7 novembre 2007
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NELLA PARI DIGNITÀ
COLLABORAZIONE NEI VALORI SPIRITUALI E MORALI
FULVIO SCAGLIONE
Abdullah bin Abdulaziz al-Saud. Il nome del sesto re dell’Arabia Saudita è complicato, almeno per le nostre abitudini, ma dovrebbe esserci più familiare. La sua visita a Benedetto XVI, la prima udienza concessa dal Papa a un monarca della casata che fondò lo Stato saudita nel 1932, è quel che si dice, con una formula in questo caso adeguata, un fatto storico.
Quale sia il ruolo dell’Arabia Saudita è presto detto: è cruciale per l’economia mondiale (il petrolio), per gli equilibri politici e per le speranze di pace del Medio Oriente, per il dialogo tra le culture e le fedi. Basti pensare che ha come religione di Stato il wahabismo, una delle forme più severe e rigorose dell’islam, ma ospita anche più di un milione e mezzo di cristiani (su 22 milioni di abitanti), quasi tutti lavoratori stranieri attratti dalla prosperità del Paese.
Nota è anche la biografia del re: sovrano dal 2005, Abdullah bin Abdulaziz è figlio del fondatore della moderna Arabia Saudita. È stato, giovanissimo, sindaco della Mecca e ora, in quanto re, è anche custode delle Sacre Moschee della Mecca e di Medina. Ed è stato lui, nel 2002, a presentare l’iniziativa per la risoluzione del conflitto tra Israele e palestinesi, offrendo a nome dei Paesi arabi la normalizzazione dei rapporti con Israele in cambio del suo ritiro entro i confini del 1967.
Ma quel che forse più conta è che questa visita si realizza in un quadro che appare in pieno movimento. Dal punto di vista politico, la situazione del Medio Oriente (con il neo-espansionismo sciita che ha per motore l’Iran del presidente Ahmadinejad) e la volontà del suo re chiamano l’Arabia Saudita a un più intenso protagonismo internazionale, quindi a maggiori responsabilità. Dal punto di vista religioso, gli interventi di Benedetto XVI, così attento a lanciare ponti verso il mondo islamico e insieme a difendere l’identità e la libertà del cristianesimo e dei cristiani, provocano sommovimenti importanti e offrono occasioni forse insperate.
Poche settimane fa – ricordiamolo ancora una volta – 138 dotti musulmani di 43 Paesi hanno indirizzato al Papa (e ai 'leader delle Chiese cristiane') una lettera per ribadire l’importanza del dialogo tra cristiani e musulmani. Un messaggio che non giunge nuovo a Benedetto XVI, ma che era firmato da autorità importanti nel mondo islamico e che, dunque, potrà far risuonare corde importanti in vaste masse pressate da un lato dalla retorica del radicalismo e dell’estremismo e dall’altro dall’immagine spesso contraddittoria dell’Occidente.
Il rispetto reciproco nella pari dignità diventa così lo scalino indispensabile per qualunque progresso. Ecco perché gli interventi del Pontefice sono particolarmente temuti dai fondamentalisti, che organizzano manifestazioni sanguinose pur di soffocarne l’eco nelle società che, sbagliando, già considerano 'proprie'.
Ma ecco anche perché Benedetto XVI ha potuto ieri ribadire, durante l’udienza con re Abdullah bin Abdulaziz, «il valore della collaborazione tra cristiani, musulmani ed ebrei per la promozione della pace, della giustizia e dei valori spirituali e morali, specialmente a sostegno della famiglia», e rimarcare il valore della «presenza positiva e operosa dei cristiani» che con fatica e impegno collaborano alla prosperità del regno saudita.
Un incontro storico, si diceva. Alla personalità del re e alla sua nota intelligenza, ora, la possibilità di stringere la mano che gli è stata tesa e di rendere storiche anche le sue conseguenze.
