15 dicembre 2007

"Spe salvi", Prof. Brague a "Il Foglio": "L'ellenismo non ha il copyright del logos"


Vedi anche:

L'ENCICLICA "SPE SALVI": LO SPECIALE DEL BLOG

Mons. Angelo Amato: "L'evangelizzazione rispetta e valorizza la libertà dell'altro" (Osservatore Romano)

CONSIGLI DI LETTURA: SANTI (J. Ratzinger) e ASCESA ED AFFERMAZIONE DEL CRISTIANESIMO (Rodney Stark), Edizioni Lindau

"Adotta un prete", parte la campagna spirituale per salvare il clero (Rodari per "Il Riformista")

L'educazione dei giovani sia una priorità, con il sostegno di tutte le istituzioni della Comunità internazionale

Il Papa ai nuovi ambasciatori: «I giovani sono la prima ricchezza di un Paese»

Mantenere vive le tradizioni del Natale come l'albero e il presepe per contrastare i simboli del consumismo

"Gesù di Nazaret" ha un recensore speciale: il vicario di chi l'ha scritto (di Sandro Magister)

Il commento di padre Lombardi al documento della Congregazione per la Dottrina della Fede (Radio Vaticana)

Mons. Amato: la Nota sull'Evangelizzazione indica l'urgenza della missione (Radio Vaticana)

NOTA DOTTRINALE SU ALCUNI ASPETTI DELL’EVANGELIZZAZIONE A CURA DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

Ed anche a Lourdes irrompe l'Anticristo (Socci per "Libero")

Libertà (non solo d'opinione) per i gay ma anche per chi non ne fa parte. L'Italia, ripristinando i reati di opinione, fa il passo del gambero.

Paragone (Libero): "Meglio Opus Dei che gay. E arrestatemi pure"

INTERVISTA CON LO STUDIOSO FRANCESE DEL GIUDAISMO ANTICO

Secondo il professor Brague l’ellenismo non ha il copyright del logos

Marina Valensise

Roma. Nel panorama intellettuale francese Rémi Brague, certo, è un’eccezione. Lo studioso del giudaismo antico e di Maimonide, di Aristotele e dei Padri della chiesa, autore di libri essenziali sul mondo antico e il suo lascito, è un cattolico.
Anche lui ha letto la Spe salvi, e dice di avervi trovato “due o tre perle straordinarie”: ad esempio la lettera di sant’Agostino a Proba e la citazione di Bernardo di Chiaravalle, “Dio è impassibile, ma conosce la compassione”.

Ma l’aspetto che più l’ha colpito è l’idea che la tecnica potrebbe essere una fonte di salvezza, e non solo di miglioramento della condizione umana, e soprattutto l’ha colpito l’attualità bruciante della speranza, che prima dell’incontro con Cristo non esisteva, come spiega Paolo nella lettera agli Efesini.

“Non so se dopo la ‘Deus caritas est’ e la ‘Spe salvi’, il Papa scriverà una terza enciclica sulla fede, ma è probabile”.
Professore di Filosofia medievale alla Sorbona e alla Ludwig Maximilians-Universität di Monaco di Baviera, nella cattedra di Katholische Weltanschauung intitolata a Romano Guardini, che fu maestro di Ratzinger, Brague è stato invitato dagli organizzatori del Meeting di Rimini a una conferenza-intervista sull’idea dell’uomo, lo spirito europeo e i tormenti della modernità, in un incontro fuori stagione, avvenuto mercoledì a Palazzo Taverna. “Parlare di un’idea dell’uomo è discutibile” dice Brague al Foglio. “Per il cristianesimo, l’uomo è una persona, non un’idea. Nel Nuovo Testamento ci sono solo due uomini in tutta la storia. Il primo Adamo, che ha fallito, e il secondo Adamo, Cristo, che è riuscito a realizzare un ideale. Ma l’uomo per il cristianesimo non è un modello da costruire, prima di essere un ideale, è piuttosto un volto, una persona”.

La stessa osservazione si estende secondo Brague al concetto di Logos, con un piccolo appunto all’uso che ne ha fatto Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona.

