16 gennaio 2008

Andrea Riccardi: smacco internazionale per l'Italia(Eco di Bergamo)


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Riccardi: smacco internazionale

Lo storico attacca: si è ceduto al clima di violenza «È gravissimo: un meccanismo pericoloso»

Alberto Bobbio

Roma Il professor Andrea Riccardi, docente di storia all'Università di Roma Tre e fondatore della Comunità di Sant'Egidio, è amareggiato e osserva:

«Il mio Vescovo non può percorrere le strade di Roma, la sua città, la sua diocesi. È una cosa drammatica che deve fare riflettere noi cattolici e anche la politica».

Nel senso del governo?

«Anche. Però non ho tante risposte. Piuttosto ho domande da fare».

Quali, professore?

«Perché il governo non può mantenere l'ordine in università? Perché il governo di questo Paese non riesce a garantire la libertà di parola? Quando si cede agli schiamazzi di alcuni si accetta una delegittimazione dell'autorità. Per chi ha la responsabilità dell'ordine pubblico è uno smacco internazionale».

Che idea generale si è fatta?

«Un intellettuale stimato a livello internazionale non può parlare all'università di Roma. È un fatto gravissimo perché si introduce un principio di violenza contro la libertà di parola che avrà riverbero su tutta la società. Abbiamo ceduto al clima di violenza».

Anche quando Bush voleva venire a Sant'Egidio si disse che non si riusciva a garantire la sicurezza del presidente.

«Appunto e lo denunciai come un fatto inaudito. Questa volta lo ripeto: si mette in questione la libertà. A meno che ci siano cose che io non sappia, motivi gravissimi che io non conosco. Ma allo stato delle informazioni non sembra che sia così».

Perché parla di precedente gravissimo?

«L'università e il Paese non sono più in grado di garantire il libero dibattito culturale. Può accadere che anche la mia lezione di domani venga bloccata e impedita solo perché qualche studente e qualche professore non la pensano come me. Inoltre è una limitazione all'attività pastorale del Papa e del Vescovo di Roma. Può accadere per qualsiasi altro vescovo. Una cosa del genere non era mai accaduta nemmeno negli anni duri della contestazione».

Teme per altre visite del Papa?

«Eccome. Si innescherà pericolosamente un processo, per cui gruppi di sbandati individueranno nelle visite del Papa un motivo per trovare unità nella contestazione. Il Papa non potrà andare nelle parrocchie della sua città o in altre città d'Italia, perché qualcuno lo contesta».

Fatto più grave delle contestazioni dopo Ratisbona?

«Certamente. Allora vi furono delle minacce a livello fisico e intellettuale. Ma, per esempio, il governo turco garantì la sicurezza per la visita in Turchia. Questa è una vergogna internazionale per l'Italia».

Ma quando è stato fatto l'invito al Papa nessuno poteva prevedere le contestazioni?

«Questa è una bella domanda che ci deve far riflettere. Le autorità accademiche sono così lontane dal mondo studentesco da non saper prevedere cosa bolliva in pentola? Non avevano, inoltre, avuto sentore almeno di critiche fra alcuni docenti?».

Quando Giovanni Paolo II venne a Roma Tre voi avevate fatto un'indagine su cosa ne pensavano gli studenti?

«Certo. Io ho partecipato alle discussioni e avevamo la certezza che gli studenti e i professori lo avrebbero bene accolto. Infatti, la visita non fu nemmeno blindata. Oggi le istituzioni accademiche sono così lontane dalla società da non percepire neppure qualche sintomo di rischio? Come vede, ho più domande che risposte».

Questa vicenda è peggiore per l'immagine dell'Italia di quella dei rifiuti di Napoli?

«Sì. I rifiuti si smaltiscono. Ci saranno delle difficoltà, ma alla fine una soluzione si trova. Questa vicenda, più dei rifiuti, indica la parabola del declino di questo Paese. Sarà molto difficile rimediare».

Ma alla fine è stato il Papa a decidere e la sua decisione assomiglia ad uno schiaffo all'Italia.

«Non si può scaricare tutta la decisione sul Papa. Anzi, dico di più: è stato molto grave mettere il Papa da solo nella condizione di decidere. L'Italia aveva il dovere di garantire la visita. La responsabilità non può essere solo del Papa, perché il Pontefice non ha in mano l'ordine pubblico. Se la situazione si prevedeva così grave, perché è stato fatto l'invito? Ma se la situazione non era grave, allora perché è stata creata ad arte come grave? Sono domande a cui devono rispondere il governo, le autorità accademiche, i professori. Dal 1929, cioè in regime concordatario, e poi nell'Italia repubblicana non è mai accaduto niente di simile. Probabilmente qualche visita del Papa non è stata fatta per motivi prudenziali, ma non è mai stata cancellata una visita già annunciata. Anche Paolo VI ebbe una volta contestazioni annunciate prima di una visita in parrocchia. La polizia isolò i contestatori e la visita si fece. Ed erano tempi duri di guerriglia urbana a Roma. Oggi è bene che, se si tratta di turbamenti occasionali, essi vengano isolati. Anche perché io voglio che il mio Vescovo, parlo da cittadino di Roma, possa scendere liberamente nelle nostre strade e andare anche all'università».

© Copyright L'Eco di Bergamo, 16 gennaio 2008

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