28 febbraio 2008

Monsignor Sgreccia e la verità al malato incurabile: intervento del Presidente della Pontificia Accademia per la Vita (Zenit)


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Su segnalazione della nostra Luisa, leggiamo:

Monsignor Sgreccia e la verità al malato incurabile

Intervento del Presidente della Pontificia Accademia per la Vita

di Marta Lago

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 27 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Non solo una “verità clinica”, ma “una verità globale” del valore che hanno la fine della vita e la speranza che la sostiene: è l'informazione a cui ha diritto il paziente incurabile, avverte il Presidente della Pontificia Accademia per la Vita (PAV).

Attorno a questo tema è ruotato l'intervento del Vescovo Elio Sgreccia, l'ultimo del Congresso Internazionale che la PAV ha celebrato in Vaticano il 25 e il 26 febbraio sul tema “Accanto al malato inguaribile e al morente: orientamenti etici ed operativi”.

Come ha spiegato il presule a ZENIT, nucleo del suo lungo intervento è stato riconoscere “come viene vissuto il pensiero della morte quando si sta bene, in salute”, “quando si è ancora fanciulli o adolescenti”.

“Questo momento lo giudico essenziale per poter affrontare la morte quando arriva, perché con la morte bisogna farsi pace quando si vive”, poiché che “se uno sa guardare bene la morte, la sa valutare nella sua vera luce, sa anche dare senso alla vita”, ha commentato.

Secondo il presule, il disorientamento nell'affrontare il tratto finale della vita proviene dal non avere “anticipato un concetto di morte in noi stessi che sia aperto alla speranza, aperto alla positività, e quindi suffragato e sostenuto dall'amore”.

“Trasformare questo volto della morte: bisogna farlo quando c'è ancora la vita. Non si può aspettare l'ultimo momento”, ha affermato. In ogni caso, anche allora “dobbiamo dare il meglio, e quindi il dialogo, la verità, non solo clinica – 'come sto, come non sto, se oggi sto meglio di ieri, o quanti giorni mi mancano prima della fine'”, sostiene il presule.
Si tratta della “verità globale: quella del valore che hanno quei giorni, della speranza che ci sta di fronte, del momento dell'incontro con Dio, specialmente se il soggetto è aperto alla fede, altrimenti c'è un lavoro da fare per orientare, se è possibile, verso la positività, verso l'atto finale della propria vita”.
Monsignor Sgreccia è consapevole del fatto che questo momento “forse la politica non lo prende in considerazione, e l'economia addirittura lo considera zero – anzi, soldi perduti –; ma per chi ha il senso del valore della persona, è il momento più fragile e il più prezioso”.

Ostacoli alla verità della morte

“Rifiuto” è la parola con cui monsignor Sgreccia, nel suo intervento, sintetizza la difficoltà della società e dell'individuo sano di manifestare la verità della morte del malato.
Lo provoca la sinergia di vari fattori, come “la secolarizzazione della cultura e della società”, “l'esperienza del benessere” e “l'aumento della vita media” nei Paesi sviluppati.
Il risultato è la fuga dal pensiero della morte e della sofferenza, mentre, “paradossalmente la vita altrui viene gettata via facilmente come cosa senza valore e si infligge altrettanto facilmente la morte per proteggere la propria effimera soddisfazione e il godimento della propria libertà”, ha avvertito.
Si nasconde la presenza della morte, ma si pone enfasi “sulla salute, sulla produttività e sull'organizzazione del tempo libero”, ha constatato.
Anche la pratica medica contemporanea, così avanzata, ad esempio nei Paesi occidentali, mostra lo stesso rifiuto della morte: “prima considerata come evento naturale nell'ambito stesso della medicina, oggi viene considerata come fallimento, limite, insuccesso”.
Il Vescovo Sgreccia ha anche segnalato il problema del rifiuto della morte in chi è sano: “Ci dobbiamo preoccupare anzitutto di illuminare il mistero della morte nell'animo dei fanciulli, degli adolescenti e preadolescenti, di chi è in salute, con la verità che ci libera”.
Quanti “ hanno fatto pace con il dolore e la morte si sentono portati ad aiutare coloro che concretamente si trovano nel dolore e nella morte, si aprono al dialogo e al servizio – ha continuato –. E' il mondo della solidarietà positiva, costituita da quanti, avendo accettato la propria croce, con la forza dell'amore dentro di sé, aiutano gli altri a portare la loro croce”.
Attenzione al mondo parallelo che si percepisce, invece, in “quanti fuggono di fronte al dolore, di fronte ad una vita irrimediabilmente compromessa dall'avvicinarsi della morte”, ha avvertito il presule, perché questa “fuga esteriore e sociale denuncia una fuga interiore” che si traduce nel “vuoto attorno al letto del malato inguaribile” e nell'“antisocialità”, nell'emarginazione dei malati, degli handicappati, nell'eutanasia eugenetica di neonati deformi o nell'eutanasia terminale e sociale dei malati incurabili.
Da ciò deriva l'importanza di “edificare nell'animo del giovane e dell'adulto una 'pace' con il dolore e con la morte”, che implica “un cammino pedagogico, che si realizzi con lo sforzo della ragione e della volontà sul piano naturale, ed anche con una maturazione di fede sul piano soprannaturale”, ha spiegato monsignor Sgreccia.

La verità nel malato e nel moribondo

Vista la necessaria verità in relazione al senso della vita e nella costruzione di un senso positivo del dolore e della morte, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita ricorda la funzione della verità che deve accompagnare la diagnosi e la terapia del malato.

Alla luce della morale cattolica, sottolinea varie indicazioni, partendo dalla constatazione che “il rapporto medico-paziente è basato sulla fiducia”.

“Pertanto esiste da una parte un dovere di giustizia a che il medico” “debba palesare le verità che riguardano l'oggetto del rapporto stesso; dalla parte del paziente, invece, esiste un diritto all'informazione, convalidato ormai anche dalle leggi e norme internazionali e da codici deontologici”.
“Obbligo morale” e “diritto giuridico” che “non comportano che debba essere detto tutto quello che il medico può sapere – ha precisato –, ma quel tanto che ha rilevanza per la comprensione dello stato reale della persona e della gravità della situazione”.
“E' ovvio, perciò, che debba essere evitata la menzogna, è doveroso che la realtà della situazione, nei limiti delle conoscenze appurate, venga esposta, evitando la comunicazione drastica, ma lasciando adito alla speranza, e dovrà dare sempre garanzia di vicinanza e assistenza, perché se è vero che la giustizia esige la verità, è anche vero che tale comunicazione deve essere accompagnata dalla carità”, ha spiegato.

Un solo atto: conclusivo e iniziale

In prossimità della morte, la cosa più importante è il dovere di comunicare e il come farlo, ha indicato monsignor Sgreccia.
Tutti coloro che assistono a livello psicologico i malati gravi, ha osserva il presule, conoscono le fasi di negazione, rabbia, patteggiamento, depressione e accettazione.
Circa quest'ultima, il Vescovo avverte dell'importanza che esista una riflessione metafisica del morire e un annuncio della morte in chiave salvifica ed escatologica.

“Non basta parlare della morte come di un fatto – sottolinea –, ma bisogna parlarne come di un atto, ed in quanto atto umano”, “che si concentra soprattutto nell'agonia, va considerato nel suo spessore profondo”.
L'atto del morire, sostiene, è un “solennissimo e sacro istante” “ che dobbiamo contemplare in raccoglimento e con amore”.

“In quell'Istante è contenuto tutto il tempo del moribondo che, in un solo atto, può vedere la totalità della propria vita – ha sottolineato –. Per il credente questo atto trasferisce nella Pasqua di Cristo la totalità della vita personale dall'immanenza terrena alla trascendenza dell'eternità: è atto conclusivo ed iniziale, la nuova nascita”.
Per questo, ha concluso, “la grande 'informazione' che deve illuminare e rafforzare le coscienze degli uomini è l'annunzio della Morte e Resurrezione di Gesù che apre l'accesso alla vita piena dell'eternità”, secondo il piano divino.

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3 commenti:

Luisa ha detto...

Vorrei solo segnalare che sul sito della Accademia Ontificia della Vita si potranno consultare i diversi interventi.
Vorrei dire, senza dimenticare gli altri interventi, che sono stata personalmente particolarmente sensibile agi interventi del dottor de Jong, straordinario di umanità e sconvolgente nella descrizione di ciò che succede in Olanda, e nella descrizione della sua battaglia in favore dei bambini con spina bifida, dei prof. Shaerer che ha parlato dell`accompaganamento, dell`importanza dell`ascolto , Spaemann e Zylicz.
E per concludere l`intervento di Mons. Sgraccia,così ricco, profondo e saggio !

Luisa ha detto...

Scusate il P di pontificia è svanito nel nulla...Pontificia Accademia per la Vita !

Luisa ha detto...

..e evidentemente....Mons. Sgreccia....ho come l`impressione che sono ancora con la testa e il cuore a Roma!