27 febbraio 2008

Islam e cristiani 138 motivi per parlarsi chiaro. Intervista a Padre Samir Khalil Samir (Avvenire)


Vedi anche:

IL PAPA E L'ISLAM: LO SPECIALE DEL BLOG

Robert De Jong: "Noi medici siamo amati perché rispettiamo la vita" (Avvenire)

Dino Boffo (Avvenire): «Ci accusate di ciò che voi inscenate». Lettera aperta a Michele Serra (Repubblica)

Un pensiero ed una preghiera per "Ciccio e Tore", i due fratellini di Gravina

Campane elettorali: Michele Serra (Repubblica) all'attacco della Chiesa...

L’umanità ha bisogno di conoscere di Dio amore e di scoprire il valore della conversione: così il Papa all'udienza su Sant'Agostino

La conversione di Agostino non è stata improvvisa né pienamente realizzata fin dall’inizio, ma un vero e proprio cammino, che resta per noi un modello

La RU 486 non è un’aspirina: così il vicepresidente dei Medici Cattolici Italiani Franco Balzaretti (Radio Vaticana)

Sul testo mai votato la sordina dei giornali (Ognibene per "Avvenire"). Milone: «Dai media superficialità e mistificazione»

Il Papa: "Mi sento molto legato ad Agostino per la parte che ha avuto nella mia vita di teologo e di pastore, e prima ancora di uomo e di sacerdote"

Rosso "malpela" la Maraini: "Il peccato (poco) originale della cultura laica"

Dacia Maraini attacca di nuovo la Chiesa: "Nella Santa Trinità non appare la figura materna"

Il Direttore Famiglia Cristiana: «Cattolici incompatibili con i radicali». Latorre (PD): «Abbiamo sbagliato a mollare i rapporti con la Chiesa»

"Adesso il Vaticano scavalca i partiti": il direttore de "La Stampa" commenta un editoriale che in realtà è un'intervista?

Aborto, medici in retromarcia. Il presidente: documento ancora da discutere (Eco di Bergamo)

Aspettavamo dei chiarimenti dai giornaloni, forse anche le scuse ad Avvenire, ma sul documento non votato dai medici, la stampa, oggi, tace...

Accordo PD-radicali: il commento di Padre Sorge e di don Carlo Nanni (Corriere della sera)

Il Papa chiede congedi dal lavoro per chi ha un familiare malato. «Idea giustissima» secondo Cisl e Uil (Accattoli)

Dopo l'accordo fra PD e radicali: "Pasticcio veltroniano in salsa pannelliana" (Famiglia Cristiana)

Aborto: «Nota mai votata. Convocare il Consiglio». «Pessima figura». «Bufala creata ad arte»

Joseph Ratzinger andò al Concilio con la mente a Bagnoregio (Mons. Amato per l'Osservatore Romano)

intervista

Alla vigilia dell’incontro tra esponenti musulmani e Santa Sede, parla l’esperto gesuita Khalil Samir

Islam e cristiani 138 motivi per parlarsi chiaro

DI GIORGIO PAOLUCCI

Lui l’islam lo conosce bene. Lo studia da cinquant’anni e ci convive da sempre: nato in E­gitto, da 22 anni risiede a Beirut do­ve insegna islamologia alla Saint-Jo­seph University.

Nel 2006 Benedet­to XVI lo invitò a Castelgandolfo per tenere una lezione in occasione del­l’annuale incontro con i suoi ex a­lunni del Ratzinger Schülerkreis.

Col gesuita Samir Khalil Samir parlia­mo delle prospettive aperte dallo scambio di lettere tra i 138 saggi i­slamici e la Santa Sede, che tra qual­che giorno sfocerà in un primo col­loquio tra una delegazione vaticana e una musulmana e, più avanti, nel­l’incontro con il Papa.

L’incontro programmato per il 4 e 5 marzo in Vaticano sarà una «pri­ma volta»: cosa è legittimo sperare e su cosa è meglio non nutrire ec­cessive illusioni?

