15 novembre 2007
Possibile accordo Cattolici-Ortodossi: lo speciale di Avvenire
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Primato e «conciliarità» al servizio dell’unica Chiesa
Cattolici e ortodossi: reso noto il testo di Ravenna
DA ROMA SALVATORE MAZZA
Due punti su tutti: c’è una Chiesa universale, e c’è un protos, ossia un 'primo'. Il quale «ha un ruolo attivo», anche se «quale sia questo ruolo deve essere ancora discusso». Su questa base, quello elaborato a Ravenna dalla Commissione mista per il dialogo teologico tra cattolici e ortodossi «è un testo veramente buono», «una base importante» che «dà speranza che si possa avanzare ulteriormente» nel cammino verso l’unità.
Così il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, commenta con Avvenire il documento su Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità, sottoscritto a Ravenna lo scorso ottobre dalla Commissione mista. «Adesso – aggiunge il porporato – il documento deve essere sottomesso alle autorità delle Chiese, e vedremo come verrà recepito. So che il Papa è molto contento, e che lo è anche il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I». Nel concreto il testo – dieci pagine suddivise in 46 punti –, pubblicato ieri nella sezione del sito internet del Vaticano riservata al Pontificio Consiglio, parte dal concetto di “sinodalità” o “conciliarità”, termine che, vi si afferma, riflette il ministero trinitario e in esso trova il suo fondamento ultimo. Come nella Trinità, aggiunge, la qualifica di “seconda” e “terza” persona non implica una diminuzione o una subordinazione, similmente, c’è anche un ordine tra le Chiese locali, che non implica ineguaglianza nella loro natura ecclesiale.
A unire i vescovi non sono soltanto fede, carità, missione, riconciliazione. Essi in comune hanno la stessa responsabilità e lo stesso servizio alla Chiesa: Sinodi e Concili sono la via principale nella quale la comunione si esercita concretamente. Ogni Chiesa locale, poi, quando è in comunione con le altre Chiese locali, è manifestazione dell’unica e indivisibile Chiesa di Dio. Essere “universale”, così significa essere in comunione con l’unica Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
A livello universale, i protoi, i primi, a livello regionale devono riconoscere chi tra loro è il primo. Ed è in questo quadro che viene affrontata la questione dell’autorità nella Chiesa, il cui esercizio (in tutte le sue forme e a tutti i livelli), deve essere un servizio d’amore, come è stato per Cristo, assicurato mediante “il libero consenso e la volontaria cooperazione”. Un’autorità, insomma, radicalmente diversa dal governo delle nazioni, legata piuttosto alla “essenziale struttura” della Chiesa, che è di essere orientata verso la salvezza. E autorità che a livello universale spetta a Roma, come Chiesa che “presiede nell’amore”.
In conseguenza di ciò, nella tradizione della Chiesa antica, il vescovo di Roma era il protos fra i patriarchi. E se non c’è accordo nel documento sulla interpretazione delle prove storiche del tempo riguardanti le prerogative del vescovo di Roma, si riconosce che la conciliarità a livello universale, esercitata nei concili ecumenici, implica un ruolo attivo del vescovo di Roma, in quanto protos dei vescovi delle maggiori sedi, nel consenso dei vescovi riuniti.
«Noi siamo convinti – conclude il documento – che la dichiarazione di cui sopra sulla comunione ecclesiale, la conciliarità e l’autorità rappresenta un positivo e significativo progresso nel nostro dialogo, e che essa fornisce una solida base per la discussione futura sulla questione del primato nella Chiesa ad un livello universale. Siamo consapevoli delle molte questioni difficili che restano da chiarire, ma è nostra speranza che, sostenuti dalla preghiera di Gesù: 'Che tutti siano uno... perché il mondo creda» (Gv 17,21), ed in obbedienza allo Spirito Santo, ci sarà possibile avanzare sulla base dell’accordo già raggiunto».
Come detto, il documento sarà adesso sottoposto alle autorità delle diverse Chiese. «Ma non sarà oggetto di discussione durante il prossimo pre-Concistoro del 23 novembre – precisa il cardinale Kasper – dove si parlerà sì di ecumenismo, ma secondo un respiro più generale, per fare un po’ il punto della situazione ».
© Copyright Avvenire, 15 novembre 2007
Il Patriarcato di Mosca aveva abbandonato i lavori
lo scenario
La delegazione ortodossa russa aveva lasciato Ravenna in polemica con Bartolomeo I
DI RICCARDO MACCIONI
Il decimo incontro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse si è svolto a Ravenna dall’8 al 14 ottobre scorsi. Sotto la guida dei due co presidenti, il cardinale Walter Kasper e il metropolita Ioannis di Pergamo, i membri della Plenaria si sono confrontati sul tema «Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa: comunione ecclesiale, conciliarità e autorità». Uno studio che era già stato avviato nella precedente sessione tenutasi a Belgrado dal 18 al 25 settembre 2006 sulla base di un progetto elaborato a Mosca nel 1990 dal Comitato misto di coordinamento, ma poi non affrontato fino all’incontro nella capitale serba.
A Ravenna – come recita il comunicato finale dell’assise – i lavori si sono distinti «per lo spirito di amicizia e la collaborazione improntata a reciproca fiducia» anche in virtù della «generosità ospitalità» offerta dall’arcidiocesi di Ravenna-Cervia. In sede di bilancio, tuttavia non si può non tenere conto della decisione assunta dal Patriarcato di Mosca di ritirare i propri delegati. Una scelta motivata con la presenza dei rappresentanti della Chiesa ortodossa d’Estonia, non riconosciuta da Mosca. A nulla, allora, era valsa la proposta di compromesso avanzata dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli con l’accordo di tutti i membri ortodossi. Cioè una dichiarazione comune in cui si affermava che la partecipazione ai lavori del Patriarcato di Mosca non significa il suo riconoscimento della Chiesa estone. La proposta, come detto, era stata rifiutata.
In altre parole, i lavori di Ravenna, pur molto importanti e vissuti con grande afflato ecumenico, hanno offerto una nuova dimostrazione dei profondi contrasti che percorrono l’ortodossia al suo interno. In particolare tra il Patriarcato di Mosca, la Chiesa più potente del mondo ortodosso con i suoi 150 milioni di aderenti, e il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli che, a fronte di un «primato d’onore» sulle Chiese d’Oriente, conta un numero di fedeli decisamente inferiore e ha sede in una realtà complessa come la Turchia attuale.
In questo scenario va collocata anche la scelta presa da Mosca di anticipare lo scorso 26 ottobre su «Europaica», il bollettino della rappresentanza della Chiesa ortodossa russa presso le Istituzioni europee, il documento finale dei lavori della Commissione di Ravenna. Con largo margine, quindi, rispetto alla data concordata dai partecipanti ai lavori. Pressioni dell’opinione pubblica, la motivazione data dalla Chiesa ortodossa russa.
© Copyright Avvenire, 15 novembre 2007
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