16 novembre 2007

Creazionismo ed Evoluzionismo: il prof. Lüke (teologo e biologo) spiega a "Tempi" perchè l'argomento sta tanto a cuore al Papa


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NUOVA EDIZIONE DEL LEZIONARIO LITURGICO DELLA CHIESA ITALIANA: LO SPECIALE DEL BLOG

Benedetto XVI: l'evoluzione? Non esclude il Dio Creatore

Intervista

Ulrich Luke

«Un mondo che creda solo a caso e selezione non è etico, e non lo è in modo crudele». Il biologo-teologo di Ratzinger spiega perché la Chiesa è costretta a combattere il neodarwinismo metafisico

di Scholz Christoph

Berlino

Ulrich Lüke, professore di Teologia sistematica ad Aachen (Aquisgrana), ha partecipato quest'anno come relatore al seminario sull'evoluzionismo organizzato dal Papa a Castel Gandolfo. Lüke, nato a Münster nel 1951, ha studiato teologia, filosofia e biologia e ha scritto moltissime opere e saggi sul rapporto fra scienze naturali e teologia. Il più recente è il libro Das Säugetier von Gottes Gnaden. Evolution, Bewusstsein, Freiheit (Il mammifero della grazia divina. Evoluzione, coscienza, libertà).

Professor Lüke, come mai il Papa attribuisce tanta importanza al tema della creazione e dell'evoluzione?

Benedetto XVI, come la Chiesa, è costantemente interessato al progresso della scienza, del quale fanno parte anche le stupefacenti conoscenze sull'evoluzione. Dopo la fine delle grandi ideologie, tuttavia, la teoria dell'evoluzione sembra essere rimasta, per molti contemporanei, l'unica spiegazione onnicomprensiva della verità: rivendicano il diritto di spiegare dal solo punto di vista evoluzionistico tutti i campi della vita e della scienza. Così, per esempio, i sociobiologi cercano di spiegare ogni cosa, anche la religione, in chiave evoluzionistica per ottenere un'egemonia di interpretazione su tutto. Analizzano la religione suddividendola in rito, mito, etica e mistica: ognuna di queste categorie secondo loro costituirebbe un vantaggio selettivo nell'ambito dell'evoluzione. Un'etica comune rafforza la fiducia di una società, e questo sarebbe il vantaggio nei confronti di altri gruppi. Oppure affermano che la religione favorisce un atteggiamento pedagogico. In questo modo, la religione per i biologi è unicamente un finanziamento indiretto alla dinamica della popolazione, ed è vera solo in quanto serve all'evoluzione.
Però nel suo L'illusione di Dio (Mondadori) il biologo inglese Richard Dawkins vede per contro nella religione un mancato sviluppo evolutivo che si deve contrastare.
Allora Dawkins dovrebbe spiegare come l'homo sapiens, nella sua storia che dura da centinaia di migliaia di anni, abbia potuto sviluppare e portarsi dietro un comportamento tanto "dannoso". Tutto questo è poco approfondito e serve non tanto alla scienza, quanto all'autocelebrazione mediatica
.

Che pericoli vede nell'assolutizzazione della teoria evoluzionista?

La teoria evoluzionista è una teoria delle scienze naturali e, come tale, ha un ambito di affermazione determinato empiricamente. Se si espande verso una nuova metafisica, perde la propria dignità di scienza naturale. Una teoria di scienza naturale che si "metafisicizzi", per intero o in qualche suo elemento (per esempio la casualità), si "metasopprime" da sé come scienza naturale.

In che senso?

Si ingarbuglia già a livello di conoscenza in contraddizioni irrisolvibili. Elevare la casualità conferendole un'importanza decisiva nel teatro del mondo non è scienza naturale, è una professione di fede non sufficientemente meditata. Se tutto, fino alle conoscenze di scienze naturali e alla religione, è solo un trucco dell'evoluzione per massimizzare la "fitness" biologica, allora anche le stesse conoscenze di scienze naturali sono una trucco, e la chiusura del cerchio è perfetta. Qui si cerca di creare una teoria dell'evoluzione ossessivamente metafisica sulla megateoria che comprende tutto.

Quali conseguenze sociali implica una concezione esclusivamente biologica dell'uomo?

