9 luglio 2007
Messa tridentina: il commento del card. Lehmann e l'intervista di Fabio Colagrande al teologo Vitiello per Radio Vaticana
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Nel segno della riconciliazione, pubblicato il Motu proprio di Benedetto XVI "Summorum Pontificum" sull'uso del Messale Romano del 1962
Il Motu proprio del Papa sulla Messa in latino "è un passo positivo": lo ha affermato il cardinale Lehmann, capo della Chiesa tedesca. Il commento del teologo, don Salvatore Vitiello
“Con la sua iniziativa liturgica, Papa Benedetto vuol dare un contributo alla riconciliazione della Chiesa”. I vescovi tedeschi - come pure quelli francesi e svizzeri - sono in piena sintonia con lo spirito e le intenzioni dichiarate da Benedetto XVI nel suo Motu proprio Summorum Pontificum, che disciplina l’uso liturgico del Messale Romano del 1962. Ieri a mezzogiorno - al momento in cui il Motu proprio veniva ufficialmente reso noto - il presidente della Conferenza episcopale tedesca, il cardinale Karl Lehmann, ha tenuto una conferenza stampa a Monaco di Baviera per esprimere la posizione della Chiesa locale sul documento. Riascoltiamo alcuni passaggi del porporato, in questo servizio di Alessandro De Carolis:
Ich bin ganz fest davon überzeugt…
“Sono assolutamente convinto che si tratti di un passo positivo per tutti coloro che amano questo tipo di Messa e che non vogliono essere accantonati in un angolo come se appartenessero ad una setta e come se facessero qualcosa di anormale. Non è giusto mettere in negativo un tipo di Messa che nella Chiesa è stata utilizzata per secoli. Chi ha cercato di farlo e parla di rottura in questo senso, in realtà non ha capito nulla.”
Non fa certo uso di diplomazia a scapito della chiarezza, il cardinale Lehmann, nell’esporre il punto di vista della Chiesa in Germania circa il Motu proprio di Benedetto XVI. Tra l’edizione del Missale Romanum promulgata 45 anni fa dal Beato Giovanni XXIII e la forma rinnovata dopo il Concilio - si legge nel comunicato diffuso ieri a Monaco di Baviera - “non esiste una rottura, come certi dicono. Non esiste un fosso tra ‘l’ante-conciliare’ ed il ‘post-conciliare’. Esiste invece una continuità nell’evoluzione di cui però spesso non è dato conto”. Continuità che il cardinale Lehmann ha riconosciuto come un valore aggiunto a partire dalla sua stessa formazione sacerdotale:
Ich finde diese Messe ist etwas…
“Credo che questo tipo di Messa sia sempre stata parte della Chiesa, e quindi fa parte anche della mia vita. E’ vero anche che da giovane sacerdote in essa ho costruito la mia devozione per l’Eucaristia. Non l’ho mai percepita come un qualcosa di estraneo. Devo però anche dire che nei miei quasi 25 anni da vescovo ho sempre potuto constatare come, al di là di alcuni abusi, la riforma liturgica si possa considerare un’opera riuscita. C’è anche molto rispetto, le comunità l’hanno accettata di buon grado.”
In Germania come in altre diocesi del mondo, diversi gruppi hanno fatto da tempo richiesta di poter celebrare la Messa in Latino secondo l’antica forma liturgica. Ora, “con queste richieste - si afferma nel comunicato della Conferenza episcopale tedesca - i vescovi e i sacerdoti dovranno agire in modo saggio, per non perdere d’occhio l’interesse della comunità e per non far nascere delle controversie”. Uno scenario che il cardinale Lehmann ha presentato con la consueta incisività:
Die Zahlen - ohne dass ich jetzt mit Zahlen…
“Le cifre - senza volerci giocare o addirittura fare politica - le cifre dei cristiani, dei cattolici, che si sentono vicini alle forme tradizionali non sono poi cosi alte. Ovviamente, ci sono anche persone che vi aderiscono per varie e diverse ragioni. Se poi teniamo conto del fatto che nell’ultimo anno abbiamo offerto possibilità di celebrare la Messa tradizionale, forse non in modo adeguato ma pur sempre sufficiente, penso che l’atmosfera non dovrebbe essere poi troppo agitata. Spero che da entrambe le parti si riesca ad orientare le ‘teste calde’ verso una posizione più moderata. Questo, comunque, è ciò che vuole il Papa”. (Traduzione a cura di Mario Galgano)
Per un commento sui contenuti e sulle prospettive che si aprono con il Motu proprio di Benedetto XVI, Fabio Colagrande ha intervistato don Salvatore Vitiello, docente di Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica di Roma:
R. - Non si tratta di un provvedimento restrittivo, ma di un allargamento delle possibilità di celebrare la sacra liturgia. In particolare, penso che si possa leggere questo intervento secondo la già reiterata posizione ratzingeriana dell’allargamento della ragione. Si tratta di non restringere nulla nella celebrazione, ma di allargare la possibilità che altri fratelli, in piena comunione con la Chiesa di Roma, in piena obbedienza al Papa e ai vescovi, soltanto desiderano celebrare in una forma diversa del medesimo Rito romano, possano farlo liberamente e credo che nessuno debba temere o debba avere paura della libertà. Laddove si amplia la libertà, si deve senz’altro gioire perché oggi la Chiesa è più libera: non è meno libera. E questo è molto importante, credo.
