2 settembre 2007

Il Papa a Loreto: gli articoli de "L'Eco di Bergamo" e de "La Gazzetta del sud"


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In quattrocentomila sulla piana di Loreto. Dialogo a ruota libera con i ragazzi «Il Vangelo non ha periferie. E la Chiesa è fonte di libertà, non un centro di potere»

Alberto Bobbio

LORETO (ANCONA) Il Papa se ne va nella notte a pregare su nella basilica che costudisce la Santa Casa. Si volta e guarda la grande piana di Montorso, osserva ancora le mani che quattrocentomila giovani colorati di tutti i colori hanno appena alzato al cielo, contro la luce che tramonta, ognuno con un telo di lino bianco, simbolo della veste del Battesimo, simbolo di uno che è entrato nella Storia e per farlo ha scelto, duemila anni fa, una regione considerata marginale, la periferia dell'Impero romano, una casa, anzi una stalla e non un tempio, la via dei semplici, dei poveri, quelli sui quali nessuno scommette. Lui, l'uomo del Vangelo, ha spaccato schemi e consuetudini, stravolto la Storia al punto da darle un'impronta totalmente nuova.
Anche loro i giovani di Montorso si sentono marginali, precari e quando Benedetto XVI arriva, percorre la piana e sale sul palco glielo dicono subito. Non c'è un vescovo che saluta il Papa. È Luca Romani, un giovane ingegnere di Pistoia, a salutarlo a nome di tutti: «Spesso il mondo ci disorienta e rende difficile cogliere il significato autentico della vita. È difficile portare il respito nuovo del Vangelo nel tempo in cui viviamo».
È anche un grido d'aiuto il suo, almeno una richiesta di incoraggiamento, ma non perché questi giovani cattolici vogliono diventare più competitivi e produttivi, ma solo perché vogliono diventare «testimoni di carità». Ma il suo grido ha anche il sapore dell'invettiva lanciata sulla faccia dell'Italia: «In un'Italia sempre più anziana noi giovani contiamo sempre di meno e facciamo le spese di una società ripiegata su se stessa, povera di ideali e di grandi aspirazioni, chiusa nella sua ricerca del benessere».
Il dialogo è cominciato e va spedito. Il Papa conosceva le questioni che sarebbero state poste. E aveva preparato una risposta scritta. Ma quando sale sul palco mette da parte i fogli. Guarda l'orizzonte della piana e subito coglie al volo la provocazione di Luca: «Nessuno di voi si senta marginale, nessuna vita è senza importanza e senza senso, siete tutti veramente importanti, protagonisti, perché siete al centro dell'amore di Dio».
Salgono Giovanna Di Mucci e Pietro Tisti. Vengono da Bari, periferia del quartiere di San Paolo, quartiere di poveracci senza lavoro, di morti ammazzati, strade buie, palazzi senz'anima che soffocano la vita. Giovanna dice al Papa che a San Paolo-Bari ci si sente «scarti dei processi di globalizzazione». Piero ripercorre eventi drammatici e illustra vite spezzate. Come quella di Giovanni, che non conosce il padre, in carcere da anni e nemmeno la mamma che se ne andata e lui è cresciuto in strada e rubava per sopravvivere. Racconta delle sparatorie per le strade, ma racconta anche della speranza, perché Giovanni c'è l'ha fatta ed ora vive al Nord e fa il carpentiere.
Eppure c'è una domanda che resta e Pietro e Giovanna la fanno al Papa: «Com'è possibile sperare, quando la realtà nega ogni sogno di felicità e ogni progetto di vita?». Benedetto XVI ringrazia e risponde, ma premette che non «vogliamo vivere in un facile ottimismo». Mette in fila i problemi e denuncia «i grandi centri del potere economico e politico», dove «tutto sembra concentrato» e le «grandi burocrazie» che escludono «chi si trova nelle periferie».
