18 agosto 2008

Il commento del vescovo di Treviso alle parole pronunciate dal Papa all’Angelus contro il razzismo (Radio Vaticana)


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La discriminazione si sconfigge aumentando la solidarietà e insegnandola ai giovani: il commento del vescovo di Treviso alle parole pronunciate dal Papa all’Angelus contro il razzismo

“Aiutare la società civile a superare ogni possibile tentazione di razzismo, di intolleranza”. Da Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha levato ieri questo appello, invitando i cristiani di tutto il mondo a lavorare in prima linea contro ogni forma di discriminazione. Il “superamento del razzismo”, ha affermato il Papa, è una delle “grandi conquiste dell’umanità”. Il vescovo di Treviso, mons. Andrea Bruno Mazzocato, si sofferma sulle parole di Benedetto XVI in rapporto alla situazione della sua diocesi, dove forti sono le percentuali di immigrazione. L’intervista è di Alessandro De Carolis:

R. - Credo sia un richiamo di grande attualità invitando a evitare indurimenti razziali o di contrapposizioni che possono avere risonanze mondiali pesanti.

D. - Le discriminazioni di tipo etnico sembrano in qualche modo esacerbate dalle difficoltà economiche che attualmente intimoriscono la popolazione residente; come dire che la solidarietà tende a spegnersi di fronte alla minaccia della povertà. Qual è la risposta della Chiesa?

R. - La risposta della Chiesa è evidentemente nella linea di una solidarietà che ormai non può farsi che globale. Perché mi pare già pericolosa la discriminazione economica: se la discriminazione economica si riveste anche di motivazioni etniche-razziali, veramente il pericolo diventa doppio.

D. - Il Papa ha legato, nel suo discorso, il manifestarsi di nuove preoccupanti forme di discriminazione “al persistere o all’aggravarsi di problemi sociali ed economici”. Vi sono riscontri di questa analisi nella sua diocesi, e in che modo intervenite con la vostra attività pastorale?

R. - Dire che qui, sulle nostre terre, ci siano gravi problemi economici mi sembra una cosa esagerata. Che però, tra le persone, si stia diffondendo un senso di una certa insicurezza, perché si avvertono minori garanzie economiche, questo è un fatto. L’insicurezza economica è legata anche a una insicurezza di carattere sociale, per paura di microcriminalità che talora si lega all’immigrazione. La risposta nostra: io ho colto l’occasione dell’omelia dell’Assunta - che da noi ha un significato anche per tutta la città di Treviso - proprio per lanciare l’appello a rispondere a questo momento di maggiore insicurezza economica con un impegno di solidarietà, che la diocesi, tra l’altro, porta avanti in varie forme, a cominciare con le attività della Caritas.

D. - Solidarietà che quindi va anche a vantaggio degli immigrati, degli extracomunitari...

R. - Sì, a vantaggio di tutti. Io dicevo con chiarezza che o ci si salva assieme o si naufraga divisi, insomma. Dicevo che uno può montare sulle spalle dell’altro; rimane a galla un po’ di più ma poi va a fondo. Certo, solidarietà vuol dire anche serietà di organizzazione democratica, quindi anche legalità. Però nella legalità non l’individualismo di chi cerca di salvare il proprio spazio guadagnato, ma nel reciproco sostegno.

D. - Educare i giovani all’accoglienza e alla tolleranza resta un imperativo per le società che vogliano mettere alla base della propria convivenza i valori della pace e della giustizia. In particolare, nel campo della pastorale giovanile, in che modo lavorate nella vostra diocesi di Treviso?

R. - In vari modi: da una parte cercando che la pastorale giovanile si apra concretamente al fatto dell’immigrazione che da noi è un fenomeno macroscopico - abbiamo oltre il 10% di immigrati stranieri all'interno della popolazione diocesana - e inserire le fasce giovanili e gli immigrati dentro le iniziative della pastorale loro dedicata. Poi, aprendoci - collaborazioni e dialoghi li abbiamo con la Romania e anche con altri territori - ed educando i giovani a un’apertura oltre che di cuore anche di mentalità: perché non cadano anche loro in certe trappole di chiusure meschine che spesso sono chiusure di cuore, ma sono anche chiusure culturali, cioè non c’è uno sguardo più ampio anche da un punto di vista culturale.

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