«Anzitutto va chiarito che l’immi­nente riunione tra le due delega­zioni serve per definire alcuni a­spetti procedurali, non entra anco­ra nel merito ma punta a focalizza­re gli argomenti da affrontare in fu­turo. Essendo la prima volta, non si può andare molto lontano perché si devono calibrare le rispettive po­sizioni. Che, vorrei ricordare, non sono 'solo' due: all’interno delle de­legazioni coesistono atteggiamenti e sensibilità diversi».

Una certa concezione di dialogo tende a mettere tra parentesi ciò che divide per enfatizzare ciò che unisce. È questo il senso della po­sizione della Santa Sede, espressa nella risposta del cardinale Berto­ne alla «lettera dei 138»?

«Nella risposta della Santa Sede la posizione è chiarissima: 'Senza i­gnorare o sminuire le nostre diffe­renze in quanto cristiani e musul­mani, possiamo e quindi dovrem­mo guardare a ciò che ci unisce'. È una posizione all’insegna del reali­smo e della ragionevolezza: quando si dialoga bisogna guardare l’inter­locutore nella sua interezza, non im­maginarlo come ci piacerebbe che fosse. Faccio un esempio: se dico che l’islam ha grande stima di Ge­sù, lo considera un grande profeta e il Corano ne racconta i miracoli, dico qualcosa di vero ma di parzia­le. Devo infatti aggiungere che il Co­rano accusa i cristiani di avere ele­vato Gesù alla dignità divina, di a­vere inventato la Trinità, di avere fal­sificato i Vangeli.

Benedetto XVI ci invita ad andare a fondo, a non fer­marsi alla parte positiva e a non far­si frenare da quella negativa: questo significa dialogare nella verità».

Tra gli elementi comuni, quali so­no a suo giudizio quelli su cui il con­fronto può produrre passi avanti?

«Il rispetto della dignità di ogni per­sona è certamente il più importan­te perché pone le basi della convi­venza e dell’etica.

La recente aper­tura dell’arcivescovo anglicano di Canterbury all’introduzione di ele­menti della sharia nella società in­glese è figlia dell’idea che ognuno può venire giudicato a partire dalla sua fede religiosa, mentre si deve riaffermare che tutti siamo tenuti al rispetto di principi inderogabili universalmente ammessi, come ap­punto la dignità della persona. E dentro questa affermazione sta an­che la libertà religiosa, che a sua vol­ta comprende la possibilità di ade­rire a una fede diversa da quella in cui si è stati educati.

Questo è un nervo scoperto nel mondo musul­mano, dove chi esce dalla comunità viene accusato di apostasia e rischia la morte, la persecuzione o la di­scriminazione».

Dunque non basta affermare che crediamo nell’unicità di Dio e nel­una l’amore per il prossimo, come vie­ne solennemente affermato nel do­cumento dei 138 saggi musulmani?

«È un’affermazione importante ma va declinata nel concreto, altrimenti rischia di restare un vago auspicio. Cosa significa concretamente l’a­more per il prossimo? Posso amare il nemico? Posso amare il peccato­re, chi ha tradito la legge divina? E posso amare chi ha cambiato reli­gione, l’apostata? Sono interrogati­vi non secondari, con i quali ci si de­ve misurare».

Un altro nodo fondamentale a cui la lettera della Santa Sede fa riferi­mento è la necessità di una cono­scenza oggettiva della religione del­l’altro. Cosa la rende possibile?

«Oggi prevale una conoscenza ba­sata su stereotipi o sulle aspettative che si nutrono nei confronti del­l’interlocutore. A questo deve su­bentrare una conoscenza basata su ciò che l’altro dice di sé. In questo senso è fondamentale, ad esempio, rivedere le approssimazioni e le ve­re e proprie menzogne contenute nei libri di testo scolastici, sia cri­stiani che musulmani, che alimen­tano ostilità preconcette e semina­no veleni sulla strada di un incon­tro possibile».

Qualcuno ha definito deludente il documento dei 138 perché non af­fronta un nodo centrale per l’islam contemporaneo: la sovrapposizio­ne tra religione e politica. Che ne pensa?

