21 luglio 2007

La modernita' nel Pontificato di Papa Benedetto


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RIFLESSIONI

La modernità nel pontificato di Ratzinger

di FRANCESCO PAOLO CASAVOLA

L’INTERVISTA concessa dal cardinale segretario di Stato, il salesiano Tarcisio Bertone, che ha per tema, soprattutto nelle intenzioni degli intervistatori, la personalità di Papa Benedetto XVI, consente di leggere, con la chiarezza di concetti e parole, che San Giovanni Bosco ha lasciato in eredità ai preti del suo ordine, il cammino sul quale la Chiesa cattolica si muove. Che le donne stiano per avere ruoli di responsabilità negli organismi vaticani, non fa meraviglia, in primo luogo perché qualcuna di esse è già investita di tali compiti, in secondo luogo perché da tempo la dottrina della Chiesa ha superato ogni residua rappresentazione di disparità nella declinazione maschile e femminile della persona umana.
Quanti ricordano la Lettera alle donne di Giovanni Paolo II del 1995? E quanti hanno letto il documento della Congregazione per la dottrina della Fede, presieduta dall’allora cardinale Ratzinger, del 2004, intitolata “Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo”?
In questo secondo testo, ricorre un passaggio sulla intuizione profonda che la donna ha di sé «collegata alla sua capacità fisica di dare la vita. Vissuta o potenziale, tale capacità è una realtà che struttura la personalità femminile in profondità. Le consente di acquisire molto presto maturità, senso della gravità della vita e delle responsabilità che essa implica. Sviluppa in lei il senso ed il rispetto del concreto, che si oppone ad astrazioni spesso letali per l’esistenza degli individui e della società. E’ essa, infine, che, anche nelle situazioni più disperate e la storia passata e presente ne è testimone possiede una capacità unica di resistere nelle avversità, di rendere la vita ancora possibile pur in situazioni estreme, di conservare un senso tenace del futuro e, da ultimo, di ricordare con le lacrime il prezzo di ogni vita umana».
La Lettera alla Cina, che il cardinal Bertone, definisce una mano tesa del Papa ai cinesi, può rivelarsi un ritorno allo spirito del gesuita maceratese Matteo Ricci, che tra il 1601 e il 1610, convertì al cattolicesimo duemila cinesi, rivalutando di quell’area del mondo l’alta tradizione etica degli insegnamenti di Confucio. Tradizionalismo? No, se si tien conto del diverso contesto della Cina moderna, che si apre alla cultura occidentale, che traduce e divulga i classici latini, a cominciare dal “de officiis” di Cicerone, che allestisce il proprio codice civile direttamente sulle Istituzioni e sui “Digesta” di Giustiniano, selezionando quanto di vitale contiene ancora quella cultura occidentale che la Chiesa cattolica non ha mai trascurato di ravvivare accanto alla sua missione religiosa universale.
Così come non è rifugio nella tradizione la messa in latino, se la si libera dalla invocazione per la conversione degli Ebrei. Non è arroccamento nella legittimità della sola Chiesa cattolica, se al dialogo ecumenico viene più chiarezza nel distinguere le Chiese orientali dalle comunità protestantiche, inducendo una storicizzazione della fede cristiana più coerente con la Rivelazione e meno condizionata da dottrine teologiche e giuridiche, causa di controversie e divisioni, che oggi appaiono anacronistiche.
Ed infine, quanto al cenno del cardinale Bertone alle tante preoccupazioni del Papa per i conflitti nel mondo e per l’apostasia dell’Europa dal cristianesimo, ebbene moltitudini condividono le stesse angosce, anche se il teatro mediatico tende ad occultarle.

© Copyright Il Messaggero, 21 luglio 2007

Parleremo del teatrino mediatico fra poco...
Ed ecco un articolo che lascia davvero il tempo che trova...teatrino? Si'! Uno dei tanti...
R.


L'ora delle suore-femministe

"Dal Papa e dal Cardinal Bertone buone aperture, ma vogliamo le quote rosa"

