14 ottobre 2008

Card. Vallini: "Il rapporto fra Papa Roncalli e la sua diocesi" (Osservatore Romano)


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Il rapporto fra Papa Roncalli e la sua diocesi

Il «primo servizio» di Giovanni XXIII

Il beato Giovanni XXIII, per iniziativa della Venerabile arciconfraternita dei Bergamaschi di Roma, è stato commemorato sabato scorso in Campidoglio, alla vigilia del cinquantesimo anniversario della sua elezione (28 ottobre 1958). Erano presenti alla cerimonia - oltre al vicesindaco di Roma, Mauro Cutrufo, e al consigliere comunale Lavinia Mennuni - il cardinale vicario di Roma Agostino Vallini, il vescovo di Bergamo, monsignor Roberto Amadei, che ha tenuto una relazione su "Papa Giovanni XXIII uomo e pastore di pace", e il direttore del nostro giornale, Giovanni Maria Vian, che ha parlato di Roncalli e della sua apertura al mondo. Qui di seguito riportiamo la relazione tenuta dal porporato.

di Agostino Vallini

Il beato Giovanni XXIII è stato per il popolo di Roma un vero pastore e padre. È ancora viva nel cuore di un'intera generazione di romani, e non solo di romani, l'esperienza vissuta la sera dell'11 ottobre del 1962, giorno di apertura del Concilio ecumenico Vaticano ii. Si chiudeva una giornata memorabile, iniziata con la solenne celebrazione dell'assise ecumenica, e una suggestiva fiaccolata notturna in piazza San Pietro vedeva riuniti 15-20.000 giovani e operai dell'Azione cattolica e delle Acli, che si disposero ai lati dell'obelisco formando una grande croce fiammeggiante, in ricordo di quanto avvenuto a Efeso in occasione del terzo concilio ecumenico.
Roma era arrivata preparata all'appuntamento del Concilio. Il cardinale vicario del tempo, Clemente Micara, aveva disposto una solenne novena allo Spirito Santo in tutte le parrocchie e lo stesso Pontefice era intervenuto, il 23 settembre, nella parrocchia di Cristo Re.
Così pure il Papa aveva partecipato, con circa 150.000 fedeli, alla processione del Crocifisso di San Marcello dalla basilica di Santa Maria Maggiore a quella di San Giovanni in Laterano. E qui, in Campidoglio, si erano tenute tre conferenze su Roma e il Concilio; uno dei relatori era stato il cardinale Giovanni Battista Montini, il futuro Papa Paolo vi.
Quella sera dell'11 ottobre Papa Giovanni si affacciò alla finestra del suo studio e salutò la folla, pronunciando il discorso forse più noto e più popolare di tutta la vita. In quelle parole c'era un passaggio che interessava direttamente Roma e i suoi cittadini. "Se domandassi - disse il Papa -, se potessi chiedere ora a ciascuno: Voi, da che parte venite? I figli di Roma, che sono qui specialmente rappresentati risponderebbero: Ah, noi siamo i vostri figliuoli più vicini, Voi siete il nostro Vescovo, il Vescovo di Roma. Ebbene, figliuoli di Roma, voi sentite di rappresentare veramente la Roma, caput mundi, così come per disegno di Provvidenza è stata chiamata a essere: per la diffusione della verità e della pace cristiana... La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello diventato Padre per volontà di Nostro Signore. Ma tutt'insieme, paternità e fraternità, è grazia di Dio... Continuiamo dunque a volerci bene...; e nell'incontro proseguiamo a cogliere quello che unisce, lasciando da parte, se c'è, qualche cosa che potrebbe tenerci un poco in difficoltà".
Quel colloquio tra padre e figli, spontaneo e gioioso, rappresenta senza dubbio uno dei punti più alti e rivelativi della convergenza tra Giovanni XXIII e la nostra città.
Il rapporto tra il Romano Pontefice, vescovo di Roma, e la sua diocesi, Papa Giovanni lo intese teologicamente e spiritualmente fin dal primo momento della sua elezione al pontificato, il 28 ottobre 1958. La sera stessa dell'elezione, durante il colloquio con monsignor Domenico Tardini, affermò: "Mi propongo di dare accentuazione al primo servizio cui il Signore mi ha chiamato. Di fatto sono papa quatenus episcopus Romae".
