20 ottobre 2008
Il Papa a Pompei: il commento di Mons. Liberati (Radio Vaticana)
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Il Papa a Pompei: il Santuario sia aperto al mondo come centro di irradiazione del Rosario e di intercessione per la pace tra i popoli. La testimonianza di mons. Carlo Liberati
Il Santuario di Pompei sia “aperto al mondo intero quale centro di irradiazione della preghiera del Rosario e luogo di intercessione per la pace tra i popoli”: con queste parole, pronunciate ieri pomeriggio durante la recita del Rosario, Benedetto XVI ha concluso la sua visita a Pompei. Particolarmente calorosa l’accoglienza dei tanti fedeli accorsi per pregare insieme al Successore di Pietro. Il servizio del nostro inviato, Sergio Centofanti:
Il Papa prima di entrare nel Santuario prega davanti alla tomba del Beato Bartolo Longo. Quindi, presiede la preghiera mariana davanti all’Immagine della Madonna del Rosario: un’icona del 1600 dalla storia imprevedibile come quella di Pompei. Bartolo Longo s’imbatte in questo dipinto ad olio a Napoli nel 1875: è abbandonato, logoro e divorato dalla tignola. Non vorrebbe prenderlo, è troppo rovinato, ma ha promesso ai contadini della campagna di Pompei che la sera avrebbero recitato il Rosario davanti ad un quadro della Vergine. L’icona è troppo grande per viaggiare in treno, così viene trasportata su un carro di letame. Non c’è altro mezzo. Ma potrà essere esposta alla venerazione pubblica solo un anno dopo, una volta effettuato un primo restauro: è il 13 febbraio 1876. Quel giorno, una bimba epilettica, giudicata inguaribile dal celebre professore Antonio Cardarelli, affidata dalla zia alla Madonna, guarisce miracolosamente. Inizia così la storia della Nuova Pompei, una storia - afferma Benedetto XVI nella sua meditazione - resa possibile grazie al Rosario, preghiera che fa “crescere nell’intimità con Gesù” insegnando “alla scuola della Vergine Santa a compiere sempre la volontà divina”.
Il Papa esorta a diffondere questa preghiera, anzi ad essere “autentici apostoli del santo Rosario”:
“Ma per essere apostoli del Rosario, occorre fare esperienza in prima persona della bellezza e della profondità di questa preghiera, semplice ed accessibile a tutti. E’ necessario anzitutto lasciarsi condurre per mano dalla Vergine Santa a contemplare il volto di Cristo: volto gioioso, luminoso, doloroso e glorioso. Chi, come Maria e insieme con Lei, custodisce e medita assiduamente i misteri di Gesù, assimila sempre più i suoi sentimenti e si conforma a Lui”.
“Il Rosario - spiega Benedetto XVI - è scuola di contemplazione e di silenzio”:
“A prima vista, potrebbe sembrare una preghiera che accumula parole, difficilmente quindi conciliabile con il silenzio che viene giustamente raccomandato per la meditazione e la contemplazione. In realtà, questa cadenzata ripetizione dell’Ave Maria non turba il silenzio interiore, anzi, lo richiede e lo alimenta”.
Un silenzio che lascia affiorare, attraverso le nostre parole, l’unica Parola necessaria, quella di Dio:
“Così, recitando le Ave Maria occorre fare attenzione a che le nostre voci non ‘coprano’ quella di Dio, il quale parla sempre attraverso il silenzio, come ‘il sussurro di una brezza leggera’ (1 Re 19,12). Quanto è importante allora curare questo silenzio pieno di Dio sia nella recita personale che in quella comunitaria!”
Il Papa richiama quindi “la dimensione apostolica del Rosario, una dimensione che il Beato Bartolo Longo ha vissuto intensamente, traendone ispirazione per intraprendere in questa terra tante opere di carità e di promozione umana e sociale”:
“Inoltre, egli volle questo Santuario aperto al mondo intero, quale centro di irradiazione della preghiera del Rosario e luogo di intercessione per la pace tra i popoli. Cari amici, entrambe queste finalità: l’apostolato della carità e la preghiera per la pace, desidero confermare e affidare nuovamente al vostro impegno spirituale e pastorale”.
Poi, tra gli applausi, il Papa in segno di devozione e affidamento ha offerto alla Madonna una Rosa d’oro. Infine, ha rivolto un ultimo saluto ai fedeli dal sagrato del Santuario: “Rimango sempre con il cuore vicino a voi, a questo bellissimo Santuario, a questa gente di fede, piena di fede, di entusiasmo e di carità. Grazie! Siamo fedeli alla Madonna e così siamo fedeli alla pace e alla carità”.
