5 agosto 2008

L'Anno paolino ulteriore occasione di dialogo tra i credenti. La tradizione multireligiosa della società in Siria (Osservatore R.)


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L'Anno paolino ulteriore occasione di dialogo tra i credenti

La tradizione multireligiosa della società in Siria

di Marta Lago

Damasco, 2. Una società plurireligiosa che sa convivere: la Siria mantiene il suo profilo paradigmatico. E per diffonderlo sta contribuendo anche all'Anno paolino, che attira molti sguardi - dal di dentro e dal di fuori della Siria - verso Damasco. Sulle tracce di san Paolo, cresce nel Paese del Vicino Oriente il numero di visitatori e pellegrini ai quali si è aggiunto di recente - grazie all'Opera Romana Pellegrinaggi e all'appoggio della nunziatura apostolica - un gruppo internazionale di giornalisti invitati dal ministero del Turismo siriano. Quindi, un'opportunità di sperimentare una quotidianità che va al di là del semplice dialogo: si tratta di convivenza, come la definisce il vescovo Armash Nalbandian, primate della Chiesa armeno-ortodossa della diocesi di Damasco. Paolo è anche "esempio del dialogo interreligioso e interculturale, passato e presente", commenta. E sicuramente anche del dialogo ecumenico, al quale punta il vescovo ortodosso invitato al Sinodo dei vescovi dell'ottobre prossimo. Dall'appuntamento di Roma si aspetta un punto di incontro su ciò che unisce i cristiani nella Bibbia.
Jamal Mustafa Arab, direttore della Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco, difende il dialogo islamo-cristiano che è sempre esistito in Siria. "Nessuno appartenente ad alcuna religione deve rinchiudersi in se stesso", ribadisce. Ricorda la testimonianza dell'incontro interreligioso di Giovanni Paolo ii durante la sua indimenticabile visita alla moschea il 6 maggio del 2001. "Il dialogo interreligioso - disse allora Papa Karol Wojtyla - è più efficace quando nasce dall'esperienza del "vivere gli uni con gli altri", ogni giorno, in seno alla stessa comunità e cultura".
Un viaggio di Benedetto xvi a Damasco preceduto da un incontro con il Papa a Roma: questo il desiderio espresso - di fronte al gruppo di giornalisti convocati presso il ministero del Culto siriano - da Ahmed Badr Al Deem Hassun, Gran Muftì della Siria. È una dimostrazione di cortesia che rientra nella normalità. Come confermano fonti ecclesiastiche, Papa Ratzinger ha ricevuto inviti ufficiali da tutti i Paesi "paolini", dove si recheranno inviati pontifici per la chiusura dell'Anno dedicato all'apostolo delle genti.
Siriani musulmani e cristiani condividono preoccupazione e prevenzione per il fondamentalismo islamico, coscienti che esso si sta diffondendo in altri Paesi. Il clima bellico che circonda la Siria e la situazione economica che spinge i giovani a fuggire all'estero si aggiungono alle sfide di una società che, per natura accogliente, si sforza in tutti i settori di far spazio al milione e mezzo di rifugiati iracheni arrivati negli ultimi tre anni. "Molti portano con sé odio, hanno perso tutto", spiega con preoccupazione padre Antonio Musleh, vicario giudiziale della Chiesa Melchita a Damasco.
Sono numerosi gli iracheni che non intendono integrarsi in modo normale; sono solo di passaggio in attesa del visto per l'occidente. Questo fenomeno migratorio provoca tensioni all'interno della società siriana - di venti milioni di abitanti -, che mantiene una convivenza equilibrata tra i gruppi di credenti: il novanta per cento musulmani, soprattutto sunniti; il dieci per cento cristiani, per la maggior parte ortodossi.
"Grazie a Dio in Siria non ci sono problemi di carattere religioso; finora tutte le comunità religiose hanno sempre vissuto in pace, non solo i cristiani"; "è il governo e in particolare il presidente, Bashar Al Assad, a cercare di mantenere questa posizione", sottolinea il sacerdote melchita. Essere cristiano in Siria oggi "significa vivere nuovamente la missione di Paolo", che "partì da Damasco per portare la pace di Gesù a tutti", aggiunge padre Musleh. E se Paolo "ricevette la fede cristiana a Damasco", "la sua testimonianza definitiva la dette a Roma", sottolinea l'arcivescovo Youssef Massoud Massoud, della eparchia dei maroniti di Laodicea (Tartous).
Per il presule, il fatto di essere cattolico in Siria è indice dei forti legami delle Chiese orientali con il Papa. "È una gioia profonda - ammette - sentire che siamo davvero cattolici e che siamo uniti al Santo Padre". La comunità cristiana siriana conserva la fede e vive la religiosità "poiché è impossibile per gli orientali non credere in Dio" afferma il sacerdote melchita Faez Fregiat del monastero di San Sergio a Maalula, dove sopravvive la lingua aramaica di Gesù. "Sono soprattutto i cristiani d'oriente - aggiunge - a vedere con preoccupazione la decristianizzazione dei Paesi occidentali".

(©L'Osservatore Romano - 3 agosto 2008)

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