“Il Papa parla di un incontro tra il logos greco e il messaggio cristiano, ma il logos non è un’esclusiva dell’antica Grecia. Lo si trova già nella Bibbia, e la natura umana della rivelazione cristiana è aperta al logos della discussione ben prima dell’incontro con l’ellenismo.

Lo dimostra il modo in cui i profeti rappresentano Dio che discute col suo popolo: non è un Dio che cerca lo scontro, e minaccia di distruggerlo se non obbedisce, ma un Dio che argomenta, che spiega al popolo eletto le sue ragioni”. Brague è convinto che sin dai libri dei profeti si entra in una dimensione razionale, e persino giuridica.
E dunque critica il legame tra logos greco e cristianesimo, difeso dal Papa per riconciliare ragione e rivelazione. “Cristo è già theologos. Basta prendere l’inizio del Vangelo di Giovanni, la creazione fatta nel Verbo”. Non è solo una notazione dottrinale, ma un punto essenziale, per venire all’altro grande tema del colloquio di Palazzo Taverna, e cioè l’ambivalenza del suddetto incontro tra ragione e rivelazione, alla luce delle tragedie europee del Ventesimo secolo.
“L’Europa ha fatto molti danni, perché era molto potente. Era l’unica civiltà uscita dai propri limiti,” spiega Brague, citando l’appendice al “Futuro dell’occidente”, il saggio Rusconi, riproposto nei tascabili Bompiani, e usando una metafora incisiva “L’elefante più buono del mondo che entra in una cristalleria farà sicuramente più danni del topo più perverso del mondo”.

“Parlare di valori è sintomo di crisi”

Poi ci sono i valori. La cultura europea – questa la diagnosi degli organizzatori del Meeting –, potenza ospitante è entrata in crisi per i suoi stessi valori, la laicità esasperata in laicismo, i diritti umani che si rovesciano nell’idolatria di ogni desiderio, lo stato in statalismo. Come mai? E qui la risposta di Brague, che resta un aristotelico, è paradossale. “Parlare di valori è già sintomo di crisi. Mi sconcerta il modo in cui da una decina d’anni il tema abbia invaso il discorso cattolico. Significa che siamo noi a porre i valori, siamo noi a considerare qualcosa un valore. E invece si tratta di un bene, che è tale per tutti. Non si può parlare di valori cristiani, come se per i non cristiani non valessero. Piuttosto, è meglio parlare di bene, che è un’esperienza del pensiero, e tornare a parlare di fini”. Quando però uno gli obietta le difficoltà di un ritorno alla dottrina di Leo Strauss, il professor Brague si irrigidisce. “Meglio Aristotele e Tommaso d’Aquino. E se proprio serve un contemporaneo, piuttosto che Strauss meglio citare C. S. Lewis e quello che egli chiamava il tao, o la regola aurea, i principi elementari, contenuti nei dieci comandamenti, che si incontrano in tutti i paesi e in tutte le epoche e permettono all’umanità di non sgozzarsi”.
E’ l’universalità del cristianesimo dunque ad essere in causa, e il dialogo con le culture, un altro tema d’oggi. Questo dialogo secondo Brague è cominciato sin dall’inizio. “Il cristianesimo – spiega il professore – ha sempre superato le culture nelle quali si realizzava, ma senza rifiutarle, senza congedarle, sin dalla matrice, che è il rapporto col giudaismo, e poi in seguito la missione fra i barbari, che è stata una sorta di allargamento rispetto alla civiltà europea, per arrivare al distacco dall’impero romano, alla guerra per le investiture, col conflitto tra papato e impero… La chiesa ha sempre conservato il meglio della cultura con cui entrava in contatto, l’Antico Testamento, il diritto romano, la filosofia greca, il rispetto delle istituzioni attraverso le quali la società trova una stabilità. E questo atteggiamento è ancora un modello per pensare l’acculturazione. Se adattarsi alle culture significa rifiutare tutto quello che il cristianesimo ha assimilato e insegnato, sarebbe di una povertà spaventosa”.

© Copyright Il Foglio, 14 dicembre 2007

Nessun commento: