7 luglio 2007

Da "Petrus": Papa Benedetto, la Messa tridentina e alcune citazioni


Vedi anche:

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM"

IL TESTO DEL MOTU PROPRIO (in italiano)

LA LETTERA DEL SANTO PADRE AI VESCOVI PER PRESENTARE IL MOTU PROPRIO.

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO CHE LIBERALIZZA LA MESSA IN LATINO (articoli e commenti precedenti la pubblicazione del motu proprio).

Il motu proprio "Summorum Pontificum", qualche riflessione (di Raffaella)

Messa tridentina: il commento di Padre Lombardi

Messa tridentina: le reazioni del card. Karl Lehmann (Germania) e di Mons. Kurt Koch (Svizzera)

SERVIZIO DI SKYTG24

Messa tridentina: la reazione del cardinale Ricard e di Bernard Fellay (lefebvriani)

I primi commenti al motu proprio "Summorum Pontificum"

Oggi la pubblicazione del motu proprio "Summorum Pontificum" sulla Messa tridentina (1)

Oggi la pubblicazione del motu proprio "Summorum Pontificum" sulla Messa tridentina (2)

Dal libro intervista "Il sale della terra": il prete non e' un presentatore

Cari amici, sul quotidiano Petrus, potete leggere alcuni articoli, molto interessanti, sul motu proprio "Summorum Pontificum". Ne ho scelti tre, ma consiglio a tutti la lettura degli altri editoriali.
Raffaella

La discrezione del Papa e il protagonismo di alcuni chiacchieroni in talare

di Fra’ Sistino

CITTA’ DEL VATICANO - Nel nostro piccolo convento c’è una regola d’oro: il silenzio. Una regola che dovrebbero seguire a mio avviso molti monsignori, che minvece di far uscire “spifferi”, potrebbero aiutare il Popolo di Dio a capire. Anche il nostro Papa deve pensarla così. “Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto”. Così scrive Benedetto nel suo Motu proprio per la liberalizzazione del Messale di San Pio V e molti penseranno che sono i “soliti giornalisti” ad aver dato anticipazioni inopportune. Ma si sa che il lavoro della stampa è di dare notizie. Ma chi dà le notizie alla stampa? E soprattutto perché? E come? E’ un problema antico. Il rischio è che la stampa stessa venga manipolata da fazioni rivali che purtroppo credono che la Chiesa sia un’arena dove si combatte per vincere. E il Popolo di Dio che spazio ha, che attenzione ha? Credo nessuna o pochissima. Così, ad esempio, sarebbe stato più utile che invece di “spifferare” anticipazioni, i monsignori del Vaticano avessero fornito spiegazioni sulla Riforma Liturgica, sulle differenze e i punti in comune tra i messali, sulle regole canoniche, sulle forme stesse delle preghiere. E magari, dopo la pubblicazione del Motu proprio sarebbe stata opportuna una conferenza per i giornalisti, per renderli più capaci di dare informazioni utili e complete. Non credo che il Papa non ami i mass-media. Credo piuttosto che non ami il protagonismo. Già, il protagonismo: una malattia molto diffusa nella Chiesa. Preghiamo, fratelli, perché possiamo trovare la cura.


E il Pontefice scomunicò la Liturgia deformata "al limite del sopportabile"