© Copyright Avvenire, 7 novembre 2007
«STORICA» VISITA
Dal Papa il re saudita Abdullah «Giusta soluzione dei conflitti»
DA ROMA SALVATORE MAZZA
I giornali arabi non avevano esitato ad annunciarlo come «storico». E davvero la prima visita in Vaticano del Custode delle due Sante Moschee (della Mecca e di Medina), come viene definito il sovrano saudita, sembra meritarsi quell’aggettivo. Non solo in quanto, appunto, una “prima” tra due Paesi tra i quali non esistono relazioni diplomatiche, ma soprattutto per quanto riferito nel pur scarno, come tradizione, comunicato ufficiale diffuso al termine del «cordiale» colloquio tra Benedetto XVI e re Abdullah bin Abdulaziz al-Saud. Durante il quale s’è parlato della necessaria «giusta soluzione» ai «conflitti» mediorientali, c’è stata una importante «menzione» da parte vaticana della «presenza positiva e operosa dei cristiani» (ufficialmente l’Arabia Saudita è musulmana al 100%, ma in realtà ci vivono tra gli 1,5 e i 2 milioni di cristiani immigrati, con gravi limitazioni di culto), e il sollecitare alla collaborazione «tra cristiani, musulmani ed ebrei» per la promozione della pace, della giustizia e dei valori spirituali.
Trenta minuti, tanto è durato l’incontro, davvero importanti insomma. Seguiti da un tempo altrettanto lungo che ha visto il sovrano wahabita faccia a faccia con il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone e il “ministro degli Esteri” della Santa Sede, monsignor Dominique Mamberti. «I colloqui – si legge nel comunicato finale diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede – si sono svolti in un clima di cordialità e hanno permesso di toccare temi che stanno a cuore agli interlocutori. In particolare, si sono ribaditi l’impegno in favore del dialogo interculturale e interreligioso, finalizzato alla pacifica e fruttuosa convivenza tra uomini e popoli, e il valore della collaborazione tra cristiani, musulmani ed ebrei per la promozione della pace, della giustizia e dei valori spirituali e morali, specialmente a sostegno della famiglia». «Nell’augurio di prosperità a tutti gli abitanti del Paese da parte delle Autorità vaticane – è ancora scritto – si è fatto menzione della presenza positiva e operosa dei cristiani.
Non è mancato, infine, uno scambio di idee sul Medio Oriente e sulla necessità di trovare una giusta soluzione ai conflitti che travagliano la regione, in particolare quello israeliano-palestinese».
Re Abdullah, che indossava l’abito nazionale con la tunica blu e la mantella bianca e oro, è stato accolto calorosamente da Benedetto XVI, che gli si è fatto incontro nella sala del Tronetto stringendo entrambe le mani del sovrano tra le sue. Al termine del colloquio privato, il sovrano ha donato al Papa una spada in oro e pietre preziose, e un oggetto d’arte in oro e argento, raffigurante un uomo con un cammello sotto una palma.
Se quello di ieri è stata la prima volta che un re dell’Arabia Saudita si è recato in Vaticano, non si è trattato tuttavia del primo incontro tra autorità vaticane e saudite. Lo stesso Abdullah aveva infatti incontrato Giovanni Paolo II nel maggio del 1999, in occasione di un suo precedente viaggio in Italia, quando era viceministro della Difesa e comandante della Guardia nazionale. Anche il ministro degli Esteri Saud Al Faisal, negli anni passati era stato ricevuto per tre volte da Papa Wojtyla e più recentemente, appena due mesi fa, il 6 settembre, ha incontrato Benedetto XVI a Castelgandolfo.
© Copyright Avvenire, 7 novembre 2007
Il regno degli al-Saud
Giacimenti di petrolio e wahhabismo Il connubio che spinge in alto Riad
DI CAMILLE EID
L’ influenza politica dell’Arabia Saudita deve tutto alla sua importante posizione economica e religiosa. Il controllo di un quarto delle risorse petrolifere mondiali ne fa, infatti, una potenza non trascurabile; Riad si classifica al primo posto tra gli esportatori di questa risorsa che fornisce il 90 per cento del valore delle esportazioni e circa il 40 per cento del prodotto interno lordo del Paese.
L’aumento del prezzo del greggio produce al regno wahhabita un utile ingente, che nel 2005 ha raggiunto i 28 miliardi di dollari. Al ritmo di estrazione odierno, ci vuole un secolo per esaurire le riserve stimate in circa 260 miliardi di barili. Il controllo dei luoghi santi dell’islam, più precisamente le città di Mecca e Medina che hanno visto la predicazione di Maometto, ne fa poi una singolare potenza religiosa. Per sottolineare questo ruolo guida all’interno del mondo islamico, lo Stato non solo ostenta sulla propria bandiera la shahada, la professione di fede islamica, ma considera come propria Costituzione il Corano. Sia il precedente re Fahd sia l’attuale sovrano Abdallah hanno inoltre deciso di portare il titolo di «Custode delle due moschee sacre ».
