7 settembre 2007

Di Giacomo: ecco perchè siamo Cristiani


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PERCHÉ ANCORA POSSIAMO DIRCI CRISTIANI

Filippo di Giacomo

Perché possiamo anche oggi, senza troppo impegno, ancora dirci cristiani? Per tanti motivi. E tra questi, anche per quelli che ci segnalano da decenni Oltralpe e Oltremanica studiosi del calibro di Léo Moulin, sociologo e, a lungo, nella militanza socialista, compagno di lotta di Paul-Henri Spaak, il quarto «padre fondatore» della nuova Europa. Moulin ha sempre definito se stesso «un agnostico che ha ricevuto un'educazione tutt'altro che religiosa, che non ha punti di contatto con il mondo cristiano e in particolare con quello cattolico, che non conosce inquietudini metafisiche».
Eppure, lo studioso si sentiva «cristiano» ogni giorno, di buon mattino, non appena si sedeva al tavolo della colazione. Perché le fonti parlano chiaro: tra il VI e il X secolo, i monaci hanno codificato e trasmesso il modo di apparecchiare la tavola con tovaglia, tovagliolo, posate e fiori di centrotavola. E anche la sequenza dei cibi, il galateo e l'uso di cambiare tovaglia e tovaglioli con la frequenza ancora in uso nelle nostre case. Colazione ci viene dal pasto frugale che i benedettini prendevano nei giorni di digiuno mentre ascoltavano la lettura delle Collationes di Cassiano. Breakfast, dîner e desinare hanno la stessa radice in disjunare: era il pasto che ufficialmente rompeva, dopo ventiquattro ore di penitenza, il digiuno imposto dalla liturgia. Pietanza, dal latino pietas, era la scodella (scutella, piatto: anch'essa di origine monastica) di cibo che veniva distribuita ai poveri che bussavano alle porte dell'abbazia.
La ricotta (recoctum lac) ci viene da Cluny ed è la mamma di buona parte dei formaggi europei: ai cluniacensi sparsi per l'Europa ricordava la casa madre, ma visto che non era conservabile, si cercò ben presto di renderla resistente al tempo. È questo l'inizio della storia di quasi tutti i formaggi a pasta morbida e dura del nostro Continente. E se proprio vogliamo restare sull'allegro, ai monaci del primo medioevo dobbiamo anche l'idromele, il sidro, la birra con il luppolo: la cervesia lupulina, nasce nei monasteri benedettini fiamminghi prima della fine del X secolo. E last but not least, anche se le fonti scritte balbettano, esiste il fondato sospetto che il whiskey sia stato inventato dai primi monaci irlandesi sbarcati in Scozia, sul finire dell'VIII secolo. Appena doppiato il capo dell'anno Mille, i monaci (la fonte è Daniel Seward e il suo Les moines et le vin) iniziano a lasciarci, tanto per limitarci alla sola Italia, i vini dei Colli Euganei, il Freisa, il Greco di Gerace, il Greco di Tufo, il Mantonico, il Sancta-Magdalena dell'Alto Adige, il Frascati, il Gattinara, il Bardolino, il Soave, il Valpolicella, il Locorotondo e via dicendo, ad abundantiam.
E per non essere troppo snob, visto che in Europa ogni bottiglia ben nata (dall'Heiligenkreuz al Clos Vougeot, dalla Rioja al Sancerre, dalla Borgogna con il Clos de Bèze, uno dei più grandi borgogna esistenti, all'ungherese Egri Bikaner e il suo Tokay) ha portato la tonaca per almeno qualche secolo, rivendichiamo anche alle bottiglie mal vissute il diritto ad avere un'anima antica: se avete avuto la sorte di bere qualcuno di quei «vini di paglia», sparsi in tutta Europa, dallo sguardo torbido ma con il piacere immediato, ringraziate la badessa del monastero svizzero di Dezaley. Nel XIV secolo la saggia donna prese la decisione di fare collocare i grappoli d'uva su una lettiera di paglia, al sole autunnale e invernale, prima di ricavarne il mosto. «Che sia benedetta», scrive il Moulin pensando a un'altra intuizione della stessa benemerita badessa quattrocentesca: aver saputo calibrare la raccolta tardiva delle uve anche per ricavarne quel sottile e sconcertante Château-Châlon, bene conosciuto agli intenditori, che da esse ancora oggi si ottiene. Chissà se i tanti illuministi che brillano nel firmamento laico, e che così spesso usano la parola «tolleranza» in chiave anticlericale, sanno che la parola appare in Europa la prima volta (tolerantia) nella Regola di San Benedetto con il curioso significato di «grazia di non desiderare di bere vino»? Ma queste sono quisquilie.
A un testo del 1305 dell'abbazia benedettina di Einsiedeln dobbiamo riferirci per conoscere gli ingredienti e l'uso del primo dopobarba della storia: un'acqua aromatizzata - con salvia, rosmarino, basilico, menta e maiorana. Il nostro uso di radersi la barba quotidianamente nasce nei monasteri e serviva a distinguere gli sbarbati (e moderatamente profumati) monaci-sacerdoti dai barbuti (e per nulla olezzanti) monaci-conversi. Stiamo arrivando al XV-XVI secolo e i monaci trovano tempo e modo per far arrivare sulle nostre tavole (tra tante altre cose) le patate, i fagioli e il tacchino. È un monaco ad importare il caffè dall'Africa al Brasile per farlo coltivare intensivamente: gli italiani non lo sanno, ma ad ogni tazzina rendono ancora merito alla sua intuizione. Agli inizi del Seicento un operaio europeo disponeva di almeno cento utensili, mentre un suo collega indiano ne aveva a disposizione solamente due. Se avete tempo e voglia, fate una ricerca su dove e quando gli utensili europei sono apparsi oppure sono stati modificati e migliorati: è uno dei tanti metodi per avere sottomano la lista delle mamme della nostra modernità. E abitavano tutte in convento.

© Copyright La Stampa, 7 settembre 2007

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