15 ottobre 2008
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BIBBIA - Il diritto alla Parola
Siglato un accordo di cooperazione per la traduzione e la diffusione
"Noi crediamo che ci sia un diritto di ogni popolo ad avere la Sacra Scrittura tradotta nella propria lingua e che noi cristiani abbiamo il dovere di farla giungere nella lingua di ciascun popolo". Così mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narnia-Amelia e presidente della Federazione biblica cattolica, è intervenuto durante la conferenza stampa di presentazione dell'Inchiesta internazionale sulla lettura della Bibbia in prospettiva ecumenica. All'inizio della conferenza, tenuta il 14 ottobre nella sala stampa della Santa Sede, è stato firmato l'accordo di cooperazione per la traduzione e la diffusione della Bibbia tra la Federazione biblica cattolica e la United Bible Societies.
Le sfide delle Chiese.
Nel presentare l'iniziativa, mons. Vincenzo Paglia ha sottolineato due sfide che le Chiese sono chiamate oggi ad affrontare. Da un lato "l'incredibile numero di persone che non hanno ancora familiarità con la Bibbia". Dalla ricerca sociologica condotta per conto della Federazione emerge, infatti, come "nella maggior parte delle case sia presente una Bibbia ma pochi la utilizzino. Insomma - ha aggiunto Paglia - una Bibbia da scaffale, non da comodino". D'altro lato, "la stragrande maggioranza delle popolazioni non conosce ancora l'incontro con la Scrittura". La Bibbia finora è stata tradotta in 2.454 lingue diverse (interamente solo in 458) ma "restano ancora altre 4.500 lingue". Da qui, la necessità di stringere un accordo con la United Bible Societies affinché lo sforzo sia comune. "La firma di questo accordo - ha detto Archibald Miller Milloy, segretario generale della United Bible Societies" - è la affermazione pubblica della cooperazione che già esiste dal 1969 tra la Federazione biblica cattolica e la United Bible Societies. E di più, è la dichiarazione pubblica della intenzione delle due organizzazioni di approfondire questa collaborazione negli anni a venire".
Un'eredità comune.
Malgrado le diverse interpretazioni della Sacra Scrittura che hanno allontanato i cristiani nella storia della Chiesa, "la Bibbia è rimasta sempre un'eredità comune. Nient'altro unisce la Chiese e le comunità cristiane come la Bibbia". Essa è "veramente" la "base del dialogo ecumenico". Così il card. Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, prima della firma dell'accordo. Il cardinale non ha nascosto le difficoltà ecumeniche riguardo alla comune interpretazione biblica. "Sulla sua interpretazione - ha detto - ci siamo divisi". Ci sono stati "sviluppi unilaterali, limiti e problemi e abusi di metodo storico e critico. Facendo così ci si è dimenticati che la Bibbia è un libro nato nella Chiesa e per la Chiesa. Sulla Bibbia - ha sottolineato - dobbiamo metterci d'accordo, il dialogo ecumenico non è un negoziato diplomatico ma significa leggere e ascoltare insieme ciò che Dio vuole dirci tramite la Scrittura". I cristiani hanno però "raggiunto su molti punti controversi una interpretazione comune", parecchio resta ancora da fare e il cardinale auspica che dal movimento ecumenico emerga "un nuovo slancio biblico".
Un'elevata domanda religiosa.
"Una larghissima maggioranza di individui dichiara di avere fatto esperienza, almeno una volta nella vita, della vicinanza di Dio". È quello che viene confermato dalla ricerca "La lettura delle Scritture" condotta da Gfk-Eurisko sotto la guida del sociologo Luca Diotallevi e presentata dopo la firma dell'accordo. Scopo della ricerca: valutare il rapporto tra la popolazione adulta e le Scritture. Condotta in dodici Paesi, tre città italiane e la Regione Umbria, la ricerca ha un carattere ecumenico (sono stati intervistati cattolici, ortodossi e protestanti). Emerge la presenza di un sentimento religioso diffuso. Se, però, la maggioranza degli intervistati crede in Dio, "diversa è invece la diffusione pratica". Il 75% degli italiani ha una Bibbia in casa, ma solo il 27% ne ha letto un brano nell'ultimo anno. In genere alla lettura è preferito l'ascolto di omelie e prediche, che vengono apprezzate dalla quasi totalità degli intervistati. Secondo la ricerca, il 32% degli italiani partecipa a riti religiosi almeno una volta a settimana, più dei francesi (10%) e degli spagnoli (20%), ma meno di filippini (66%), polacchi (55%) e statunitensi (45%). L'85% inoltre prega ma solo la metà lo fa tutti i giorni o quasi. Pochi però conoscono la Bibbia. Soltanto il 14% degli intervistati è riuscito a rispondere correttamente alle sette domande poste dagli intervistatori relative alla conoscenza del testo. Si allarga l'orizzonte di chi preferisce seguire gli eventi religiosi attraverso il mezzo televisivo.
Recuperato il gap tra cattolici e protestanti.
La ricerca si sofferma sul caso olandese: unico, tra quelli analizzati, in cui "la differenza confessionale appare spesso significativamente correlata al grado di familiarità individuale con le Scritture". Il 71% dei protestanti olandesi ha letto la Bibbia nell'ultimo anno contro il 28% dei cattolici. Inoltre i protestanti la ritengono più interessante e più legata alla vita di tutti i giorni. Il fatto che solamente l'Olanda presenti queste differenze è un segnale "che si è quasi annullato il gap tra cattolici e protestanti", ha concluso mons. Paglia.
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