D. - Come leggere dunque questo provvedimento nel contesto del magistero di Benedetto XVI?
R. - Certamente, c’è un "filo rosso" che lega questo provvedimento all’ormai storico discorso del 22 dicembre 2005 alla Curia Romana, quando il Papa fece quell’intervento sull’ermeneutica del Concilio Ecumenico Vaticano II. Ci sono due ermeneutiche contrapposte, quella della discontinuità e della rottura, che il Papa ha chiaramente detto essere erronea perché foriera di equivoci, di disorientamento nel popolo, perché nella Chiesa non può esserci rottura: la Chiesa è un unico corpo mistico, che nei secoli cammina nella storia, e in essa ci sono giustamente riforme, o se si vuole “aggiornamenti”... Tuttavia, all'interno di questo sviluppo non si danno fratture. Dunque, il Papa in quel discorso famoso ha dichiarato con grande chiarezza e limpidezza che l’ermeneutica della discontinuità e della rottura nella Chiesa, la famosa ermeneutica dello Spirito conciliare non ha portato frutti, mentre silenziosamente - ha detto il Papa in quel discorso - l’ermeneutica della riforma sta portando i propri frutti, dopo oltre 40 anni. Per cui, alla luce di quel discorso lì, si può interpretare questo Motu proprio. Ritengo che làddove il Papa afferma - e questa è una novità grandissima: anche a livello linguistico dobbiamo correggere noi teologi, e i liturgisti dovranno farlo altrettanto, il linguaggio - che non si tratta di due riti: il Rito di San Pio V e il Rito di Paolo VI, ma si tratta di un unico Rito in due forme.
D. - Come verrà accolto questo documento? Quali previsioni si possono fare?
R. - Molto semplicemente, è un grande appello di obbedienza innanzitutto a noi sacerdoti e ai vescovi, per mostrare un volto unito. Credo che la grande sfida di queste prossime ore, giornate, settimane, sia mostrare al mondo il vero volto della Chiesa che è Una, Santa, Cattolica e Apostolica, unita a Pietro. Quindi, i vescovi dovranno dare l’esempio anche ai loro presbiteri, di profonda unità con il Vescovo di Roma. E se noi daremo questo esempio di grande unità, anche il mondo dei media si allineerà e recepirà il documento secondo il suo vero spirito, senza far leva su possibili dissensi che qualcuno potrebbe anche avere, magari nel foro interno, ma - tenuto secondo l’esortazione della stessa Congregazione per la Dottrina della Fede sulla vocazione ecclesiale del teologo, che ovviamente si può anche applicare al pastore - senza esprimerli, senza creare fratture indebite che in questo momento assolutamente non favorirebbero la giusta recezione.
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“Riconciliazione”: è questa la parola chiave, “la ragione positiva” del Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI sull’uso del Messale Romano del 1962, pubblicato oggi. A sottolinearlo è il Papa stesso nella Lettera indirizzata ai presuli di tutto il mondo, che accompagna il documento. Lo sguardo al passato, “alle divisioni” che “hanno lacerato il Corpo di Cristo”, scrive il Pontefice, mi hanno spinto a “fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente”. Sui punti salienti del Motu proprio, che entrerà in vigore il 14 settembre di quest’anno, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, il servizio di Alessandro Gisotti:
Sin dall’art. 1, il Motu proprio stabilisce che il Messale Romano, promulgato da Paolo VI nel 1970 è l’espressione ordinaria della lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino. Il Messale promulgato da San Pio V e nuovamente edito dal Beato Giovanni XXIII deve essere, perciò, considerato come forma straordinaria. Non si crea, dunque, in alcun modo una divisione nella “legge della fede”, giacché si tratta di “due usi dell’unico rito romano”. E’ lecito, quindi, celebrare la Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano del 1962. A tal fine, il Motu proprio di Benedetto XVI indica nuove regole, che sostituiscono quelle stabilite dai documenti anteriori “Quattuor abhinc annos” ed “Ecclesia Dei”. Viene stabilito che nelle Messe celebrate, senza popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, possa, senza bisogno di alcun permesso, usare il Messale del 1962 o quello promulgato da Paolo VI. E ciò in qualsiasi giorno, “eccettuato il Triduo Sacro”. Ancora, si dispone che le comunità degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica possano celebrare la Santa Messa, nei propri oratori, secondo l’edizione del Messale del 1962. A tali celebrazioni sono ammessi anche i fedeli che lo desiderino.
L’art. 5 si sofferma sulla realtà delle parrocchie, disponendo che laddove esista “stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa”, secondo il rito del Messale del 1962. Il parroco dovrà provvedere, affinché “il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del vescovo”, “evitando la discordia e favorendo l’unità di tutta la Chiesa”. Tale celebrazione “può aver luogo nei giorni feriali, nelle domeniche e nelle festività”. Può essere permessa inoltre, in circostanze particolari, come matrimoni, esequie e pellegrinaggi. I sacerdoti che usano il Messale di Giovanni XXIII “devono essere idonei e non giuridicamente impediti”. Nelle Messe celebrate con il popolo, secondo il Messale del 1962, le letture potranno essere proclamate anche nella lingua vernacola. Se un gruppo di fedeli laici “non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco”, l’art. 7 stabilisce che di ciò venga informato il vescovo diocesano, che “è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio”. Qualora non potesse, la questione va riferita alla Commissione Pontificia Ecclesia Dei eretta da Giovanni Paolo II nel 1988. Lo stesso il vescovo dovrà fare laddove fosse ostacolato nel rispondere alle richieste dei fedeli laici. All’art. 9, si dispone che il parroco possa concedere la licenza di usare il rituale più antico nell’amministrazione dei Sacramenti del Battesimo, Matrimonio, Penitenza e Unzione degli Infermi. Agli Ordinari viene anche concessa la facoltà di celebrare il Sacramento della Confermazione e, qualora sia ritenuto opportuno, di erigere una parrocchia personale o nominare un cappellano, per le celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano. Negli ultimi articoli del documento, si conferma che la Pontificia Commissione Ecclesia Dei continua ad esercitare il suo compito. Oltre alle facoltà di cui già gode, tale Commissione eserciterà l’autorità della Santa Sede, vigilando sull’osservanza e applicazione delle disposizioni del Motu proprio.
Come sottolineato, il documento è accompagnato da una Lettera, indirizzata ai vescovi di tutto il mondo. Il Papa spiega le motivazioni di questo Motu proprio, che risponde a “insistenti preghiere” di non pochi fedeli, a lungo soppesate già da Giovanni Paolo II e oggetto di approfondimento nel Concistoro, tenutosi il 22 marzo 2006. Il Pontefice non manca di costatare che “notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione”, suscitando “reazioni molto divergenti” per “un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto”. Quindi, affronta quei timori che si opponevano più direttamente a questo documento, come ci riferisce, ancora, Alessandro Gisotti:
Benedetto XVI si sofferma sul timore che venga “intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II”, mettendo in dubbio “una delle sue decisioni essenziali”, la riforma liturgica. “Tale timore - avverte - è infondato”. Il Pontefice ribadisce che il Messale pubblicato da Paolo VI “è e rimane la Forma normale, Forma ordinaria, della Liturgia Eucaristica”. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, e pubblicata da Giovanni XXIII nel 1962, “potrà invece essere usata come Forma extraordinaria della Celebrazione liturgica”. Per questo, è il richiamo del Papa, “non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero "due Riti”, ma piuttosto di un duplice uso “dell’unico e medesimo Rito”. D’altro canto, Benedetto XVI attira l’attenzione “sul fatto che questo Messale non è stato mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in principio, restò sempre permesso”. Introdotto il nuovo Messale, ha ricordato, non furono emanate norme per “l’uso possibile” del Messale anteriore, supponendo che si sarebbe trattato di pochi casi facilmente risolvibili. In realtà, però, si legge nella Lettera, “non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano”.
