12 luglio 2007

Documento della Congregazione per la dottrina della fede: Radio Vaticana intervista Joseph Augustine Di Noia


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“La Chiesa non sta facendo un passo indietro nel suo impegno ecumenico”

Spiega il Sottosegretario della Congregazione per la Dottrina della Fede

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 12 luglio 2007 (ZENIT.org).- “La Chiesa non sta facendo un passo indietro nel suo impegno ecumenico”, ma “è fondamentale per qualsiasi tipo di dialogo che i partecipanti siano chiari circa la propria identità”, ha spiegato il Sottosegretario della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Il Dicastero ha appena ricordato la fedeltà a un insegnamento conciliare “essenziale” con la pubblicazione, martedì, del documento intitolato “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa”, accompagnato da un Commento ufficiale.

Il breve testo spiega ciò che il Concilio Vaticano II intende quando afferma che la Chiesa fondata da Cristo “sussiste nella Chiesa cattolica”.

In questa intervista, concessa in inglese alla “Radio Vaticana”, il sacerdote domenicano statunitense Joseph Augustine Di Noia torna su alcuni aspetti chiave delle “Risposte” del Dicastero del quale è Sottosegretario.

Può sottolineare i punti principali affrontati dal documento?

Padre Di Noia: Ci sono in realtà due punti principali, e poi alcuni minori.
Il punto principale è affrontare la questione relativa all’ipotesi che il Concilio Vaticano II abbia modificato la dottrina della Chiesa sulla natura della Chiesa stessa, e il documento cerca di spiegare questo tema per dire di no; c’è stato uno sviluppo, un approfondimento, ma in definitiva non è il tipo di cambiamento nel senso di alterare il modo in cui la pensiamo sulla Chiesa.
La questione – fondamentale – è come interpretare l’espressione del Concilio Vaticano II ("Lumen Gentium”, paragrafo 8): “La Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica”. E’ questo “sussiste” che ha provocato un’enorme quantità di interrogativi, che stiamo cercando di affrontare.
Brevemente, il tema è che anziché dire che la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica, il “sussiste” si utilizza per dire la stessa cosa [...] per spiegare chiaramente che attraverso tutta la storia, e nel presente, non siamo nella situazione di avere una Chiesa imperfetta che ancora non è giunta ad essere la Chiesa di Cristo, quanto che la pienezza di ciò che Cristo voleva che la Chiesa fosse l’ha stabilita nella Chiesa cattolica.
Gli altri punti, ovviamente, servono per spiegare come altre Chiese e comunità ecclesiali si relazionano a questo; il Concilio Vaticano II non ha voluto escludere la possibilità che di fatto ci fossero elementi di vita ecclesiale – sacramenti validi o mezzi di grazia –. Voglio dire che le Chiese/comunità ecclesiali che leggono le Scritture, con fede, hanno un certo elemento di ciò che Cristo voleva che fosse la Chiesa.

Perché si è deciso di pubblicare questo documento ora?

Padre Di Noia: E’ una domanda importante. Suppongo che abbia a che vedere con la reazione a un documento precedente, la famosa dichiarazione “Dominus Iesus”, resa pubblica nel 2000.
Ricordo che quando lavoravo per la Conferenza episcopale degli Stati Uniti e abbiamo ricevuto prima alcune copie di questo documento e mi è stato chiesto di preparare i Vescovi alla “Dominus Iesus” ho detto: bene, non c’è assolutamente niente di nuovo qui, per cui i Vescovi non avranno problemi. Ma come lei sa la reazione alla “Dominus Iesus” è stata estremamente, diciamo così, contestatrice. Voglio dire che è stato un documento molto difficile.
Ciò che abbiamo visto era che la gente [...] non comprendeva che non dovevamo semplicemente parlare di Cristo come il salvatore universale, ma del fatto che la Chiesa era il mezzo principale con cui la grazia di Cristo poteva essere comunicata al mondo, e questo, se ricorda, ha creato la gran parte della controversia, sicuramente a livello ecumenico.
Questo è stato in qualche modo un allarme. Ho detto che la “Dominus Iesus” era un allarme, perché 30 anni dopo il Vaticano II la gente sembrava aver dimenticato una cosa essenziale insegnata dal Concilio. E a partire da quel momento i Cardinali membri della Congregazione, e anche altre persone, Vescovi, eccetera, sollevavano questioni su questo punto; la Congregazione ha deciso di procedere a un chiarimento.
Il documento si chiama “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa”. E’ un aspetto molto concreto, è un documento relativamente corto, come sa, e c’è un commento annesso, per cui è un preciso insieme di risposte alle questioni che sono state sollevate.

Come si relaziona questo nuovo documento con i documenti precedenti sulla natura della Chiesa e l’ecumenismo?

Padre Di Noia: La risposta, le risposte in verità, perché ce ne sono due, non aggiungono nulla al precedente insegnamento del Magistero, ma vogliono ricordare e rendere più preciso l’autentico significato delle diverse espressioni dottrinali usate per parlare della Chiesa nel magistero precedente.
E’ un punto molto importante quello affermato essenzialmente dal documento, e cioè che quando si va in una chiesa cattolica e si prende parte alla vita di una comunità, con la Messa, il sacramento della penitenza, il battesimo e la confermazione, e tutte le altre attività, lì si troverà tutto ciò che Cristo voleva che la Chiesa fosse.
E anche se ci sono divisioni nella cristianità, questo non significa che la Chiesa non esista perfettamente. Non è che dobbiamo ricucire o sanare le divisioni, dobbiamo cercare l’unità che Cristo ha auspicato tra tutte le diverse comunità cristiane, ma il fatto che non tutte le Chiese siano in comunione con la Sede di Pietro non significa che la Chiesa sia ferita nel senso che non esiste già nella sua integrità.

Come può questo documento aiutare il dialogo ecumenico?

Padre Di Noia: L’impegno della Chiesa cattolica nel dialogo ecumenico è, come ha detto lo stesso Benedetto XVI e come ha affermato spesso sicuramente anche Papa Giovanni Paolo II, “irrinunciabile”.
Ciò vuol dire che la Chiesa non sta facendo un passo indietro nel suo impegno ecumenico. Come lei sa, è fondamentale per qualsiasi tipo di dialogo che i partecipanti siano chiari circa la propria identità, vale a dire il dialogo non può essere un’occasione per accomodare o edulcorare ciò che si comprende su ciò che si è, per raggiungere una sorta di falso senso di consenso.
E’ una condizione fondamentale del dialogo che i partecipanti siano chiari su ciò che è la propria identità di modo che in un certo senso sono sinceri; si approcciano al dialogo con un’espressione chiara di ciò che capiscono di essere.
In questo senso non costituisce mai un passo indietro nel dialogo l'essere chiari su ciò che si è, ma ne è una condizione essenziale. Al contrario, i risultati che si raggiungeranno saranno facilmente scalzati dalla verità.

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