
non c'è bisogno mica di documenti siffatti (spam! spam! spam!) per dimostrare gli errori grossolani dell'articolo!
bastano i praenotanda del messale o il compendio
:-)
francesco
Grazie Cristiano per la segnalazione del sito unavox.it che conosco da poco e grazie al quale ho preso conoscenza di documenti e testimonianze interessanti !
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