Il Papa si sofferma così sul movimento guidato dall’arcivescovo Lefebvre, la cui “fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno”. Le ragioni di questa spaccatura, spiega il Papa, si trovavano “più in profondità”, giacché molte persone che accettavano il Concilio Vaticano II ed erano fedeli al Papa e ai vescovi, “desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia”. E ciò anche perché “in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale”. Anzi, sottolinea il Pontefice, il nuovo Messale veniva perfino “inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale ha portato spesso a deformazioni della Liturgia, al limite del sopportabile”. Papa Benedetto confida ai confratelli nell’episcopato la sua esperienza personale. “Ho visto - scrive - quanto siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa”. Ed è per questo, rammenta, che Giovanni Paolo II fu obbligato a dare con il Motu proprio Ecclesia Dei del 1988, un quadro normativo per l’uso del Messale del 1962. Tale documento, però “non contiene prescrizioni dettagliate”, ma si appellava alla generosità dei presuli verso “le giuste aspirazioni” di quei fedeli che richiedevano l’uso del Rito romano. Era quel documento teso anche ad aiutare la Fraternità San Pio X “a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente”. Riconciliazione “finora non riuscita”, è il rammarico di Benedetto XVI. D’altra parte, l’uso del Messale del 1962 è rimasto difficile, anzitutto perché i vescovi, in mancanza di precise norme giuridiche, “temevano che l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio”. Tuttavia, anche per il crescente numero di giovani attirati da questa forma liturgica, “è sorto il bisogno di un regolamento giuridico più chiaro” non prevedibile vent’anni fa. Evidenzia, inoltre, che queste norme “tendono anche a liberare i vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come rispondere alle diverse situazioni”.
Il Papa rivolge poi il pensiero alla seconda preoccupazione emersa nelle discussioni sul Motu proprio, ovvero che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 potrebbe portare a “disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali”. “Anche questo timore - afferma il Papa - non mi sembra realmente fondato”, soprattutto perché l’uso del Messale antico “presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina”. Condizioni, che “non si trovano tanto di frequente”. Per questo, si ribadisce nel documento, il nuovo Messale “rimarrà, certamente, la Forma ordinaria del Rito romano”. Certo, viene riconosciuto che “non mancano esagerazioni” di fedeli “legati all’antica tradizione liturgica latina”. Del resto, è l’invito del Papa, le due Forme dell’uso del Rito Romano “possono arricchirsi a vicenda” inserendo “nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi” nel Messale antico. Allo stesso modo, nel Messale di Paolo VI, si potrà manifestare ancor più quella “sacralità che attrae molti all’antico uso”. Ed esorta a rendere “visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale”.
Benedetto XVI ribadisce dunque che “non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum”. E rammenta che nella “storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura”, sottolineando che ciò che per le generazioni anteriori era sacro “non può improvvisamente essere del tutto proibito o addirittura dannoso”. A loro volta, anche i sacerdoti delle comunità aderenti all’uso antico non possono, “in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi”. Nell’ultima parte della Lettera, il Papa rassicura i vescovi. “Queste nuove norme - scrive - non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità”, essendo il vescovo “moderatore della liturgia nella propria diocesi”. Il Papa invita, inoltre, i vescovi a scrivere un resoconto sulle loro esperienze, tre anni dopo l’entrata in vigore del Motu proprio. E ciò in modo che, qualora fossero venute alla luce delle serie difficoltà, “potranno essere cercate vie per trovare rimedio”.
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6 commenti:
credo che l'intervista di Lehmann dimostri in modo inequivocabile che certi giornalisti di Repubblica sono dei babbei.Mi lascio andare a dirlo. Certo l'articolo di stamattina (ma anche quello di Politi sull'interpretazione del Motu proprio ) non mi ha meravigliato più di tanto, ma io mi dico se è possibile tutte le volte fare la vera esegesi dei testi e delle dichiarazioni per sapere la verità Io credo che nemmeno in URSS la Pravda facesse un lavoro così continuato e martellante. Sto scherzando.
Spero...
La cosa che piu' mi lascia perplessa (anche se ormai non mi sorprende) e' il fatto che si punti tutto sul titolo ad effetto e purtroppo c'e' chi si ferma solo a quello non potendo o non volendo leggere l'intero articolo. Un po' piu' di professionalita' non farebbe male...
Secondo me è proprio quella che scarseggia...........o è quasi inesistente
la professionalità
Il tuo blog, cara Raffaella, è uno strumento di lavoro prezioso.
Puoi anche togliere il mio nome, l'importante è che citi anche la radio vaticana nelle tue esaustive rassegne!
baci,
F.
Grazie del bel complimento.
Mi faceva piacere citare il Suo nome :-)
Grazie a te, allora.
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