28 febbraio 2008
Contro la mercificazione della cultura è necessaria una conoscenza autentica...che non si compra (Ornaghi per l'Osservatore Romano)
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Contro la mercificazione della cultura è necessaria una conoscenza autentica
La conoscenza non si compra
di Lorenzo Ornaghi
Nella società della conoscenza che cosa realmente è la conoscenza?
Conoscenza significa la comprensione di dati, fatti, informazioni, alla luce di criteri in grado di ordinare tali contenuti in un insieme il più possibile coerente. Se conveniamo su questa pur sommaria ma non inesatta definizione, cogliamo allora quanto sia essenziale il distinguere tra conoscenza e semplice possesso di informazioni. (...)
Le informazioni attualmente sembrano il cibo virtuale di cui può sfamarsi a piacimento ogni individuo, il quale - trovandosi in qualsiasi pur minima o remota parte della società - sia connesso a una sorgente molteplice e ipoteticamente inesauribile di notizie, commenti e riferimenti a oggetti di numero se non infinito, certamente enorme, per il tramite dei nuovi mezzi di comunicazione sociale cosiddetti "di massa".
Ma se le informazioni ci investono con la crescente energia di un'onda le conoscenze di cui disponiamo rappresentano i nostri battelli, le nostre vele, i nostri remi e, in fondo, noi stessi mentre ci avventuriamo tra i flutti. Fuor di metafora: la conoscenza è in realtà un processo intimamente relato con il soggetto conoscente, e insieme è il suo stesso risultato. È allora evidente quanto sia decisivo il ruolo della persona che conosce nella elaborazione della conoscenza medesima.
Nonostante questo, oggi pare maggiormente enfatizzata e assecondata l'esigenza di accumulare quante più informazioni possibile (non di rado erroneamente scambiate per conoscenza), nella illusoria convinzione che tale accumulo comporti una più grande capacità di comprensione del mondo, delle relazioni con gli altri, di se stessi. Oggi, di conseguenza, s'insegue il mito fallace della "società dell'informazione" rinunciando a uno sforzo di autenticità e di compimento delle potenzialità umane.
La società della conoscenza, invece, definisce un orizzonte che dovrebbe spingerci in una diversa direzione, ci propone di guardare a chi l'uomo possa essere nella sua pienezza, e nel contempo ci sprona ad affrontare, con rinnovata urgenza, la questione educativa. Poiché, se la conoscenza è un processo - e quindi un percorso - proprio dell'uomo, a tale percorso occorre essere educati. E sottolineo il termine "educati", perché troppo spesso cadiamo nell'equivoco di ragionare sull'educazione, in realtà riferendoci a nulla più che a un addestramento.
Ecco emergere il nesso cruciale fra società della conoscenza e università. Proprio quest'ultima si conferma come il "luogo naturale" della educazione allo sviluppo della conoscenza, orientata a una unitarietà ordinata, coerente e consapevole delle informazioni. (...)
Il Cristianesimo offre, al riguardo, una chiave di lettura tanto preziosa quanto ineludibile. Il Dio vivente è il modello a cui ogni cristiano deve guardare, per proporlo in primo luogo a se stesso e quindi a tutti coloro i quali abbiano a cuore il destino dell'intera comunità umana. (...) La ricerca della verità si deve allora connotare come un consapevole esercizio di libertà, nell'indagine sui grandi temi, specialmente delle scienze umane e sociali, le quali, pur operando in campi di non immediata redditività, lavorano sui tempi più lunghi delle trasformazioni antropologiche e culturali. L'università, soprattutto quando cristianamente ispirata, è chiamata a rendere sempre più visibile e realmente praticabile quel "nuovo umanesimo" che ha segnato il lungo e appassionato magistero di Giovanni Paolo II e che con rinnovato coraggio è oggi propugnato da Benedetto XVI.
La "persona che conosce" può allora tornare a essere collocata al centro del progetto formativo che l'università ha il dovere di animare in forza dell'autorevolezza del proprio ruolo sociale, insieme tuttavia all'indispensabile contributo della famiglia e della società civile. Solo se anche in questo caso viene compiuto un convinto sforzo nel segno dell'unitarietà da parte di tutte le agenzie educative, potrà essere contrastata una certa deriva consumistica della cultura, che pare dilagare. Solo così i nostri giovani verranno spronati a non subire i momenti educativi, al limite partecipando con l'atteggiamento di chi si rechi a un mercato dove acquistare una merce: come avviene invece con le informazioni, appunto.
La cultura non è merce; la letteratura o la matematica non possono essere comprate.
(©L'Osservatore Romano - 29 febbraio 2008)
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