25 agosto 2008

Giovanni Paolo I, l’essenza del Vangelo. Trent’anni fa l’elezione di Albino Luciani (Avvenire)


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Con un conclave lampo il 26 agosto 1978 venne scelto quale successore di Paolo VI Il suo pontificato durò appena un mese Ma seppe lasciare una traccia profonda

Giovanni Paolo I l’essenza del Vangelo

Trent’anni fa l’elezione di Albino Luciani

DI MARCO RONCALLI

Trent’anni fa. Centoundici e­lettori chiusi nella Cappella Sistina. I cinque continenti rappresentati a sottolineare l’uni­versalità della Chiesa. Ma anche un tempo rapidissimo a svelarne un’immediata sintonia: contro ogni attesa. Iniziato venerdì 25 agosto 1978 alle 16,30 e subito conclusosi il giorno dopo, nell’arco di ventisei ore – compresi i momenti della pre­ghiera, dell’accettazione, della scel­ta del nome, della vestizione... – fu , dopo quello del 1939, il conclave più rapido del Novecento.
Alle 19,19 del 26 agosto le tende del­la Loggia della Basilica Vaticana si alzavano, la finestra si apriva e il car­dinale Pericle Felici dava l’annun­cio dell’elezione di Albino Luciani con la consueta formula latina ri­petendo due volte il termine Domi­num.
Erano bastati pochi scrutini per trasformare il patriarca di Ve­nezia nel successore di Montini: con il nome inedito di Giovanni Paolo I. Avviatosi nell’incertezza (pare che al primo scrutinio i voti si fossero di­stribuiti su una ventina di nomi, fra i quali oltre a Luciani, Siri, Pignedo­li, Baggio), il conclave-lampo regi­strò subito «una convergenza al ter­zo scrutinio e soprattutto al quar­to », come dichiarò il cardinale Franz König. Luciani ottenne una mag­gioranza «regale» (per rubare l’ag­gettivo del cardinale Leo Suenens), e i cardinali si ritrovarono ad essere «testimoni di un vero miracolo mo­rale » (parole del cardinale Eduardo Pironio).
«Peccato che non possia­mo raccontare ciò che abbiamo vis­suto, perché è stato molto più bello di quello che vi potete immagina­re », commenterà un altro porpora­to, Vicente Enrique y Tarancón, ar­civescovo di Madrid.
Il futuro Papa due giorni prima a­veva scritto alla nipote Pia: «Non so quanto durerà il conclave. Difficile trovare la persona adatta ad andare incontro a tanti problemi, che sono croci pesantissime. Per fortuna, io sono fuori pericolo...». E il 25 ago­sto, prima dell’inizio di quell’av­ventura irripetibile, alla sorella An­tonia aveva confidato: «Sono mo­menti di grave responsabilità: an­che se non c’è nessun pericolo per me – nonostante i chiacchiericci dei giornali...».
Invece, nemmeno due giorni dopo, era lì, designato da u­na volontà quasi plebiscitaria, a di- re ai cardinali chini ad o­maggiarlo: «Cosa avete fat­to? Che Dio vi perdoni...». E­ra lì, pronto, sin dalla scelta del nome, a saldare simbo­licamente i due pontefici del Concilio Vaticano II, ma con una sintesi originale e una prima cifra assai personale. Fine del conclave e inizio di pontificato coincidevano – in modo altrettanto parti­colare – con la sua richiesta di ri­mandare ogni formalità alla dome­nica mattina: per far entrare i cardi­nali anziani, non partecipanti agli scrutini, coinvolgendoli nei cosid­detti riti d’obbedienza al nuovo pon­tefice. Poi, fra i primi atti, la ricon­ferma in blocco dell’organigramma curiale e la rinuncia al congegno di spoils system introdotto da Paolo VI. E ancora la rinuncia all’incorona­zione, alla tiara, al trono... Poi la me­teora di un pontificato durato tren­tatré giorni. Fermato dall’angelo della morte nella notte fra il 28 e il 29 settembre. Lo spazio di un sorri­so, fu scritto. In realtà molto, molto di più. Di certo quanto bastò a se­gnare un mutamento di clima. Tren­tatré giorni sufficienti ad offrire un’immagine di sé, o meglio del Pa­pa, liberata da taluni orpelli. Un pontefice che stupì preferendo al plurale maiestatis
il semplice «io» («Ieri mattina io sono andato alla Si­stina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere...»). E che pochi gior­ni dopo cominciò a destare non po­che preoccupazioni nei Sacri Palaz­zi per i suoi discorsi improvvisati, difficili ad esser riportati sul quoti­diano vaticano. Un pontefice, Albino Luciani, profondamente orientato a ribadi­re l’essenzialità del messaggio e­vangelico con richiami alla povertà, oltre che al retto uso della proprietà privata (e su questi parametri vole­va rivedere anche la gestione delle finanze vaticane); così desideroso di stare accanto alla gente da rifiu­tare la sedia gestatoria (alla quale qualche volta lo obbligarono nelle u­dienze generali). Un Papa u­mile, capace di rivelare lo stupore dell’evento di Cri­sto, e di indicare – con pa­role e gesti – la bellezza del cristianesimo.
Ma ci fu an­che il tempo per sue affer­mazioni passate alla storia, come quella del 10 settem­bre sulla 'maternità' di Dio («È papà; più ancora è ma­dre ») o per manifestare ri­servatamente – nello stesso giorno – l’intenzione di re­carsi in Libano per contri­buire al ristabilimento della pace.
Ci furono occasioni per da­re lezioni di umanità chia­mando dalla platea i bambini a dia­logare con lui .Come ai tempi di Vit­torio Veneto o di Venezia. Quella Ve­nezia che nel corso del ’900 ha dato alla Chiesa cattolica ben tre grandi pontefici, tutti di modesta estrazio­ne sociale: Giuseppe Sarto, Angelo Giuseppe Roncalli (bergamasco, ma anche «veneto» per molti aspetti) e, appunto, Albino Luciani. Ed anche questo è qualcosa su cui vale la pe­na riflettere. Come si farà il prossi­mo mese attraverso l’annunciato convegno «Albino Luciani dal Ve­neto al mondo» previsto dal 24 al 27 settembre tra Canale d’Agordo, Vi­cenza e Venezia. Finalmente un’oc­casione per approfondire la com­plessa parabola umana e spirituale di un pastore ancorato nella prima parte della sua vita ad una visione preconciliare e poi, «convertito» dal Vaticano II, tanto attivo tra Concilio e postconcilio. Per scavare dentro un uomo consacratosi a Dio nella sua sensibilità ai temi del cielo co­me a quelli della terra.