GIACOMO GALEAZZI

CITTA' DEL VATICANO
Ma quale parità, per ora sono solo parole. Anche il Santo Padre appena eletto ha detto di voler concedere maggior spazio alle donne nella Chiesa, però poi in concreto non è cambiato nulla e non rimane traccia di quei buoni propositi. La verità è che nella Chiesa ci sono secoli di maschilismo da superare e opposizioni interne impossibili da smuovere», scuote la testa suor Maria Anna, novizia etiope delle Francescane. Tra le resistenze della Curia e la richiesta di maggior potere al femminile da parte delle religiose, la «rivoluzione rosa» ipotizzata dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone, suscita timori e speranze in una insolita guerra dei sessi in Vaticano. «Ben vengano le innovazioni nella struttura gerarchica, ma la donna è già stata riscattata da Cristo due millenni fa. Il processo di emancipazione e valorizzazione femminile era già tutto delineato nel Vangelo, la Chiesa continua a far fatica ad adeguarsi - commenta suor Vincenzina Cavicchi delle Suore Minime dell’Addolorata -. Le limitazioni restano ed è inutile farsi illusioni. Stiamo ancora muovendo i primi passi nei consigli pastorali e molti mugugnano. Certo, alcuni impedimenti sono stati rimossi e tocca a noi attivarci. Nella nostra congregazione, per esempio, puntiamo sull’istruzione per favorire l’avanzamento delle donne».
E’ ottimista suor Vittoria Imineo, 50 anni, che dal convento delle Ancelle del Buon Pastore attende «fiduciosa» gli sviluppi della svolta di Bertone. «E’ un processo irreversibile, la Chiesa si sta lentamente spostando da un secolare maschilismo a dinamiche più al passo con i tempi - afferma -. L’apertura di Bertone consentirà una serie di opportunità: dobbiamo avere il coraggio di conquistare spazi e incarichi ecclesiali di vera responsabilità». Dalla lettera «Mulieris dignitatem» di Giovanni Paolo II il vento è cambiato. «Le dichiarazioni prima di Benedetto XVI e ora del segretario di Stato non sono intenzioni lodevoli come le «quote rosa» in politica, ma una precisa scelta di campo - aggiunge suor Vittoria -. Abbiamo molto da fare per riequilibrare la situazione che vede quasi tutti uomini al comando degli uffici curiali». Un «new deal» per l’altra metà del cielo, insomma, che sembra anticipato anche dalla nomina della suora salesiana Enrica Rosanna a sottosegretario del dicastero vaticano per gli Istituti di vita consacrata.

«Tutto ciò che è nuovo comporta rischi e nell’organizzazione ecclesiale non si procede per balzi in avanti: ogni mutamento va preparato bene per non suscitare un’ondata contraria - osserva suor Anna Maria Genco, superiora delle Clarisse -. Non è che adesso basta essere donna per essere competente e adatta a ricoprire una carica. In ogni modo, il segnale di apertura del cardinal Bertone è positivo e adesso andrà gradualmente tradotto in indicazioni concrete per rendere operativo il cambiamento nei rapporti di forza. La settimana scorsa il nostro vescovo è venuto in monastero per annunciare una serie di nomine diocesane e mi ha risposto "non esageriamo" quando, scherzando, gli ho prospettato una donna come vice-parroco».

Niente strappi, quindi. «Serve un adeguamento culturale per colmare le lacune e ritardi, a cominciare dagli ambiti nei quali noi religiose potremmo fornire un contributo significativo: la pastorale dei giovani e la preparazione dei fidanzati al matrimonio - sottolinea -. Per accedere ai posti di comando dobbiamo fare un passo alla volta, altrimenti qualsiasi errore o forzatura fornirebbe argomenti a chi non vuole che le cose progrediscano».

Nessuna suora, nella «fronda femminista», si spinge, però, fino alla richiesta-tabù dell’ordinazione sacerdotale delle donne. «Nelle parrocchie collaboriamo il più possibile con i preti, ma restiamo sempre un gradino sotto - spiega suor Emilia Smorgon, domenicana delle Ancelle del Signore -. Noi sgobbiamo per ottenere un ruolo sul campo e, piuttosto che attendere innovazioni dall’alto, ci impegniamo ogni giorno ad allargare i settori del nostro impegno: dall’assistenza, alla formazione, dalla catechesi all’animazione liturgica». Una parità dal basso, quindi, senza attendersi particolari avalli dalla gerarchia. L’ostacolo maggiore è la preparazione: per varcare la soglia della «stanza dei bottoni», infatti, mancano l’esperienza e la «scuola di comando», appannaggio esclusivo dei sacerdoti. «La gran parte di noi consacrate siamo state indirizzate fin da giovani alle opere di solidarietà e carità piuttosto che ad un percorso di studi - analizza suor Emma Bottamedi, 63 anni, delle Missionarie del Sacro Cuore di Roma -. Nella Chiesa si avverte ancora la tradizionale linea maschilista e, rispetto alla società, siamo rimaste indietro. Certo, i posti di responsabilità restano irraggiungibili per le donne, ma è altrettanto vero che per raggiungere quegli incarichi serve una preparazione che nella quasi totalità dei casi non abbiamo. Se c’è da costruire un seminario, nulla impedisce che sia una donna a gestire le finanze di una diocesi o del Vaticano. Però, dobbiamo guadagnarci sui libri la nostra fetta di potere. Non agognarla come una concessione».

© Copyright La Stampa, 21 luglio 2007

Mi auguro che queste brave sorelle non abbiano pronunciato certe frasi...
Comunque, come in ogni campo, occorre studiare per ottenere qualcosa: nessuno impedisce ad una suora di studiare teologia o giurisprudenza, per esempio
!
R.

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