L'uomo diviene un oggetto biologico del quale si può disporre a seconda dell'interesse. Questo vale per l'inizio della vita, per la ricerca sugli embrioni e anche per la fine con l'eutanasia. Una creatura dalla dignità inviolabile la tratterò in modo diverso da un qualsiasi prodotto biologico dell'evoluzione. Se presunte tesi biologiche, come quella secondo cui un uomo per sua natura è fatto per più donne, divengono la legittimazione di comportamenti conseguenti, si produce una conclusione naturalistica sbagliata. Io, alla fine, non sono responsabile del mio comportamento perché seguo soltanto l'istinto che biologicamente mi è stato dato. Il risultato è che l'uomo si interdice e si degrada da solo. Disconosce da sé la libertà. Un'etica che si basa soltanto sul caso e sulla selezione, e non sull'amore e sulla ragione, non è un'etica, e non lo è in modo crudele.
Di fronte a queste prospettive sempre più persone, soprattutto negli Stati Uniti, cercano una via d'uscita nel creazionismo. Al creazionismo è stato persino dedicato un museo. Ma se dovessimo interpretare in maniera letterale la Bibbia, dovremmo pensare che il mondo sia stato creato da Dio meno di 6 mila anni fa.
Il desiderio dell'uomo di un sostegno spirituale in un mondo estremamente complesso è comprensibile, ma questo non può avvenire a scapito della ragione. Entrambe le storie della creazione sono racconti che comunicano in modo più profondo verità che esistono e sono al di là del tempo. Non si tratta quindi di infime nozioni scientifiche su come si sia arrivati all'uomo, bensì di "prove" di grande valore di quale sia il significato dell'uomo. Se al contrario in esse si vedono solo delle narrazioni di scienze naturali, fin dalle prime pagine della Bibbia si rilevano contraddizioni poiché si tratta di due storie della creazione del tutto divergenti. Chi vede in questi racconti, vecchi di 2 o 3 mila anni, un'alternativa alle scienze naturali non ha compreso né gli uni né l'altra.

Eppure la Bibbia e la Chiesa affermano che il singolo uomo, come la galassia lontana miliardi di anni luce, sono debitori a un unico creatore. Così il credente vive in mondi paralleli: da un lato amata creatura di Dio, dall'altro evento casuale dell'evoluzione. È ancora possibile conciliare fede e scienza?

Ne sono fermamente convinto, come biologo e come teologo. Finché le scienze naturali adempiono al loro compito non vedo alcuna contraddizione. La fede non deve nulla all'ignoranza. Non è che coloro che sanno molto debbano credere meno e coloro che credono molto debbano sapere meno. Ognuno, anche l'ateo, crede in qualcosa, e deve rendere conto con la propria ragione di ciò in cui crede. A volte, tuttavia, si può notare che il teologo sa di credere, e lo studioso di scienze naturali crede di sapere.

Qual è dunque la posizione della Chiesa rispetto alle scienze naturali?

Non è un caso se la ricerca naturalistica e le sue applicazioni tecniche si sono sviluppate inizialmente sul corpus della tradizione giudaico-cristiana. La premessa di ogni ricerca è infatti una fiducia di base nella percettibilità del mondo. Come dice san Tommaso: «Omne ens qua ens est intelligibile», ogni cosa che esiste, in quanto è, è conoscibile. Tutti gli scienziati naturali, anche coloro che non credono in Dio, prendono obbligatoriamente le mosse da questa ipotesi di base. Ora, se io credo a un solo creatore, che è Logos, che comunica con la propria creazione la fiducia nella riconoscibilità del suo mondo e non ci abbandona al puro caos, questa è la premessa migliore per la ricerca.
Cioè la fede è un'ipotesi di base positiva con la quale mi avvicino alla realtà.
Ancora di più: è incoraggiamento e autorizzazione alla ricerca. Il Concilio Vaticano Primo ci dice: Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere riconosciuto con certezza attraverso la luce della ragione naturale dalle cose create. Allora la natura è contemporaneamente il luogo dove io posso imparare qualcosa sull'essenza e sull'essere di Dio. Una fede di questo tipo spinge alla conoscenza.

Quindi il moderno studioso di scienze naturali riconosce Dio nelle cose?

Dio non è un oggetto da scienze naturali. Ma lo studioso può, per così dire, riconoscere Dio come conseguenza esistenziale che, in sé, è ragionevole. A volte la conoscenza delle scienze naturali è forse la fine di una fede rimasta infantile, ma spesso è l'inizio di una fede divenuta adulta. L'inizio della conoscenza di Dio sta nello stupore.

Ma la conoscenza naturale di Dio si basa essenzialmente sulla bellezza del creato come cosmo, come insieme ordinato. Come si concilia questo con il caso e la selezione della teoria dell'evoluzione? Einstein aveva torto quando diceva che Dio non gioca a dadi?

Se osservo la struttura fisica di un uccello, posso desumere le leggi dell'aerodinamica. Ma l'uccello stesso non ne ha la minima idea. Durante il cammino della sua evoluzione, e senza esserne consapevole, in un certo senso ha tratto dal mondo che lo circonda alcune regole e le ha assorbite nel suo corpo. La stessa cosa vale per i pesci, il cui corpo rispecchia le leggi dell'idrodinamica senza conoscerle. Rimandano a una struttura intelligibile del mondo che li circonda. Se da entrambe le grandezze regolatrici derivano un caso mutativo e una necessità selettiva, questo mi dà da pensare. Ma non mi impedisce affatto di leggere la natura come il libro della creazione. Forse il creatore, quando vuole restare in incognito, indossa il camice grigio del caso.
Così saremmo al "disegno intelligente": il progetto intelligente della realtà rinvia, per questa linea di pensiero che deriva dalle conoscenze delle scienze naturali, a un progettista intelligente che sta dietro le cose. I neodarwiniani rimproverano ai rappresentanti di questa corrente di essere dei creazionisti travestiti e, negli Stati Uniti, li trascinano in tribunale.
Somiglia a una disputa religiosa fra fondamentalisti. Nell'intelligent design io vedo la "forma di evoluzione" di un creazionismo superato. Ma anche il neodarwinismo è superato dalla teoria sintetica. Il matematico Wiliam Demski ha calcolato che il contenuto informativo delle strutture biologicamente complesse è troppo elevato per svilupparsi completamente nell'arco di tempo della storia della terra solo per caso.

È un modo di indicare che il progettista c'è?

Anzitutto cercano di dimostrare la funzionalità estremamente complessa degli organismi, poi di escludere tutte le cause note della loro origine e, infine, anche il caso. Quindi, dal progetto estremamente funzionale arrivano al progettista. L'indicazione più precisa del progettista, di chi è e di come opera, la lasciano aperta.

E lei a cosa lega i suoi dubbi?

Come studioso di scienze naturali penso che trascurino le tappe intermedie, che sono già utili e vantaggiose per altri processi evolutivi. L'evoluzione non passa saltando da terra al settimo piano. Se fosse così, i rappresentanti del disegno intelligente avrebbero forse ragione. E allora per la creazione dell'occhio nel segno della coincidenza dei casi, milioni di dadi dovrebbero "per caso" dare tutti contemporaneamente il sei.

Invece la natura come gioca a dadi?

Tiene per così dire i sei e continua a lanciare. Noi comunque sfruttiamo la casualità anche come elemento innovativo nel brainstorming: creiamo un insieme di soluzioni ai problemi e le verifichiamo. Il genoma agisce in modo molto simile. Con una parte continua a portare avanti i vecchi compiti, con l'altra si lancia nell'esplorazione genetica. Qui il caso avrebbe un "compito chiaro". Per dire, visto che in biologia non esiste la casualità, che ci può essere un progetto, ma non è vincolante. Noi stessi siamo soltanto parti di un processo (si vedano uccelli e pesci, che non capiscono fino in fondo che cosa accade loro).

Potrebbe chiarire questo concetto con un esempio?

Se domani mi trovassi sotto la vetrata di Gerhard Richter nel duomo di Colonia e vedessi lì dieci conoscenti con sottobraccio la teoria dei colori di Goethe, senza che ci siamo messi d'accordo prima, allora potrei dire: ma che caso! Se me lo chiedessero potrei comunque trovare una motivazione plausibile per la loro presenza lì: uno studia arte, l'altro è un germanista con una predilezione per Goethe, il terzo un semplice fedele e così via. Ma vi sono anche evidenti causalità. Dove sta la casualità? In questo caso si tratta di una "coincidenza soggettiva", che definisce solo l'incapacità di previsione del ricercatore, ma non l'assoluta mancanza di ragioni e di scopo del procedimento. Ecco, la casualità biologica è una casualità di questo genere, come si può leggere in Ernst Mayer, un "papa" della teoria evoluzionista.

Non vi è quindi una casualità assoluta?

No, nessuna casualità assoluta come nella fisica dei quanti, bensì una casualità soggettiva, una categoria delle scienze naturali che non si dovrebbe caricare di significati metafisici se si vuole restare nell'ambito delle scienze naturali. Inoltre la si può spiegare in modo naturale.

Quindi l'idea del disegno intelligente è del tutto fuorviante?

Forse il disegno intelligente sta nella singolarità del cosiddetto Big Bang. Con esso nacquero le quatto forze fondamentali: la forza nucleare debole e quella forte, la forza elettromagnetica e la forza gravitazionale. Se i valori di queste forze fossero solo minimamente diversi, non ci sarebbe stata tutta la chimica del carbonio (organica) sulla quale si basa l'evoluzione degli esseri viventi. Se dunque la vita è possibile solo attraverso questo stretto corridoio, questo può benissimo rinviare a un mistero che sta oltre la realtà delle scienze naturali.

Così il famoso progettista sarebbe anche conciliabile con l'idea di un Dio creatore?

Se, per i creazionisti, Dio è in un certo senso il creatore di singoli prodotti, il disegno intelligente vede in lui un costruttore che mette in moto la macchina del mondo e redige per sé il contratto di manutenzione per poter intervenire sempre di nuovo. Nel passaggio da non vivente a vivente, da scimmia a uomo, nel passo da uovo e cellula spermatica a zigote. L'"amato Dio" avrebbe quindi la funzione di deviatore, di riparatore o di tappabuchi, quasi fosse una grandezza biologica. Questo è al di sotto della dignità di Dio.

Ma nel senso di una creazione continua?

Solo se si parte dalla premessa che la creatio ex nihilo, la creazione dal nulla, e la creatio continua sono tutt'uno nella prospettiva di Dio. Nella sua prospettiva la creazione dell'essere e la sua conservazione sono una sola e medesima iniziativa. Dio non realizza prodotti finiti. Fa un mondo che si fa.

Allora come si può riconoscere Dio?

Certo non si può riconoscerlo con la bilancia, il metro e il contatore Geiger. Ma, come ho detto, il primo passo per la conoscenza di Dio è lo stupore. Vivo in un mondo che non ho creato io stesso, e vivo come qualcuno che deve ringraziare qualcun altro per se stesso. Quindi già nel mio esistere è insito un richiamo a chi mi ha fatto questo dono. Quando parlo di Dio, Lui fa saltare le mie categorie e le mie definizioni. Quindi posso parlare di Lui anche solo indicando, non dimostrando. Dio, il segreto del mondo, supera ogni volta la nostra conoscenza e la nostra capacità di comprensione: «Deus semper major». E gli studiosi di scienze naturali, come i teologi, sono solo miseri pensatori a posteriori di quello che un inesauribile pensatore a priori ha messo in moto in precedenza.

© Copyright Tempi num.45 del 08/11/2007

2 commenti:

Riccardo Orlando ha detto...

Cito dall'intervista : "Allora Dawkins dovrebbe spiegare come l'homo sapiens, nella sua storia che dura da centinaia di migliaia di anni, abbia potuto sviluppare e portarsi dietro un comportamento tanto "dannoso".
Primo commento: Interessante, finalmente un "teologo" che parla di homo sapiens.
Secondo commento: Chi parla ha davvero letto "l'illusione di dio"? Io che l'ho fatto (ormai due volte) la risposta l'ho trovata.
Terzo commento : Il suo dubbio è sulla "vecchiaia" della specie? Beh non siamo tanto vecchi. Sulla dannosità? Purtoppo le religioni (quindi tante e diverse per storia e impatto sull'umanità) non sono i soli comportamenti "dannosi" da annoverare, e comunque sono "bacilli locali" che nel corso dei secoli e dei continenti si sono alternati.
In conclusione l'idea del dubbio mi piace, lo trovo stimolante.
Carissimi saluti a tutti

Anonimo ha detto...

Benvenuto Riccardo :-))