«Obiezione condivisibile. Il proble­ma non è, lo ripeto, teorizzare l’a­more per Dio e tra gli uomini, ma piuttosto capire come possiamo vi­vere insieme restando diversi, co­me accettare la differenza senza de­monizzarla (magari in nome di Dio), come amare chi ha una posi­zione opposta alla mia. E questo è certamente un nervo scoperto nel mondo musulmano contempora­neo, sul quale molte autorità reli­giose si pronunciano in maniera strumentale. Arrivando a usare ver­setti del Corano per dare una moti­vazione teologica a posizioni poli­tiche, fino alla giustificazione degli attentati kamikaze. Altri arrivano a usare versetti della Bibbia per dare motivazione teologica a posi­zioni politiche, fino a giustificare il possesso di una terra, o la necessità di fare guerra a un popolo».

La pluralità dei firmatari (sunniti, sciiti, ismailiti, sufi, appartenenti a 43 nazioni) è una garanzia del con­senso che il documento riscuote nel mondo islamico, o resta co­munque aperto il problema di una religione che non ha una gerarchia universalmente riconosciuta?

«I firmatari appartengono a 43 na­zioni ma non le rappresentano. Molti sono personalità autorevoli e prestigiose, però, come sempre nel mondo musulmano, non possono parlare a nome di una collettività. Qualcuno, in nome dell’islam, po­trebbe sempre obiettare a ciò che dicono. A questo va aggiunto che, come mi è stato raccontato da qual­cuno dei firmatari, c’è chi ha sotto­scritto il documento senza neppu­re averlo letto. Si sono fidati del­l’autorevolezza dei proponenti, che come noto fanno riferimento alla prestigiosa casa reale (Aal al-Bayt) di Giordania».

Insomma, ci sono molti motivi per essere scettici...

«Dobbiamo essere realisti, come ci chiede il Santo Padre. Realisti e fi­duciosi nella buona volontà degli uomini e nell’opera dello Spirito che non mancherà di illuminarli. Pur senza nascondersi irenicamente le difficoltà, la novità dell’evento è in­discutibile e non va sottovalutata: è la prima volta che un gruppo di sa­pienti musulmani si esprime mani­festando più di un motivo di sinto­nia con il cristianesimo. E la rispo­sta della Santa Sede non è stata u­na semplice 'ricevuta'. Speriamo e preghiamo che si possa fare un pez­zo di cammino insieme. L’impor­tante non è discutere un documen­to, né farne uno nuovo, ma decide­re d’incontrarsi regolarmente (al­meno una volta all’anno) per trat­tare insieme argomenti concreti preparati in anticipo con serietà e responsabilità. Si deve iniziare un legame duraturo, non occasionale».

© Copyright Avvenire, 27 febbraio 2008

COLLOQUI

Il 4 e 5 marzo in Vaticano, poi da Benedetto XVI

Il 4 e 5 marzo si terranno a Roma gli in­contri preliminari bilaterali per mettere a punto la visita di una delegazione i­slamica al Papa, che avrà luogo probabil­mente in primavera. Ad aprire la strada al­l’evento (definito «storico» dal cardinale Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso) è stato lo scambio di lettere avvenuto in novembre e dicembre tra la Santa Sede e il principe di Giordania Ghazi bin Muhammad bin Talal, capofila di un gruppo di 138 «saggi» mu­sulmani di 43 nazioni.
Il 13 ottobre 2007 costoro avevano scritto a Benedetto XVI e ai responsabili delle Chiese cristiane una lettera aperta dal titolo «Una parola comu­ne tra noi e voi», chiedendo di avviare un confronto a partire dall’unicità di Dio e dal duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo.
Il 19 novembre la risposta del Papa attraverso il segretario di Stato, cardinale Bertone: senza ignorare o mini­mizzare le differenze tra le due religioni, l’invito a prestare attenzione a ciò che uni­sce e l’indicazione di un terreno comune: il rispetto della dignità di ogni persona, la conoscenza obiettiva della fede dell’altro, la condivisione dell’esperienza religiosa e la promozione del rispetto e dell’accetta­zione reciproci tra i giovani. Infine l’invito per un incontro in Vaticano con una dele­gazione dei 138.
Il principe di Giordania ri­sponde il 12 dicembre accogliendo l’invito e preannunciando l’invio di tre rapppre­sentanti per chiarire i dettagli dell’incon­tro. (G. Pao)

© Copyright Avvenire, 27 febbraio 2008

Nessun commento: