12 dicembre 2007

Il Vaticano per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori


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La legge firmata il 10 dicembre dal cardinale Lajolo

Il Vaticano per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori

Tutelare in maniera costante ed efficace la sicurezza e la salute dei lavoratori in Vaticano: è questo lo scopo della legge firmata ieri, lunedì 10 dicembre, dal cardinale Giovanni Lajolo, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano. Il testo - approvato dalla stessa Commissione e sottoposto a Benedetto XVI il 6 novembre scorso - costituisce un'assoluta novità nel campo della legislazione vaticana in materia di tutela del lavoro ed è il risultato di un lungo iter di studio e di elaborazione iniziato nel 1994. Nell'affrontare una tematica di particolare attualità, la legge offre un testo normativo all'avanguardia, privo di inutili appesantimenti burocratici e perciò dotato di maggiore efficacia. La scelta di una "politica" della sicurezza forte ed incisiva è testimoniata dalla centralizzazione della materia, affidata ad un apposito servizio istituito presso il Presidente del Governatorato. Tenendo conto della peculiarità dell'ambiente lavorativo vaticano - soprattutto delle caratteristiche storiche e artistiche degli edifici nei quali si svolge l'attività lavorativa quotidiana - il testo promuove ampie forme di partecipazione alla tutela della sicurezza attraverso il coinvolgimento delle singole amministrazioni, chiamate a fornire un flusso costante di informazioni sui rischi e sulle esigenze dei lavoratori. È anche prevista un'opera di formazione, soprattutto allo scopo di prevenire gli incidenti sul lavoro.

Gianluigi Marrone
(Giudice Unico dei Tribunali dello Stato della Città del Vaticano)

Come non di rado si verifica nell'ordinamento giuridico vaticano, si sarebbe potuto far ricorso, anche nel caso della nuova e complessa materia della sicurezza e salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro, di cui alla legge 10 dicembre 2007 n. LIV, ad un rinvio tout-court, totale o parziale, alla legislazione italiana. Il risultato, però, di colmare tempestivamente un vuoto normativo -per altro fronteggiato, almeno negli aspetti essenziali, attraverso applicazioni analogiche di norme in vigore e ricorso a procedure di natura amministrativa - avrebbe avuto come conseguenza il coinvolgimento del mondo lavorativo vaticano nel "ginepraio" applicativo generato dalla ben nota legge italiana "626" (rectius, decreto legislativo, e successive norme di legge e regolamentari). Legislazione, intendiamoci, di forte spessore innovativo e valenza ideale, appesantita però da meccanismi "burocratici" e prescrizioni sanzionate talvolta in modo esasperato.
Più profondi, tuttavia, rispetto ad una semplice valutazione di opportunità politico-amministrativa, i motivi che hanno indotto il legislatore vaticano ad una produzione legislativa del tutto autonoma, pur non difforme dai criteri di fondo della legislazione italiana e dalle linee direttive comunitarie. Si è colta l'occasione per offrire un nuovo strumento di tutela, adeguato al particolarissimo ambiente di lavoro vaticano (in significativa coincidenza temporale con gli aumenti stipendiali in vigore dal prossimo gennaio, legati opportunamente anche al merito); ambiente ove non basta adottare ogni misura utile a rendere sicure le prestazioni e protetta la salute di chi opera, così da contribuire a che il tessuto sociale tenda ad essere, grazie allo Spirito, il "giardino di Dio e così il giardino dell'uomo" (Benedetto XVI, Veglia di Pentecoste 2006). Occorre fare di più: "per il personale vaticano non si tratta infatti di un mero rapporto lavorativo, ma di una vera e propria missione apostolica". Così il Segretario di Stato cardinale Bertone, scrivendo al Presidente dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica (Ulsa) il 19 novembre scorso, per il 25° della Lettera di Giovanni Paolo II al card. Casaroli sul lavoro in Vaticano, che pose le basi per la costituzione dell'Ulsa.

Più di una legge quadro

Facilmente è comprensibile, sulla base delle premesse appena accennate, come si sia giunti, dopo un lungo lavoro preparatorio, alla scelta di un riferimento normativo essenziale ma fortemente motivato; una sorta di legge quadro, insomma. Lo sforzo maggiore è stato quello di offrire, evitando appesantimenti inefficaci, articolazioni normative che esprimessero i principi ispiratori, lasciando alla successiva ed indispensabile produzione regolamentare - da adottare entro un anno dall'entrata in vigore della legge, il 1° gennaio 2008, delegata al Presidente del Governatorato (cfr art. 12) - il non agevole compito di riempire le caselle operative e tecniche mancanti.
Ma legge n. LIV è qualcosa di più di una legge quadro, come solitamente si intende nella dottrina e nella prassi legislativa italiana. Non si limita a fissare obiettivi, indicare percorsi normativi, individuare strumenti, richiamare risorse finanziarie. Entra direttamente nel merito della regolamentazione giuridica di istituti e procedure, mutuati il più delle volte dal contesto normativo italiano ma privati di ogni inapplicabile connotato ed anzi adeguatamente commisurati a realtà di lavoro - non dimentichiamolo - che nulla hanno a che vedere con un comune processo produttivo-economico.
Di qui, anzitutto, la centralizzazione governativa della "uniforme tutela della sicurezza e salute dei lavoratori" (art.7, 1), affidata al nuovo ed atipico Servizio alle "dirette dipendenze del Presidente del Governatorato" (ibidem); il quale potrà avvalersi, oltre che di ogni utile collaborazione e consulenza, delle funzioni proprie delle due Direzioni più interessate: quella dei Servizi Tecnici e quella di Sanità ed Igiene, con possibilità di costituire unità operative interdirezionali più ampie (cfr art.7, 2-4). È la stessa legge (nn. 5 e 6 del medesimo articolo) a fissare analiticamente le molteplici competenze del nuovo Servizio, per farne un organo snello ma di pronta efficacia ed indiscussa autorevolezza, con facoltà di adottare specifici provvedimenti, immediatamente vincolanti per i destinatari.
Va appena ricordato che l'opzione "centralizzata" non è stata quella emergente nella prima stesura della proposta di legge, predisposta con grande cura ed attenzione al dettaglio da parte del Gruppo di lavoro di esperti costituito presso l'Ulsa. Si deve, infatti, agli interventi di chiaro indirizzo istituzionale ed amministrativo ed alle costanti verifiche sull'iter delle bozze preparatorie da parte della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano (come è noto, l'organo legislativo dello Stato) la configurazione del testo definitivo - che si è decisamente distaccato dai parametri di dettaglio della "626" italiana - attraverso il paziente lavoro di un nuovo Gruppo di lavoro ed il parere dei Consiglieri di Stato vaticani.

Quali destinatari

Tre concetti base sono esposti all'art. 1 della legge, insieme alla indicazione della sua concreta finalità: a) l'individuazione della platea dei lavoratori, alla cui tutela le norme sono dirette, nel complesso delle persone fisiche che, a qualunque titolo e per qualunque tempo, svolgono una qualsivoglia attività alle dipendenze di un ente (intendendosi soggetto diverso da persona fisica) con sede nel territorio dello Stato o nelle sue zone extraterritoriali che possono configurarsi come "pertinenze funzionali" (ex art. 15 del Trattato Lateranense, per intenderci), con le eccezioni di cui diremo; b) la definizione dei luoghi di lavoro quali spazi "pubblici" frequentati dal lavoratore a motivo della sua attività; c) l'attività rilevante ai fini della legge, indicata nella prestazione espletata, con vincoli gerarchici e modalità stabilite, nei confronti di un ente con cui si intrattiene un rapporto lavorativo, restando escluse le funzioni di alta direzione ed i rapporti di natura libero professionale.
Ben precisa la legge, per evitare indebite sovrapposizioni nelle fonti, che qualora gli enti con sede nelle zone ex art. 15 del Trattato siano "stabilmente preposti ad un servizio esterno di pubblica utilità", la legislazione da applicare in materia è esclusivamente quella italiana (cfr art. 1, 2). Ogni soggetto, poi, diverso dagli enti vaticani o comunque che non abbia sede nello Stato della Città del Vaticano o negli immobili extraterritoriali, che si trovi a prestare la propria opera o ad offrire i propri servizi sul territorio vaticano, è tenuto all'osservanza della presente legge, fermi restando gli obblighi giuridici nei confronti dei propri dipendenti derivanti dalle norme dello Stato di appartenenza. Ove l'attività dei medesimi soggetti sia espletata nelle zone extraterritoriali, la legislazione cui attenersi è quella dello Stato italiano (cfr art. 1, 3).
Destinatari della legge n. LIV sono anche le Amministrazioni competenti, alle quali spetta, cioè, la manutenzione dell'immobile sede di lavoro. L'art. 2 precisa obblighi ed interventi, con le relative responsabilità. I diretti titolari degli obblighi, nella specie i legali rappresentanti degli enti, possono nominare "Delegati" ed "Incaricati", delimitandone le competenze, e così rimettendo a più dirette istanze le operazioni necessarie, gli interventi di spesa conseguenti e le correlate responsabilità (cfr art. 3). Si tratta di aspetto assai delicato della normativa, che avrà bisogno per decollare appieno -- come tutto il "pacchetto" normativo, del resto, e la filosofia che lo ispira - di sedimentazione, esperienza e soprattutto di intelligente e partecipata interpretazione.