Pompei “cittadella di Maria e della carità” non è “una cattedrale nel deserto”, “isolata dal mondo” ma piuttosto è “inserita nel territorio per riscattarlo e promuoverlo”: lo ha affermato Benedetto XVI all'omelia della Messa nel Santuario campano, situato nella martoriata terra di Campania, afflitta dalla povertà e dalla diffusione del crimine organizzato. Roberta Gisotti ha intervistato l’arcivescovo Carlo Liberati, delegato pontificio per il Santuario:
D. - Eccellenza, qualcuno ha osservato che il Papa non ha parlato direttamente di camorra: ma qual è stato il cuore del suo messaggio?
R. - Il Papa non ha parlato di camorra, ma il popolo che viene a Pompei è il popolo dei cattolici praticanti, il popolo degli onesti, le famiglie autentiche, vere, genuine, che compongono lo ‘zoccolo duro’, possiamo dire, del popolo italiano e della Chiesa italiana. Il Papa ha voluto incoraggiare coloro che credono, che soffrono per credere. E’ chiaro che il Papa guarda lontano anche a quelli che possono essere recuperati. Noi, nel Battesimo, abbiamo ricevuto un germe: il germe del bene, dell’amore, quindi della bontà condivisa e che deve diventare crescente. Il Papa ha voluto incoraggiarci ad ascoltare questo messaggio divino, a praticarlo nella nostra vita, ad essere testimoni di un nuovo mondo di amore.
D. - Non ci sarebbe dunque motivo di delusione per i campani: il Papa è senz’altro loro vicino, vicino alle sofferenze anche nel loro quotidiano...
R. - Certamente. Non solo non c’è stata nessuna delusione, ma c’è stato un corale applauso di ringraziamento, di riconoscenza, di benevolenza verso il Papa.
D. - Eccellenza, a questo proposito, quale sprone si attende dalla visita del Papa, per lei che nell’esperienza quotidiana di pastore vive il diffuso degrado sociale di questa regione ma anche - dobbiamo sottolineare - lo scoramento diffuso tra le gente perbene?
R. - Noi dobbiamo essere seminatori di speranza ma non solo predicatori di speranza, perché tante volte - anche nelle nostre omelie, forse pur con le intenzioni più belle - ci perdiamo in vaghe esortazioni e in generici incoraggiamenti a fare il bene. Noi tutti ci dobbiamo rimboccare le maniche e adesso, qui, subito, dobbiamo ricostruire il Regno di Dio, coalizzando gli onesti. Anche la Campania è piena di questo popolo di Dio buono, sincero, vero, che cerca il bene e che lo vuole costruire. E noi dobbiamo essere gli organizzatori di questa bontà e questo avviene nel cuore della Chiesa, questo avviene nel cuore di Pompei. Il Papa ieri ci ha detto delle espressioni che mi commuovono ancora: “Lascio qui il mio cuore”, tre volte l’ha detto.
D. - E’ tempo che il bene torni a riemergere in Campania?
R. - Il bene non è mai stato assente in Campania, ma lei sa che a volte i giornalisti inventano le notizie perché vogliono creare il "prurito" negli occhi e nelle orecchie delle persone che leggono e che ascoltano, per fare notizia, per vendere i loro giornali. Facciamo attenzione che non diventi anche questo un degrado ed una degenerazione della democrazia. In fondo, lo Stato è quello che noi vogliamo che sia e per fare questo dobbiamo ascoltare i buoni, e dare a loro la possibilità di esprimersi, di fare opinione pubblica. Allora credo che i giornali, i settimanali, le radio, le televisioni, devono smetterla di interessarsi di tante sciocchezze, di tante superficialità, per ritornare ai valori veri, a quelli dei Comandamenti, delle Beatitudini, soprattutto a quelli dell’amore e della solidarietà tra noi.
D. - E’ giusto, eccellenza, che il bene si coalizzi da un angolo all’altro del mondo, da una regione all’altra dell’Italia?
R. - Ma che cos’è la Chiesa, come comunità, se non un’immensa coalizione di amore che noi ogni giorno cerchiamo di organizzare così da combattere, quotidianamente, la battaglia contro il male, contro tutte le morti, spirituali e fisiche, contro tutte le ingiustizie? Abbiamo bisogno di cambiare tante cose. Ma come si fa a costruire una pace se non c’è la giustizia? Anzi, se vige l’ingiustizia, la sperequazione? Allora dobbiamo tornare a sentirci e a predicare, a vivere, a soffrire, per poterci sentire tutti fratelli e sorelle, figli di Dio. Allora avremo, nell’amore reciproco, il risultato della pace.
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