14 dicembre 2007

Mons. Angelo Amato: "L'evangelizzazione rispetta e valorizza la libertà dell'altro" (Osservatore Romano)


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Intervista all'arcivescovo Angelo Amato

L'evangelizzazione rispetta e valorizza la libertà dell'altro

L'arcivescovo Angelo Amato segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede spiega in un'intervista a "L'Osservatore Romano" i contenuti e il senso della "Nota dottrinale su alcuni aspetti dell'evangelizzazione" che è stata presentata venerdì mattina 14 dicembre nella sala stampa della Santa Sede

Francesco M. Valiante

Una minaccia alla libertà di coscienza? Un ostacolo al dialogo ecumenico? Un attentato alla pace? Interrogativi e dubbi - non soltanto da parte non cattolica ma da settori della stessa comunità ecclesiale - investono oggi l'azione della Chiesa nel campo dell'annuncio evangelico.

L'arcivescovo Angelo Amato, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, è esplicito in proposito: "Dall'esterno ci accusano di proselitismo e di intolleranza religiosa. Ma non si può negare che anche nei nostri missionari si stia offuscando la capacità di dare ragioni profonde e convincenti all'opera evangelizzatrice".

Proprio la necessità di offrire una risposta chiara a questi interrogativi ha spinto il dicastero vaticano a pubblicare la Nota dottrinale presentata venerdì mattina, 14 dicembre, nella sala stampa della Santa Sede.
"L'evangelizzazione - sgombra subito il campo dagli equivoci monsignor Amato rispondendo alle domande de "L'Osservatore Romano" - è anzitutto un'esigenza di carità e di condivisione verso i fratelli. Come tale, è estranea ad ogni forma di coercizione o di pressione, perché suppone sempre il rispetto assoluto dell'altro, della sua libertà, delle sue convinzioni". Ma le puntualizzazioni del presule sono rivolte anche ai cattolici. "L'annuncio del Vangelo è un dono gratuito che la Chiesa fa al mondo. Se non ritroviamo le motivazioni e l'entusiasmo per farlo - ammonisce - rischiamo di diventare semplici operatori umanitari o assistenti sociali in terra di missione".

Nelle sue parole si avverte una certa preoccupazione per l'attuale stato dell'evangelizzazione nel mondo. Ma è davvero così allarmante la situazione?

Più che allarmante io la trovo, in un certo senso, paradossale. Da una parte noi constatiamo - e il magistero pontificio lo va ripetendo continuamente - che dopo duemila anni l'evangelizzazione dell'umanità è ben lontana dall'essere compiuta. Anzi, è appena agli inizi. Dall'altra, tuttavia, assistiamo alla progressiva avanzata di una mentalità secondo cui non ci sarebbe più bisogno di evangelizzare, ma tutt'al più di dialogare. A che serve l'evangelizzazione - ci si chiede - in un clima di dialogo ecumenico e interreligioso? Non si rischia di forzare la coscienza altrui proponendo il messaggio cristiano?

Si tratta di una mentalità molto diffusa?

I dati che abbiamo confermano che essa si presenta un po' dovunque, sia pure in misura diversa. Negli istituti missionari, per esempio, c'è oggi un certo smarrimento, sia a livello teorico sia a livello pratico. Molti rischiano di perdere la bussola che orienta la loro azione. Ma anche nelle scuole teologiche le tendenze critiche prendono sempre più piede. Ci sono intere zone ecclesiali dove cresce la confusione. Così può accadere che quando il Papa parla di evangelizzazione tutti applaudono. E poi, nella realtà, gli applausi diventano fischi, perché le sue parole non si trasformano in gesti e in atteggiamenti concreti.

A suo giudizio, da che cosa dipende questo fenomeno?

Da una forma di relativismo teorico e pratico. Sul piano teorico, si ritiene che le varie espressioni religiose siano tutte valide vie salvifiche. Ma questo, com'è ovvio, finisce per rendere superfluo o addirittura controproducente l'annuncio di Cristo come salvatore dell'umanità intera. Per cui, sul piano pratico, diventa sufficiente la testimonianza cristiana silenziosa o attuata soltanto attraverso l'impegno nella promozione umana.

Qual è invece la posizione della Congregazione?

È quella che scaturisce dal magistero - sia conciliare che pontificio - di questi ultimi decenni. Non a caso, di fronte a certe concezioni e atteggiamenti erronei, la Nota pubblicata oggi non fa che richiamare quel magistero, riproponendo i fondamenti del mandato missionario di Gesù.

Veniamo alle questioni concrete. Che cosa rispondete a chi mette in dubbio l'unicità e l'universalità salvifica di Cristo e della Chiesa?

Abbiamo già risposto con solidi argomenti biblici e magisteriali nella dichiarazione Dominus Iesus del 2000. La Nota la richiama in alcuni passaggi, ribadendo che la Chiesa non è "un gruppo di potere" o "un'utopia politica", ma anzitutto "una persona, che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibile". Di conseguenza, il suo dilatarsi nella storia costituisce "un servizio alla presenza di Dio mediante il suo Regno" ed è appunto questa "la finalità della missione".

E a chi accusa i missionari di minacciare la libertà altrui?