© Copyright Avvenire, 24 agosto 2008

LE TAPPE DELLA SUA VITA

Da Belluno a Roma «via» Venezia

Paolo Pittaluga

Albino Luciani nasce a Forno di Canale, l’attuale Canale d’Agordo nel Bellunese, il 17 ottobre 1912. Nell’ottobre 1923 entra nel Seminario minore di Feltre e il 7 luglio 1935 viene ordinato sacerdote a Belluno. Il 27 febbraio 1947 si laurea in teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Nel dicembre del 1949 pubblica Catechetica in briciole.
Giovanni XXIII, nella Basilica di San Pietro a Roma, il 27 dicembre 1958 lo consacra vescovo di Vittorio Veneto. Fra l’8 ottobre 1962 e il 9 dicembre 1965 partecipa a tutte e quattro le sessioni del Concilio Vaticano II. Dal 16 agosto al 2 settembre 1966 compie un viaggio in Burundi. Il 15 dicembre 1969 Paolo VI lo promuove Patriarca di Venezia. L’8 febbraio 1970 fa l’ingresso ufficiale nel Patriarcato di Venezia e il 25 ottobre inizia la visita pastorale. Dal 12 al 14 giugno 1971 compie un viaggio pastorale in Svizzera, tornando attraverso la Savoia. Tra il settembre e il novembre dello stesso anno partecipa alla II Assemblea generale del Sinodo dei vescovi. Nel giugno 1972 viene eletto vice presidente della Conferenza episcopale italiana e rimane in carica sino al 2 giugno 1975. Il 16 settembre 1972 riceve a Venezia la visita di Paolo VI. Il 5 marzo 1973 viene creato cardinale. Nel maggio 1975 si reca in Germania in visita pastorale. Nel gennaio 1976 pubblica Illustrissimi, raccolta di lettere immaginarie rivolte ai grandi del passato. Il 6 agosto 1978 muore Paolo VI e il 26 agosto, nel secondo giorno del conclave, Albino Luciani viene eletto Papa: sceglie il nome di Giovanni Paolo I. Il giorno seguente rivolge il primo radiomessaggio «urbi et orbi». Il 3 settembre si tiene la cerimonia dell’inizio del servizio pastorale. Muore il 28 settembre.

