1 ottobre 2008

Il pensiero amico della ragione di Romano Guardini avvicina Hannah Arendt al professor Ratzinger (Fazzini per "Tempi")


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Il pensiero amico della ragione di Romano Guardini avvicina Hannah Arendt al professor Ratzinger

di Lorenzo Fazzini

Quando nell’autunno 2006 Benedetto XVI visitò Verona fu omaggiato di un dono che gradì in maniera particolare (e che fece portare subito in Vaticano): una copia del certificato di battesimo, datato 3 maggio 1885, di Romano Guardini. Un nome, quello di questo pensatore italo-tedesco, nato nella città scaligera ma emigrato in Germania a seguito del padre, console a Mainz, che a papa Ratzinger è decisamente caro e di cui non ha mancato, lungo il corso della sua carriera accademica e pastorale, di citare ripetutamente l’operato e il pensiero.
Guardini – deceduto il 1 ottobre 1968 a Monaco di Baviera, ultima tappa del suo iter accademico, che fece tappa anche a Bonn e Berlino – anticipò con lungimiranza molti dei temi che il pensiero più avanzato, cattolico e non, ha rilanciato in questi ultimi anni. Fu lui a riconoscere – come poi fece pure Alain Besançon in Novecento.
Il secolo del male (Lindau) con la celebre espressione «gemelli eterozigoti» riferita a nazismo e comunismo –, che i due sistemi totalitari del Novecento nascevano dalla stessa radice: «La costruzione dogmatica che il giudizio corrente rinfaccia al Medio Evo era piena libertà a paragone di ciò che il nazionalsocialismo ha dato l’avvio e che continua ad accadere nel comunismo» scriveva ne Il potere (1951).
Nello stesso saggio prefigurava quello che i progressisti anti-cristiani come Augias, Hitchens e Dawkins avrebbero messo per iscritto cinquant’anni dopo: «Non si tratta della diminuzione dell’influsso della fede cristiana sulle condizioni generali ma di qualche cosa di più elementare: diminuisce il valore religioso dell’esistenza».
Non che fosse un retrogrado e un immobilista, Guardini: «A noi – annotava nel bellissimo Lettere dal Lago di Como, scritte negli anni Venti – è imposto il compito di dare una forma a questa evoluzione e possiamo assolvere tale compito soltanto aderendovi onestamente; ma rimanendo tuttavia sensibili, con cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso. Il nostro tempo è dato a ciascuno di noi come terreno sul quale dobbiamo stare e ci è proposto come compito che dobbiamo eseguire». Anzi: la sua preveggenza gli fece capire meglio di chiunque altro i rischi dell’applicazione della tecnologia alla vita umana e il rischioso rapporto tra morale e tecno-scienze: «Una terribile possibilità: che l’uomo soccomba alle forze anonime. Quest’uomo che vive così, noi lo chiamiamo “uomo-non-umano”» presentiva ne La fine dell’epoca moderna (1950). E nelle sopracitate Lettere abbozzava un timore: «Sento chiaramente che sta sorgendo un mondo in cui l’“uomo” non potrà più vivere, un mondo in certo qual modo disumanizzato». Interrogandosi poi così: «Cosa accadrà quando prenderemo bruscamente coscienza delle formule razionali, quando ci troveremo davanti al prevalere degli imperativi della tecnica? In un tale sistema, la vita può rimanere vivente?».
Questi – qui solo accennati – sono alcuni dei temi guardiniani che si ritrovano sottotraccia nell’insegnamento di Ratzinger, sia da teologo sia da pontefice.
Qualche esempio? Basta scorrere alcune opere del futuro Benedetto XVI per rendersene conto. Il Pontefice riconobbe, nel suo testo Introduzione allo spirito della liturgia (San Paolo, 2000), il debito verso Guardini nella scoperta di come la liturgia cattolica fosse un elemento decisivo per la fede, e non solo un insieme di leziosi orpelli: «Una delle mie prime letture dopo gli inizi degli studi teologici, al principio del 1946, fu l’opera prima di Romano Guardini Lo spirito della liturgia, un piccolo libro pubblicato nella Pasqua del 1918 (…). Esso contribuì in maniera decisiva a far sì che la liturgia, con la sua bellezza, la sua ricchezza nascosta e la sua grandezza che travalica il tempo, venisse nuovamente riscoperta come centro vitale della Chiesa e della vita cristiana».
Non solo: proprio nella scelta del titolo di un’opera sulla liturgia (dimensione alla quale, come ha più volte rimarcato il vaticanista dell’Espresso Sandro Magister Benedetto XVI è quanto mai sensibile), il Papa voleva dimostrare il suo debito di gratitudine verso il sacerdote-intellettuale italo-germanico: «Questo libro vorrebbe proprio rappresentare un contributo a tale rinnovata comprensione. Le sue intenzioni coincidono quindi sostanzialmente con ciò che Guardini si era proposto a suo tempo; per questo ho volutamente scelto un titolo che ricorda espressamente quel classico della teologia liturgica».

L’ammirazione di Heidegger

Se sul fronte più propriamente teologico Ratzinger ha definito Guardini uno degli autori «la cui voce ci toccava più da vicino» durante gli studi in seminario, definendo «un’opera entusiasmante» il testo Il Signore (appena riedito da Vita & Pensiero), è l’aspetto educativo del suo operato che il Papa considera Guardini meritevole di venir riscoperto: «Ripensavo continuamente – scrive ne La mia vita (San Paolo, 1997) – al fatto che negli anni Venti e Trenta Romano Guardini non aveva portato avanti la sua grandiosa opera solamente in università, ma che, con un gruppo spontaneo di allievi, aveva realizzato sul castello di Rothenfles un centro spirituale, che poi riusciva a valorizzare il suo lavoro universitario ben oltre la mera dimensione accademica».
Proprio sul filo della riscoperta di Guardini sabato 10 ottobre si terrà a Verona, sua città natale, un convegno promosso dalla Fondazione G. Toniolo (in collaborazione con la Fondazione Cattolica Assicurazioni): interverranno la storica Lucetta Scaraffia, il cardinale Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio consiglio per la Cultura, e Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio.
Non che Guardini debba poi essere circoscritto ad un ambito puramente confessionale: la stima che ricevette da pensatori laici come Martin Heidegger e Hannah Arendt merita in questo caso di venir riscoperta. L’autore di Essere e tempo cercò, dopo la fine della seconda guerra mondiale, di portare – invano – Guardini ad insegnare a Freiburg, l’ateneo dove lui stesso era figura eminente. E la stessa filosofa ebrea fu allieva del prete cattolico quando questi insegnava (dal 1923 al 1939: poi i nazisti fecero chiudere le lezioni di Guardini, considerato un oppositore troppo irriducibile di Hitler) a Berlino. Ancora. Nel ’52 l’autrice de Le origini del totalitarismo passò da Monaco dove andò ad ascoltare il suo vecchio maestro: «Come minimo 1200 persone, sedute, in piedi, pigiate. Ha parlato come al solito di etica: filosofia morale al più alto livello»

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