Procedure e coinvolgimento del personale

Quell'intelligenza applicativa, di cui appena si diceva, corrisponde del resto a precisi obblighi anche per i lavoratori (cfr art. 6), cui si richiede, appunto, di partecipare alla loro tutela, per farne risultare appieno i benefici, anche attraverso costanti iniziative di formazione. Quanto alle sanzioni, che sempre necessitano perché l'impalcatura giuridica non resti un mero flatus vocis - si è preferito non appesantire il contesto con nuove ipotesi di reato - ancora una volta differenziandosi da quella italiana, specialmente nelle prime previsioni normative - lasciando spazio piuttosto, ove del caso, all'attivazione di procedimenti disciplinari secondo le previsioni delle diverse Amministrazioni, ferma restando l'iniziativa del Presidente del Governatorato. Sempre percorribile, naturalmente, se ne ricorrono i presupposti, l'azione penale.
Quanto alle procedure, va sottolineato come il nuovo "Servizio per la Sicurezza e la Salute dei Lavoratori nei Luoghi di Lavoro" - che costituisce in qualche modo il "cuore" dell'intera attività di protezione, prevenzione e formazione - necessita però di "dati" da parte dei diversi ambienti interessati. Di qui l'esigenza di acquisire le informazioni concernenti rischi ed esigenze di tutela legati alle specifiche attività lavorative, mediante un "Documento" tecnico compilato da ciascun ente, con l'apporto delle Amministrazioni competenti, secondo un modello predisposto dallo stesso Servizio, sulla base degli elementi essenziali già descritti dalla norma (cfr art. 8, 1-3).
Avvalendosi di tale, essenziale documentazione e riservandosi ogni ulteriore, utile verifica, il Servizio potrà predispone a sua volta il "Documento di valutazione dei rischi", atto formale di cui all'art. 9 della legge, per fissare i parametri di massima e le specifiche misure di prevenzione e protezione, sul piano della sicurezza e salute dei lavoratori, da rimettere ai responsabili degli enti di appartenenza dei dipendenti (con l'intermediazione, ove prevista, dei Delegati per la sicurezza, anche nella fase esecutiva) e portare a conoscenza degli stessi lavoratori.
È la conclusione di procedure e passaggi, semplificati al massimo ma pur sempre esaurienti sul piano normativo generale, ed ai quali le attese disposizioni regolamentari faranno assumere valenza concreta ed incisiva operatività. Un "pacchetto", quello recato dal Documento di valutazione dei rischi, da rinnovare ogni tre anni o al verificarsi di significative mutazioni nelle tecniche, nelle metodologie, nei macchinari o, più in generale nell'ambiente di lavoro.
Di fronte alla istintiva diffidenza per il nuovo o alla sempre ricorrente pigrizia mentale, si chiede, da parte del legislatore, un impegno di ciascuno, senza avanzare scusanti di qualsivoglia natura legate alla particolarità del lavoro svolto o alla eccezionalità del contesto lavorativo. Proprio a tal fine, l'art. 10 della legge prevede l'autorizzazione, da parte del Presidente del Governatorato, di "prescrizioni alternative", sulla base di specifiche e motivate richieste dei responsabili interessati, allorché le previsioni generali risultino concretamente inapplicabili a motivo di esigenze legate alla finalità della attività considerata (es. polizia, ordine pubblico, protezione civile) oppure alla realtà ambientale (luoghi di culto, biblioteche, archivi, strutture particolari sul piano architettonico ed artistico).
Dinamismo normativo, dunque, e fondamentale affidamento alla sensibilità dei destinatari. Il successo di una legge è tutta qui. Di questa legge, in particolare, che intende perseguire più incisive ed uniformi misure a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori vaticani, ma soprattutto coinvolgerli sempre più nella partecipazione al proprio servizio alla Sede Apostolica, quale che sia la mansione o il livello di responsabilità, nella così "singolare comunità che opera "sub umbra Petri"" (Giovanni Paolo II, Lettera al cardinale Segretario di Stato Casaroli, cit.).

(©L'Osservatore Romano - 12 dicembre 2007)

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