Di fronte a questa obiezione la Nota offre alcune considerazioni di carattere antropologico. In primo luogo ricorda che l'evangelizzazione non solo rispetta la libertà dell'altro, ma la sollecita e la valorizza, stimolando in lui la capacità di conoscere e di amare la verità salvifica. In secondo luogo sottolinea che essa risponde al desiderio di ogni uomo libero di far partecipi gli altri dei propri beni. Si tratta cioè della condivisione di un bene che il cristiano propone ad un'altra persona nel rispetto della sua coscienza e in spirito di carità.

Allo stesso modo in cui si condivide il pane con chi è nel bisogno?

Esattamente. Nessuno ha da ridire se un missionario sfama e disseta un povero: non fa che mettere in comune un bene materiale per salvare un essere umano dalla morte. Allora perché scandalizzarsi quando lo rende partecipe del bene più prezioso che ha, cioè la fede in Cristo? La salvezza materiale non sostituisce né rende superflua la salvezza spirituale. Ciò che lega i due gesti è sempre l'amore e il rispetto per l'altro.

Eppure la storia ci insegna che non sempre è avvenuto così.

Come in ogni opera umana, anche qui può subentrare il peccato. La Nota lo riconosce esplicitamente: può accadere che si ceda all'inganno, agli interessi egoistici o all'arroganza, offendendo così la dignità e la libertà dell'altro. Ma non dimentichiamo anche l'altra faccia della medaglia: il martirio a cui sono andati incontro tanti testimoni che non hanno cercato potere o guadagno, ma hanno donato la loro vita per Cristo e per i fratelli.

Diventa importante, quindi, l'esemplarità della testimonianza personale.

Senza però sminuire il valore di quella comunitaria. Sin dagli inizi l'evangelizzazione è una chiamata a diventare discepoli di Cristo e membri della sua Chiesa. Questo è l'aspetto ecclesiologico dell'evangelizzazione, al quale è dedicata una parte significativa della Nota.
Il termine "conversione" chiama in causa gli stessi battezzati. Invitando ad essa la Chiesa si fa strumento della presenza di Dio nella storia e quindi della sua carità, per un'autentica promozione dell'uomo e del mondo. In questo senso, alla predicazione pubblica del Vangelo deve appunto affiancarsi la testimonianza di fedeltà, di coerenza e di santità dei fedeli. Parola e testimonianza si illuminano a vicenda: se la parola è smentita dalla condotta, rimane inefficace; ma lo stesso vale per la testimonianza, quando non è sostenuta da un annuncio chiaro e inequivocabile.

È possibile conciliare questo annuncio con l'impegno nel dialogo ecumenico?

La Nota è molto chiara in proposito. Per quanto riguarda l'evangelizzazione in paesi dove vivono cristiani non cattolici, si richiede da parte nostra un autentico rispetto per la loro tradizione e le loro ricchezze spirituali, oltre che un sincero spirito di cooperazione. L'impegno ecumenico chiama tutti all'ascolto, alla discussione teologica, alla testimonianza. Ma anche all'annuncio.

Ed è qui che scattano per la Chiesa le accuse di proselitismo.

Anche su questo va fatta chiarezza. Cominciamo col dire che il termine "proselitismo" nasce in ambiente ebraico, dove "proselito" indicava colui che proveniva dalle nazioni pagane ed era passato a far parte del popolo eletto. Anche in ambito cristiano questo termine spesso è stato utilizzato come sinonimo di attività missionaria. Però recentemente - soprattutto in campo ecumenico - il termine ha assunto una connotazione negativa, come pubblicità indebita alla propria religione, con mezzi e motivi contrari allo spirito del Vangelo.

Come risponde la Nota a queste accuse?

Riaffermando appunto che l'evangelizzazione non mira al proselitismo nel senso negativo del termine, dato che essa viene fatta nel rispetto della libertà e della coscienza altrui, con carità e con assoluto riguardo alla dignità della persona. Solo la Parola di Dio e la grazia dello Spirito Santo - non la forza e la prevaricazione - possono veramente convincere e convertire i cuori e le menti.

E nel momento in cui avvengono queste conversioni?

Se un cristiano non cattolico, liberamente e coscientemente, chiede di entrare nella comunione con la Chiesa cattolica, noi riteniamo che debba essere rispettato, perché si tratta di un'espressione della libertà di coscienza e di religione. A tutti, in ogni caso, va riconosciuto il diritto e la responsabilità di annunciare in pienezza la propria fede, anche ai cattolici nei riguardi degli altri cristiani che liberamente accettano di accoglierla. Rifiutare ciò significherebbe negare un diritto umano fondamentale.

In definitiva, a che cosa mira la Nota?

Nelle menti e nei cuori dei cattolici, soprattutto dei missionari e delle missionarie sparse nel mondo, vuole essere un invito - pieno di rispetto e di carità - a riaccendere l'entusiasmo missionario, ricordando il monito di san Paolo: "Guai a me se non predicassi il Vangelo!". Nel deserto contemporaneo di luce e di verità, l'annuncio del Vangelo è un'esigenza di carità nei confronti del nostro prossimo e una risposta di fedeltà al comando di Gesù: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura". È stata questa la testimonianza dei primi cristiani, soprattutto dei martiri, ed è questa l'eredità che oggi è affidata ai missionari in tutto il mondo.

(©L'Osservatore Romano - 15 dicembre 2007)

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