Bisognerebbe che la famiglia funzionasse meglio, invece è «frantumata e in pericolo». Eppure è dalla famiglia, dalla parrocchia, dai movimenti, dalla Chiesa delle piccole comunità che il Papa chiede ai giovani di ripartire per «formare centri nelle periferie» e superare tutti i problemi che la «grande politica» non riesce a superare e per «pensare che nonostante le grandi concentrazioni di potere, proprio la società di oggi ha bisogno della solidarietà, della legalità, dell'iniziativa e delle creatività di tutti». Poi scandisce che «per il Vangelo non ci sono periferie», perché una periferia come Nazareth «ha cambiato il mondo»: «Così anche noi dobbiamo formare centri di fede, di speranza, di amore, di soldarietà, di senso della giustizia, di legalità, di cooperazione. Solo così può sopravvivere la società moderna». E ai giovani dice di «andare avanti e di cambiare il mondo».
Poi tocca a Sara Simonetta, che vive a Begato, quartiere terribile di Genova. È il tema delle periferie che intreccia ogni testimonianza. Sono state scelte dalla Caritas italiana, che prima dell'estate aveva presentato il rapporto sulle «Città abbandonate», un'inchiesta drammatica nelle periferie di una decina di città italiane, realizzata insieme all'Università Cattolica di Milano e curata dal sociologo Magatti. Sara racconta i bambini abbandonati. Racconta di Andrea che avevano trovato per strada e deciso di adottare con il benestare dei giudici. Ma poi s'adombra e al Papa dice che Andrea se ne andato un giorno, nonostante l'opportunità di avere una famiglia. Andrea diceva, ha spiegato Sara a Benedetto XVI, che «se nasci sfortunato, morirai sfortunato». Ed ecco il bullismo, i vandalismi, le ragazzine che girano vestite di nulla che si trovano incinte prima ancora di capire cosa significhi: «Non è semplice parlare di Dio in queste situazioni, perché i miei amici vedono la Chiesa come una realtà che giudica e che si oppone alla loro idea di felicità e di amore».
La domanda di Sara fulmina la piana di Montorso: «Santità, in questo silenzio, dov'è Dio?». Benedetto XVI coglie la provocazione, ma non inclina a nessuna indulgenza. Dice che anche «noi credenti conosciamo il silenzio di Dio». Fa l'esempio di Madre Teresa, della sua fede «che soffriva del silenzio di Dio», in mezzo alla catastrofe umana, ma questo «mostra tutta la sua carità». E invita i giovani a gridare a Dio: «Parla, mostrati, parla, non ti nascondere». Ma subito rimarca: «Se da una parte dobbiamo accettare il silenzio di Dio, dall'altra non dobbiamo essere sordi alla sua parola».
Ma a quale Dio e a quale Chiesa crediamo? Benedetto XVI ammette che è «difficile parlare oggi di Dio e forse ancora più della Chiesa, perché molti vedono solo un Dio di comandamenti e di divieti e nella Chiesa un'istituzione che limita la nostra libertà e ci impone proibizioni». Così ai giovani dice di impegnarsi a presentare una Chiesa amica, «comunità di compagnia» e invita tutti a smetterla con l'idea di una «Chiesa centro di potere». E fa un esempio di Chiesa amica, quella comunità della Fazenda de Esperança, visitata nel recente viaggio in Brasile, dove una pezzo di Chiedsa si prende cura e riscatta tanti giovani drogati. Poi coglie l'occasione per parlare ancora una volta della droga: «È una menzogna, una truffa perché non allarga la vita, ma distrugge la vita».
Ma non è finita. Manca ancora una testimonianza, quella di Ilaria Cudini, quella drammatica di una ragazza che si era persa nel tunnel dell'anoressia, fin quasi in punto di morte, perché aveva visto la sua famiglia sfasciarsi, i genitori divorziati, ma che un giorno è riuscita a rialzarzi e a vincere la sfida con l'aiuto di don Roberto e dei giovani conosciuti alla Gmg di Tor Vergata a Roma. Sulla grande spianata s'avverte una emozione grande, anche il Papa è scosso. Ma quella di Ilaria è la storia di una vittoria. Va dal Papa e c'è un abbraccio stretto, infinito, le lacrime di Ilaria, Ilaria che ha un bambino di 21 mesi, che era lì sotto il palco e un giorno capirà. Benedetto XVI coglie le parole di Ilaria sulla vita, sul matrimonio, sulla famiglia, sull'amore da non gettare vita. Il sole cala e il cielo diventa rosso. Il Papa adesso legge il discorso che ha preparato. Si può riassumere in una sola frase: «Niente è impossibile per chi si fida di Dio».

© Copyright L'Eco di Bergamo, 2 settembre 2007


I giovani bergamaschi: il Papa ha toccato i nostri cuori

LORETO Alle spalle dei pellegrini, la Casa di Maria, la «capitale spirituale dei giovani», come l'ha definita ieri sera Benedetto XVI, davanti ai loro occhi la spianata di Montorso. In fondo l'Adriatico. E, dal mare, mentre i giovani raggiungevano il loro settore, il suono di una musica riconoscibile agli orecchi bergamaschi. C'è, infatti, un frammento di Bergamo sul palco del Papa. Ieri pomeriggio, l'accoglienza dei giovani è stata affidata a turno alle diocesi italiane. La Lombardia è stata rappresentata dagli animatori dell'Ufficio bergamasco per la pastorale giovanile diretto da don Michele Falabretti: dodici ragazzi per dieci minuti hanno fatto danzare i pellegrini sulle note di «Ciao», coinvolgente ban di un Cre qualche estate fa: «Che emozione vedere tanta gente che si saluta. Un gesto semplicissimo, ma era il messaggio che volevano lasciare», dice Marta. «Ci hanno annunciato dicendo: “La Lombardia è terra ricca di oratori che sono il tesoro della nostra Chiesa”».
I mille bergamaschi hanno cominciato ad abitare la spianata del raduno già nelle primissime ore del pomeriggio non senza qualche disappunto: erano destinati a un preciso settore sotto il palco centrale e invece sono stati dirottati altrove, sparpagliati e introvabili, perché il loro spazio era già occupato (i soliti misteri dell'organizzazione, stigmatizza qualcuno).
C'è un filo rosso che lega le sensazioni dei bergamaschi alla fine del primo vero incontro con Benedetto XVI (Colonia fu un evento internazionale): il Papa ha fatto capire che conosce i loro problemi, non li blandisce con facili slogan ma li tratta con grande rispetto e serietà. Il Papa teologo, intellettuale, professore, che dà l'impressione di distacco in realtà ha detto loro una cosa semplice e che loro, i giovani, volevano sentirsi dire da tanto: «Vi abbraccio con cuore di padre». Paternità e affetto. È bastato.
«Sì, quando ha detto “Vi abbraccio”, per me, per noi, è stata una cosa fantastica – afferma Alessandra, 22 anni di Bonate Sotto –. Lui, contrariamente a quello che si pensa sa come farsi voler bene. Che spettacolo stanotte la spianata: spesso si rimprovera ai giovani di essere assenti, disinteressati. Ma non è vero: guardati attorno». «È la prima volta che partecipo a queste giornate – dice Michael, 17 anni di Cenate Sopra –. Tutti mi dicevano che avrei dovuto partecipare, che era assolutamente qualcosa da vedere. Sì, era un buon suggerimento: mi sono reso conto dal primo canto. Questa sera mi fa sentire parte di qualcosa di più grande di me e che in questo qualcosa Dio c'entra, la Chiesa c'entra. Non avevo mai sentito questo Papa ma quello che ci ha detto ci invita eccome ad amarlo, a seguirlo». Gloria è una ragazza di 22 anni, di Osio Sotto: «Capisci? Il Papa si è rivolto a noi e ha parlato con noi. Mi sento incoraggiata e piena di speranza. Bello il passaggio sull'amore non egoistico: uno stimolo a cambiare vita». È spiazzante il suo giudizio sul Pontefice: «Ritengo che sia sbagliato chi continua a ragionare in termini di “mi piace, non mi piace”, “Papa progressista, Papa conservatore”. Bisogna andare oltre gli stili personali, perché i Papi sono mossi tutti da una stessa missione e ideale». E Angelica, 21 anni, di Curnasco, aggiunge: «Qualcosa di bello questo Papa lo sta dicendo, afferma cose che ci riguardano e hanno a che fare con il nostro mondo. Ho apprezzato il suo discorso sull'amore, sulla necessità di trovare un grande amore, di parlarci dell'amore nella forma del matrimonio». «Benedetto XVI – dice Tommaso, 24 anni, di Alzano – ha un dono speciale: susciterà magari meno emozioni, ma parla al cuore dei giovani in modo meraviglioso e dice cose enormi in modo semplice. Porto a casa tutto e mi dispiace che nessuno del mio oratorio è qui a condividere questa esperienza con me». È dello stesso parere anche Davide, 26 anni, di Osio Sotto: «Il Papa riesce a trovare le parole che non abbiamo per dire la speranza, per dire: non mollare. E, poi, che risposte ha dato stasera: così precise e così disarmanti». Ci sono anche più di settanta curati. Per esempio, don Alfio Signorini, di Torre Boldone, veterano delle Gmg, da Parigi a Colonia: «Ci sono generazioni nuove che non hanno mai partecipato a nessuna Gmg. Hanno visto un Papa che parla loro in un linguaggio comprensibile, alla loro portata, e stasera poi con un bel po' di aneddoti, immagini, metafore. Ho voluto osservare i giovani mentre parlava: ebbene, ascolto e attenzione». Dopo la celebrazione del mattino i bergamaschi rientreranno insieme con il vescovo Roberto Amadei.
Qualche ragazzo invia un sms. Uno su tanti: «Il Papa permette in un solo giorno di capire ed interpretare tutto ciò che il cristianesimo significa e si ripromette. Andrea, Romano lombardo». Sì, l'abbraccio con i giovani c'è stato.
M. M.

© Copyright L'Eco di Bergamo, 2 settembre 2007


Benedetto XVI a Loreto incoraggia 400 mila ragazzi: andate, vivete, amate! Siete tutti veramente importanti perché al centro dell'amore di Dio

Il Papa ai giovani: dovete cambiare il mondo

L'abbraccio a padre Bossi, il missionario rimasto sotto sequestro per 39 giorni nelle Filippine

Fausto Gasparroni

LORETO (ANCONA)

«Non abbiate paura!». L'esortazione già fatta da papa Wojtyla è risuonata ancora nella sera di Loreto, rivolta da Benedetto XVI ai 400 mila giovani dell'Agorà sulla piana di Montorso. «Non dovete aver paura di sognare ad occhi aperti grandi progetti di bene – ha spiegato papa Ratzinger – e non dovete lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà».
L'entusiasmo dell'esercito di ragazzi giunti da ogni parte d'Italia (più le 50 delegazioni dall'Europa e dal Mediterraneo) ha racchiuso Benedetto XVI in un abbraccio che ha profondamente emozionato il Papa tedesco. E la sua risposta è stata un forte incoraggiamento a non sentirsi ai margini della società, ma a essere protagonisti con l'ausilio della comunità ecclesiale.
«Il Papa vi è vicino – ha detto -, condivide le vostre gioie e le vostre pene, soprattutto condivide le speranze più intime che sono nel vostro animo e per ciascuno chiede al Signore il dono di una vita piena e felice, una vita ricca di senso, una vita vera». Il Pontefice ha parlato delle preoccupazioni e degli interrogativi, della «esistenza piena e felice vista da molti giovani come un sogno difficile, e qualche volta quasi irrealizzabile», delle apprensioni di fronte a «una società segnata da numerose e gravi ingiustizie e sofferenze», di fronte «all'egoismo e alla violenza», di come «dare un senso pieno alla vita». «Non temete! Non abbiate paura! – ha esortato il Papa – Lo Spirito Santo è con voi e non vi abbandona mai. A chi confida in Dio nulla è impossibile».
Tanti i temi toccati dal Pontefice davanti alla sterminata e variopinto platea di ragazzi, sulla stessa spianata che ospitò nel 1995 e nel 2004 i grandi raduni con Wojtyla. Dalla crisi delle «famiglie del nostro tempo», che non deve diventare «un fallimento irreversibile», rivalutando l'unione tra uomo e donna «come dono definitivo, suggellato dal "sì" pronunciato davanti a Dio nel giorno del matrimonio, un "sì" per tutta l'esistenza». Fino al problema della droga, «menzognera risposta alla voglia di infinito». «Una truffa – ha spiegato -, perché non allarga la vita, ma distrugge la vita».
Ratzinger, a momenti molto commosso, ha ascoltato le testimonianze di alcuni ragazzi sulle tante «periferie della vita», su situazioni di grave disagio e difficoltà. E ha avvertito che «nel progetto divino il mondo non conosce periferie». «Andate, vivete, amate! – ha detto ai giovani – Agli occhi di Dio ciascuno di voi è importante». «Nessuno di voi pertanto – ha esortato – si senta marginale; nessuna vita è senza importanza e senza senso; siete tutti veramente importanti, protagonisti perchè siete al centro dell'amore di Dio». La società di oggi, nella visione di Ratzinger, «ha bisogno della solidarietà, del senso di legalità, dell'iniziativa, della creatività di tutti». E proprio la missione dei giovani, in particolare, è quella di «cambiare il mondo»: cosa, però, che non si può fare «solo con le nostre forze», ma «in comunione di fede e di cammino con Maria, con tutti i Santi e con Cristo». Particolarmente significativa l'idea della Chiesa trasmessa da Benedetto XVI: non un'istituzione «che limita la libertà delle persone» nè «un centro di potere», ma una comunità «dove nasce la gioia di vivere». E se persino Madre Teresa di Calcutta, «con tutta la sua carità, la sua forza di fede, soffriva del silenzio di Dio», come testimoniano le sue lettere ("che già conoscevamo», ha puntualizzato il Papa), «dobbiamo da una parte accettare che in questo mondo Dio è silenzioso, ma non essere sordi per il suo parlare e apparire in tante occasioni, soprattutto nella creazione, nell'amicizia immensa della Chiesa dove possiamo avvertire la presenza del Signore e soprattutto fare noi stessi luce agli altri». Nel corso della veglia ha anche abbracciato padre Giancarlo Bossi, il missionario rimasto sotto sequestro per 39 giorni nelle Filippine. «Santo Padre – ha detto padre Bossi – sono felice di essere con lei in questa sera per dire il mio grazie: a Dio per avere ancora una volta tenuta amorosamente la mia vita nelle sue mani».
Poi il Papa si è recato in preghiera nella Santa Casa di Loreto, prima che si aprisse «La Notte dell'Agorà», con in scena artisti come Lucio Dalla, Claudio Baglioni, Giovanni Allevi, Le Vibrazioni.

© Copyright Gazzetta del sud, 2 settembre 2007

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