11 ottobre 2008

«Testimoni della Parola»: al Sinodo dei vescovi la speranza che vince la violenza (Mazza)


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«Testimoni della Parola»

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DA ROMA SALVATORE MAZZA

Che sia per una situazione di instabilità cronica o per un conflitto, o a causa dell’ag­gressività messa in campo da sette e nuove forme religiose. O ancora, più semplicemente, per oggettive situa­zioni di povertà. È una Chiesa sulla frontiera quella che emerge con sem­pre più evidenza dal Sinodo dei ve­scovi, costretta spesso a convivere con mille difficoltà, spesso persegui­tata, aggredita in mille modi diversi, subdoli o palesi. Una Chiesa che nel radicarsi nella Parola di Dio è consa­pevole di poter affrontare ogni sfida che ha davanti.
Questa immagine di Chiesa è torna­ta ad affacciarsi ieri, nell’ottava Con­gregazione generale del Sinodo dei vescovi dedicato alla Parola di Dio. Immagine di una Chiesa che si mi­sura con coraggio con i problemi quotidiani. Come in Terra Santa, il cui cuore, Gerusalemme, quello che Fouad Twal, patriarca dei Latini, ha definito «il quinto Vangelo» in quan­to lì ci sono «pietre che parlano» del­la vita di Gesù, e dunque della «nostra fede».
«Purtroppo – ha aggiunto il pa­triarca rivolgendosi ai 237 Padri si­nodali, presente anche il Papa – oggi la terra di Gesù è afflitta dalla piaga dell’emigrazione dei cristiani, di fat­to allontanati dalla perdurante vio­lenza ». È quanto accaduto anche in Bosnia, come ha raccontato il cardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo, spie­gando come a causa della pulizia et- nica più della metà dei suoi fedeli sia stata costretta ad abbandonare le par­rocchie. La Chiesa ha risposto all’e­mergenza con la diffusione di mi­gliaia di copie della Bibbia e oggi «la maggioranza delle nostre famiglie – ha detto Pulic – ha in casa almeno il Nuovo Testamento».
L’importanza di questa 'presenza do­mestica' è stata sottolineata anche da monsignor Vincenzo Paglia, arci­vescovo di Terni-Narni-Amelia e pre­sidente della Federazione Biblica cat­tolica, secondo cui «ogni cristiano do­vrebbe averne in casa una copia» ( una sintesi completa dell’intervento di Paglia è pubblicata in questa stes­sa pagina). Del resto è un’importan­za dimostrata anche dal pervicace tentativo dei passati regimi comuni­sti di vietare la diffusione della Bibbia, come testimoniato da monsignor Ján Babjak, arcivescovo slovac­co di rito orientale, e dal ve­scovo lettone Antons Justs.
Quell’odio, ha detto il primo, «ha dato nuovo slancio alle vocazioni e Dio ha concesso nuove grazie», e in Lettonia neppure la prospettiva della morte o della deportazione ha in­dotto la gente comune a rinunciare alla propria copia del Vangelo.
Nella Congregazione generale di ieri mattina sono arrivate anche le voci dal Myanmar, con l’arcivescovo Char­les Maung Bo che ha riferito di come la Chiesa nel Paese abbia dato tutta se stessa nell’opera di carità verso i due milioni di rifugiati dopo lo tsu­nami. «Abbiamo perso tutto ma non la speranza che abbiamo distribuito a piene mani». Dal Centroamerica, invece, è arrivato una volta ancora l’allarme per le molteplicità di inter­pretazioni della Bibbia create dalla «mercatotecnica new age», per diso­rientare e confondere i fedeli con un nuovo agnosticismo che invita, ha de­nunciato il vescovo guatemalteco Vic­tor Hugo Palma Paúl, alla «reinven­zione di se stessi» facendo perdere la dimensione escatologica della vita.
Ieri pomeriggio, la Congregazione ge­nerale era stata dedicata alla relazio­ne del cardinale Angelo Scola, pa­triarca di Venezia, sulla recezione del­l’Esortazione apostolica Sacramen­tum caritatis, frutto del Sinodo del 2005. Secondo il porporato, il testo «ha già avuto un certo influsso e sta contribuendo a una maggior ricen­tratura della vita delle comunità sul­l’Eucaristia e più in generale sulla li­turgia. In particolare si percepisce u­na più chiara consapevolezza del primato dell’azione rituale come ra­dice della forma eucaristica di tutta l’esistenza cristiana».

© Copyright Avvenire, 11 ottobre 2008

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