Nella mente del nuovo Papa la città appariva associata strettamente al suo ufficio episcopale. Il compito di guidare la Chiesa di Roma venne da lui definito il "primo servizio", da cui appunto prendeva origine l'altro, quello di pastore della Chiesa universale. È il munus di vescovo di Roma a determinare quello di pastore della Chiesa universale. Una convinzione ferma e decisa, maturata in tanti anni di ministero, di studi e di esperienze. Egli voleva svolgere in modo pieno e non puramente simbolico il suo ufficio episcopale. A tal fine ripristinò una normale prassi pastorale secondo la tradizione del buon vescovo di ascendenza tridentina, che egli ben conosceva, sia per l'esperienza diretta maturata a Bergamo, sua diocesi d'origine, e attuata come patriarca a Venezia, sia per i suoi studi storici.
Lo si capì fin dai primi giorni di pontificato, a cominciare dalla solenne presa di possesso dell'arcibasilica lateranense, cattedrale di Roma (23 novembre 1958). Era la prima volta che il nuovo Papa usciva ufficialmente dal Vaticano e lui stesso fu stupito dalla folla che si assiepava lungo le strade verso la basilica di San Giovanni.
Così annotò nel suo diario: "23, domenica. Uno dei giorni più belli della mia vita. Presa di possesso della mia Cattedrale a San Giovanni in Laterano. Tutto bello e solenne... Il ritorno dal Laterano al Vaticano semplicemente trionfale... L'omaggio del popolo romano lungo tutta la via al suo nuovo Vescovo e Papa, commovente e inatteso, perciò tanto più caro".
Una serie di gesti, di dichiarazioni e di decisioni mostrarono concretamente l'immagine di Papa Giovanni come il pastore che guida il suo popolo. Volle visitare subito il Seminario romano maggiore e assistere alla cerimonia di apertura dell'anno accademico dell'Ateneo lateranense (27 novembre); a due mesi dall'elezione (22 dicembre 1958) ricevette in udienza tutti i parroci di Roma; nelle feste natalizie si recò negli ospedali di Santo Spirito e del Bambino Gesù, e incontrò i detenuti del carcere di Regina Coeli; e il 25 gennaio 1959, in concomitanza con la volontà di indire un concilio ecumenico per tutta la Chiesa, annunciò la decisione di celebrare un sinodo diocesano allo scopo di aggiornare la pastorale della diocesi di Roma, atto di governo che seguì personalmente fino alla promulgazione delle norme sinodali (31 gennaio 1960). Il sinodo, per quanto circoscritto nei contenuti e poco o nulla efficace nei suoi effetti, ebbe però un importante significato: mettere in luce la natura autenticamente diocesana della chiesa di Roma.
Questo ultimo aspetto fu così presente nella mente di Giovanni XXIII che volle dare alla diocesi una sede degna e adeguata alle esigenze pastorali della città (Roma in quel tempo conosceva un moderno sviluppo urbanistico). Ciò fece con il recupero del Palazzo del Laterano come sede del Vicariato di Roma - dal 1906 la sede del Vicariato era nel palazzo Marescotti Maffei in via della Pigna - di cui avviò i lavori di ristrutturazione (settembre 1962).
In un codicillo del testamento, il Papa così scriveva: "Quando riesca felicemente il progetto che io stesso suggerii e incoraggiai della trasformazione del Palazzo Lateranense a sede definitiva del Vicariato di Roma ... le mie povere exuviae vengano pietosamente trasferite in quella sede". Il brano è riportato da monsignor Alfredo Maria Cavagna in Sempre unito al Signore. Lo stesso confessore del Papa aggiunge: "Il prolungarsi dei lavori non permise che il desiderio del Pontefice fosse esaudito. Venne così sepolto presso le tombe dei suoi predecessori nella cripta vaticana, ove non mancano mai fedeli devoti in preghiera".
Era un ulteriore segno della piena identificazione con il suo munus episcopale: il luogo della sepoltura di un pastore, per Papa Roncalli, doveva essere l'ultimo segno del legame al suo gregge, attraverso cui mostrare che era stato totalmente "suo", senza riserve.
In questa ottica pienamente pastorale, volle realizzare un rapporto personale e diretto con il suo popolo mediante la visita alle parrocchie romane durante la quaresima, con il rito delle "stazioni quaresimali". Papa Giovanni si inserì in questa tradizione romana con tutta la sua predilezione per la liturgia, ma soprattutto con il desiderio di avvicinare direttamente i fedeli della città, specie i più lontani.
Così nei cinque periodi quaresimali, dalla primavera del 1959 a quella del 1963, visitò ben ventuno parrocchie. Meritano particolare menzione le visite dell'ultima quaresima, quella del 1963. Si svolsero in un clima di esultanza popolare; fu una quaresima trionfale, che per lui assunse anche il significato di un estremo saluto alla città. Le cronache si dilungano nel ricordare, per la familiarità nel rapporto tra il Papa e i romani, la visita alla parrocchia di San Basilio sulla via Tiburtina (31 marzo 1963), all'estremo opposto di Roma rispetto al Vaticano.
Il tragitto, di circa trenta chilometri, venne percorso in un'ora e un quarto, tanta era la gente assiepata ai bordi delle strade, valutata in centomila persone. Il corteo effettuò numerose soste, il Papa benediceva e salutava la folla. L'ultimo chilometro, già all'interno della borgata, a causa della gente che si accalcava intorno a lui, Giovanni XXIII fu costretto a percorrerlo interamente in piedi, sull'automobile. La chiesa parrocchiale aveva una sede provvisoria, un grande salone, con due sacerdoti per venticinquemila abitanti. Era la prima volta che il Papa visitava una parrocchia priva di chiesa. Le parole che disse furono particolarmente confidenziali: "Il Papa si sente ognora figlio della campagna; e conosce le cose umili e semplici, pure essendo stato chiamato... ad avvicinare... i grandi della terra. Ora,... questa luce di soavità e contentezza, che si diffonde un po' dappertutto al passaggio del Padre delle anime, è conferma evidente che il Papa non è uno che arma le nazioni, si agita per le cose e ambizioni terrene, o intende concludere grossi affari. Egli ha un unico intento: quello costante di proseguire, con ogni mezzo possibile, nell'annuncio della verità, degli esempi, della parola, del vangelo di Nostro Signore".
Colpì nella conversazione la grande naturalezza e amabilità. Nel discorso confluì apertamente anche qualche motivo di amarezza che caratterizzò gli ultimi mesi del suo pontificato: "Si sente dire da qualcuno che il Papa è troppo ottimista; vede soltanto il lato favorevole delle cose; pone in risalto unicamente la parte migliore. Ebbene sì: è un atteggiamento, questo, che Egli ritiene provvidenziale e lo avvicina a quanto ha compiuto lo stesso Nostro Signore Gesù Cristo, il quale ha mirabilmente diffuso intorno a sé insegnamenti positivi e costruttivi, apportatori di letizia e di pace".
Il viaggio di ritorno in Vaticano fu altrettanto lungo, festoso e pieno di soste come quello d'andata. In una lettera, scritta la sera stessa, al suo vicario, il cardinale Micara, il Papa così si confidava: "L'odierna peregrinazione apostolica e penitenziale alla borgata San Basilio ha trovato nel popolo romano tale corrispondenza di filiali consensi da richiedere subito da parte Nostra l'espressione commossa della riconoscenza e della ammirazione... È ben naturale per Noi voler considerare gli incontri di questa domenica come felice preludio alla imminente Lettera Enciclica, di cui ai diletti diocesani Nostri amiamo far conoscere in primizia il nome faustissimo: Pacem in terris".
Bastino questi brevi ricordi - ma tanti altri avrei potuto elencare - del Papa Buono (come lo definì su uno striscione la comunità parrocchiale di San Tarcisio al Quarto Miglio, l'ultima parrocchia da lui visitata il 7 aprile 1963) per dire quanto profondo fosse l'affetto di Papa Giovanni a Roma e di Roma a Papa Giovanni. La gente lo aveva capito e fece tesoro della testimonianza di fede e di amore del Vicario di Cristo, la cui memoria edificante è rimasta incisa profondamente nel cuore di tutti.

(©L'Osservatore Romano - 13-14 ottobre 2008)

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