Il governo di Riad non risparmia così alcuno sforzo per incrementare questa influenza attraverso il finanziamento della costruzione di moschee e centri islamici in ogni parte del mondo, anche in Paesi non islamici. In Italia, ad esempio, capitali sauditi sono stati impiegati nella costruzione della Grande moschea di Roma e di un centro di studi islamici all’Università di Bologna, e in diverse attività di propaganda religiosa attraverso la Lega del mondo islamico.
Il duplice peso economico e religioso permette a Riad di estendere il raggio della sua sfera d’influenza a grandi passi, offrendo una sorta di arbitrato generale per allentare le tensioni locali. Nella questione israelo- palestinese sono noti sia il Piano Fahd degli anni Ottanta, sia l’accordo della Mecca sulla formazione di un governo di unità nazionale palestinese tra Fatah e Hamas, poi fallito.
Nel conflitto libanese sono ancora citati gli Accordi di Taif che hanno messo fine alla guerra nel Paese dei cedri, mentre nel conflitto iracheno è innegabile il tentativo dell’Arabia di arginare la dilagante influenza iraniana nel Paese e nel Golfo. Gli handicap dell’Arabia Saudita nella corsa ad assumere il pieno ruolo di potenza regionale sono comunque tanti, e si devono anzitutto all’esiguo numero dei suoi abitanti; poco più di 18 milioni in un territorio grande sette volte l’Italia, cui si aggiungono ben sei milioni di lavoratori stranieri che rappresentano il vero asse portante dell’economia nazionale. A questo handicap si aggiungono le condizioni connesse alla natura del regime politico saudita, nato da un connubio tra una famiglia regnante (gli Al Saud, appunto) e un’ideologia religiosa militante (il wahhabismo), considerata come la più intransigente del piante islam.
L’influenza dei wahhabiti si esercita attraverso il ferreo controllo del ministeri della Giustizia, dell’Informazione, dell’Educazione, degli Affari religiosi, del Consiglio degli ulema e della polizia religiosa che veglia alla scrupolosa osservanza dei dettami della fede islamica nel Paese: dalla chiusura dei negozi all’ora della preghiera, all’ottemperanza al digiuno del Ramadan, al rispetto del codice di abbigliamento femminile, e fino alle retate contro i non musulmani sorpresi a pregare.
Nel Paese abitano 18 milioni di persone, ma l’asse portante dell’economia sono i 6 milioni di lavoratori stranieri. La dinastia reale «investe» per aumentare l’influenza nel mondo arabo e spende miliardi per costruire moschee in Occidente
© Copyright Avvenire, 7 novembre 2007
IL SOVRANO
Un prudente riformista da due anni sul trono
Già erede designato dal 1982 e reggente dal 1995 in seguito all’impossibilità del fratellastro Fahd di badare agli affari del regno a causa di un ictus, re Abdullah è salito sul trono nell’agosto del 2005 all’età di 81 anni. Figlio di re Abdul-Aziz, il fondatore del regno saudita, e di una madre appartenente alla potente tribù dei Shammar, Abdullah ha avuto il suo primo incarico amministrativo come sindaco della Mecca. Nel 1963 è stato nominato vice ministro della Difesa e comandante della Guardia nazionale, una sorta di esercito parallelo. Ritenuto più nazionalista del suo predecessore, Adbullah ha comunque cercato di favorire un equilibrio tra le tradizioni e il bisogno di modernità. E ha guadagnato crescente fiducia e rispetto, in quanto estraneo a episodi di corruzione che hanno frequentemente riguardato altri principi. Ha anche intrapreso prudenti riforme politiche, organizzando le prime elezioni municipali del regno e limitato i privilegi dei 25mila membri della famiglia reale. Una misura audace se si considera che il regno saudita è l’unico Paese al mondo che non prevede neanche un simulacro di Parlamento (esiste solo un Consiglio consultivo) e che vieta la formazione di partiti politici. ( C.E.)
© Copyright Avvenire, 7 novembre 2007
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