© Copyright Avvenire, 24 agosto 2008

Un «dono» al mondo: convegno itinerante sulle orme di Luciani

Francesco Dal Mas

VENEZIA. Conoscere Albino Luciani là dove visse: da sacerdote, vescovo, patriarca. È il primo convegno itinerante dedicato al figlio di Canale d’Agordo, prete della diocesi di Belluno-Feltre, vescovo a Vittorio Veneto e patriarca a Venezia. Il Luciani veneto, dunque.
Un’angolatura che vuole approfondire l’Istituto per le ricerche storiche e religiose di Vicenza con l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica e la collaborazione del Patriarcato di Venezia e della Regione Veneto. Si svolgerà tra il 24 ed il 26 settembre, cominciando dal luogo natìo, dove lo storico don Giorgio Fedalto prenderà in considerazione Luciani nel periodo tra il Concilio ed il postconcilio. La diocesi di Vittorio Veneto può testimoniare il suo entusiasmo per la «primavera» – così la chiamava – introdotta da Giovanni XXIII che lo volle vescovo sulla cattedra di San Tiziano. Ma ai piedi delle Dolomiti verrà presa in considerazione, da altri studiosi, la realtà del clero diocesano ai tempi di Luciani e come lui visse il Seminario e le responsabilità della Chiesa locale che gli furono affidati. Il 25 settembre i convegnisti si trasferiranno a Vicenza per approfondire il suo servizio episcopale a Vittorio Veneto, lo sviluppo della Chiesa veneta in quegli anni, anche i momenti critici del governo pastorale di Luciani, prima a Vittorio Veneto e poi a Venezia, nonché il suo servizio alla Cei quale vicepresidente e un aspetto particolare, il suo rapporto con la società, specie quella più in sofferenza (allora il mondo del lavoro) e la povertà in particolare.
L’itinerario di studio si concluderà a Venezia, dove – tra le altre cose – si focalizzerà la «passione» per l’aggiornamento che l’uomo di Chiesa manifestava, il suo rapporto particolare con Montini, ma anche quanto accadde nel conclave che lo elesse. Sarà il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, a offrire le conclusioni.

© Copyright Avvenire, 24 agosto 2008

L’INTERVISTA

Il postulatore Enrico Dal Covolo: «Il suo sorriso? Quello del pastore che dà la vita per il suo popolo»

Il sorriso di Giovanni Paolo I «non è per nulla un sorriso vuoto, magari simpatico, ma puramente formale. Quel sorriso è piuttosto un “segno forte”. È il segno del buon pastore, che dà la vita per le sue pecore: Albino Luciani era consapevole di andare incontro alla morte, ma lo faceva volentieri, ben sapendo che non esiste un amore più grande di chi dà la vita per coloro che ama». Così il postulatore della causa di beatificazione di papa Luciani, don Enrico Dal Covolo, salesiano di origine veneta, ricorda uno dei tratti più caratteristici dell’immagine pubblica di Giovanni Paolo I, di cui in questi giorni si ricorda il trentennale dall’elezione a pontefice.
Nell’intervista, pubblicata da «L’Amico del popolo», settimanale della diocesi di Belluno-Feltre, il sacerdote traccia un profilo della figura di Luciani. Ad animare l’opera del Papa veneto, sottolinea Dal Covolo, «fu proprio la passione catechistica di comunicare alla gente – in modo semplice e profondo, direi “esistenziale” – le verità della fede».
Una passione comunicativa che – aggiunge il sacerdote – «ho sperimentato direttamente (quasi come un “fluido magnetico”), quando – fin da ragazzino – ho avuto modo di incontrarlo». Facendo il punto sul cammino del processo di beatificazione, che si avvia verso la chiusura della fase diocesana, il postulatore nota come «la devozione nei confronti di Giovanni Paolo I abbia già, e avrà sempre di più, una grande presa presso il popolo, perché anche lui – come Giovanni XXIII e come Giovanni Paolo II – è sentito dalla gente come un eroico testimone della fede. La “categoria teologica” della testimonianza è andata crescendo vigorosamente nella Chiesa del postconcilio, soprattutto grazie al magistero e all’esempio di questi grandi papi. Il popolo – e in modo particolare i giovani – lo dimostrano».
«Giovanni Paolo I – conclude Dal Covolo –, il buon pastore che ha dato la vita per il suo gregge, continua a trascinare l’entusiasmo e l’ammirazione della nostra gente».

© Copyright Avvenire, 24 agosto 2008

Leggo:

«la devozione nei confronti di Giovanni Paolo I abbia già, e avrà sempre di più, una grande presa presso il popolo, perché anche lui – come Giovanni XXIII e come Giovanni Paolo II – è sentito dalla gente come un eroico testimone della fede

E Pio XII? E Paolo VI? E ora Benedetto XVI? Forse sarebbe ora di finirla con le "classifiche".
R.

I vescovi del Triveneto martedì a Canale

DA CANALE D’AGORDO (BELLUNO)

Ci sono anche firme cinesi negli ormai quaranta volumi in cui i pellegrini, nella chiesa di Canale d’Agordo, annotano testimonianze, preghiere e richieste d’intercessione a Giovanni Paolo I, nato in questo paese in faccia alle Dolomiti. A trent’anni dall’elezione l’affetto verso Albino Luciani continua a crescere. Lo testimonia la partecipazione di popolo che venerdì sera ha percorso la Via Crucis lungo due chilometri di strada, fino in località Cavallera, dove troveranno posto quindici stazioni della
Passione di Cristo con le formelle in bronzo realizzate da Franco Murer.

Oggi Andrich nel paese natìo

Si tratta di una delle tante iniziative per il trentennale. Oggi nella chiesa parrocchiale la Messa, con il vescovo di Belluno-Feltre Giuseppe Andrich – originario proprio di Canale – trasmessa in diretta da Rai Uno; seguiranno testimonianze su Giovanni Paolo I, nell’ambito della trasmissione A sua immagine, con la partecipazione, fra gli altri, del vicepostulatore della causa di beatificazione, monsignor Giorgio Lise, che dirige il Centro di spiritualità Papa Luciani a Santa Giustina Bellunese.

Le celebrazioni con Scola e Magee

Martedì alle 16 l’appuntamento principale del trentennale: la concelebrazione presieduta dal patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola, con i vescovi del Triveneto. Sabato il Concerto della Schola Cantorum di Santa Giustina. Il paese natale di Luciani accoglierà il 28 settembre, nel trentesimo della morte di Luciani, il vescovo irlandese John Magee, già suo segretario. Prima della Messa il presule incontrerà la popolazione per rievocare la figura di Luciani. In quegli stessi giorni il vescovo Andrich sarà a Roma col pellegrinaggio diocesano e commemorerà Luciani nella Basilica di San Pietro. Quest’anno, fra l’altro, si fa memoria anche del 50° dell’ordinazione episcopale di Luciani. La doppia ricorrenza ha indotto la parrocchia di Canale (insieme a Comune e Pro Loco) a rinnovare la mostra alla figura e l’opera di Luciani nei locali della casa canonica. Loris Serafini e gli altri curatori hanno creato un percorso che inizia dalla storica biblioteca cinquecentesca della parrocchia, riordinata nelle estati tra il 1929 e il 1931 dall’allora chierico Albino Luciani, trasformata nello studio di don Filippo Carli, l’arciprete di Canale (1919-1934) che fu il primo vero maestro spirituale di don Albino. Poi le testimonianze di Luciani da patriarca di Venezia (con la stola che gli pose direttamente Paolo VI) e da pontefice.

© Copyright Avvenire, 24 agosto 2008

Ho visto la prima parte di "A Sua immagine" e mi ha colpito molto il fatto che si sia ignorato completamente il legame fra Albino Luciani e Joseph Ratzinger.
Perche'?
Eppure i due si conoscevano bene e si incontrarono, nel 1977, nel seminario di Bressanone.
Anche nella fiction di raiuno questo particolare e' stato omesso.
Perche'?
Perche'?

R.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Vorrei fare solo poche considerazioni:
1) Papa Luciani non è stato il primo ad abolire il plurale majestatis; già Giovanni XXIII usava io invece di noi sopratutto nei discosi a braccio ( es quello dei carcerati di Regina Coeli).
2) Alcuni Papi non saranno mai simapatici ai media e dinque è inutile arrabbiarsi così si fa solo il gioco di certi giornalisti.
3) Stranamente si parla tanto dei 30 anni dalla morte di Paolo VI ma poco dei 30 dalla morte di GPI. A suo tempo ricordiamoci anche di lui che avrebbe potuto essere davvero un Papa magnifico e fare molto bene alla Chiesa, se ne avesse avuto il tempo.
GPI rimane uno dei mei preferiti per la sua dolcezza, umiltà e il suo sorriso, pragonabili a quelli di Benedetto XVI oggi. Anche lui sorride sempre.