di Arcangelina

CITTA’ DEL VATICANO - In molti luoghi si è arrivati a “deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile”: è il duro monito che Papa Benedetto XVI inserisce in un passaggio della lettera ai vescovi che accompagna il Motu proprio “Summorum pontificum”. Parlando degli eccessi liturgici, il Santo Padre rigetta quelle interpretazioni del Concilio Vaticano II per cui il nuovo Messale “addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività”. E aggiunge: “Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa”. Un passaggio molto intimo e confidenziale, questo, in cui il Papa sembra far sue quelle “ferite” per un modo di trattare la Liturgia irriguardoso. Più avanti c’è poi un suggerimento che è quasi una raccomandazione: “Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso”; quindi invita a “celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale” (di Paolo VI). E nella Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis affermava che “le difficoltà ed anche taluni abusi rilevati, è stato affermato, non possono oscurare la bontà e la validità del rinnovamento liturgico, che contiene ancora ricchezze non pienamente esplorate” e invitava a mettere “in evidenza le grandi ricchezze dell’Ordinamento Generale del Messale Romano e dell’Ordinamento delle Letture della Messa”. Ma che l’aspetto liturgico sia molto caro a Benedetto XVI non è cosa nuova. Questo “amore” risale ai tempi in cui l’attuale Pontefice era ancora “solo” il Cardinale Joseph Ratzinger. Tracce del suo pensiero sulla liturgia si possono trovare nei numerosi libri, discorsi e interviste che hanno accompagnato da sempre la sua vita. In particolare ci sono due testi e un discorso del 2001 che entrano direttamente in merito al problema toccato dal Motu proprio. Sosteneva Ratzinger in una conferenza su “La teologia della liturgia” tenuta all’Abbazia di Fontgombault: “Una cosa dev’essere chiara: la liturgia non dev’essere un terreno per sperimentare ipotesi teologiche. Troppo rapidamente in questi ultimi decenni, le concezioni di alcuni periti sono entrate nella pratica liturgica (…). La liturgia non è l’espressione della coscienza di una comunità, del resto sparsa e mutevole. Essa è la rivelazione accolta nella fede e nella preghiera”. In “Dio e il mondo”, scritto a colloquio con Peter Seewald, c’è un paragrafo dedicato alla Liturgia, in cui il Cardinale Ratzinger, tra le altre cose, ammoniva: “Non possiamo però fare a meno di constatare oggi l’esistenza di forti tendenze che concepiscono la liturgia come un meccanismo smontabile e rimontabile arbitrariamente, il che è incompatibile con l’essenza della liturgia”. E aggiungeva: “C’è bisogno come minimo di una nuova consapevolezza liturgica che sottragga spazio alla tendenza a operare sulla liturgia come se fosse un oggetto della nostra abilità manipolatoria. Siamo giunti al punto che dei gruppi liturgici imbastiscono da se stessi la Liturgia domenicale (…) La cosa più importante oggi è riacquistare il rispetto della Liturgia”. E nello stesso paragrafo affermava: “Per una retta presa di coscienza in materia liturgica è importante che venga meno l'atteggiamento di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970. Chi oggi sostiene la continuazione di questa Liturgia o partecipa direttamente a celebrazioni di questa natura, viene messo all'indice. Nella storia non è mai accaduto niente del genere; così è l'intero passato della Chiesa a essere disprezzato. Non capisco nemmeno, ad essere franco, perché tanta soggezione, da parte di molti confratelli vescovi, nei confronti di questa intolleranza, che pare essere un tributo obbligato allo spirito dei tempi, e che pare contrastare, senza un motivo comprensibile, il processo di necessaria riconciliazione all'interno della Chiesa”. Parole profetiche, alla luce del Motu Proprio e della lettera che lo accompagna, che se pure con toni diversi, non è meno chiara e incisiva. E nella “Introduzione allo spirito della Liturgia” Ratzinger scriveva: “Oggi sembra assurda una ‘celebrazione verso la parete’ o ‘un mostrare le spalle al popolo’. Ma con la celebrazione versus populum si è introdotta una clericalizzazione quale non si era mai data in precedenza. Ora, infatti, il sacerdote (…) diventa vero e proprio punto di riferimento di tutta la Celebrazione (…). L’attenzione è sempre meno rivolta a Dio (…) . L’atto con cui ci si rivolgeva tutti verso oriente non era ‘celebrazione verso la parete’, non significava che il sacerdote ‘volgeva le spalle al Popolo’ (…) si tratta piuttosto di uno stesso orientamento del sacerdote e del popolo, che sapevano di camminare insieme verso il Signore”.


Tre anni per sapere se piace davvero il ritorno all'antico

di Angela Ambrogetti

CITTA’ DEL VATICANO - Basterà aspettare tre anni. Poi si vedrà chi avrà avuto ragione, se i “tradizionalisti”, gli appassionati di una liturgia un po’ demodè ma non contraria al Concilio, oppure i “modernisti” ad oltranza, che magari dopo aver reso sciatta la bellissima liturgia delle riforma conciliare, ora non sanno come correre ai ripari. Tre anni, appunto, dopo i quali il Papa chiederà conto a Vescovi e parroci del loro lavoro. Perché in fondo ora tocca a loro capire se il messale del ‘62 è più utile al bene delle anime e alla unità della Chiesa piuttosto di quello del ‘70, naturalmente bene applicato. Ecco il punto dolente per molte comunità parrocchiali: è stata davvero usata, amata, spiegata la bellissima liturgia del messale di Paolo VI? Per Papa Benedetto la risposta è no. “In molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa”. Chiarissimo. E del resto chi pratica le messe parrocchiali, le celebrazioni dei sacramenti, gli incontri di movimenti e gruppi sa benissimo che fin troppo spesso si aggiunge o toglie qualcosa in una Messa, come se la liturgia fosse uno spettacolo da perfezionare e il messale solo un canovaccio. Dimenticando spesso la ricchezze delle preghiere eucaristiche, ad esempio, che nel messale del ‘70 sono diverse, oltre al canone romano comunque ancora in uso e che è lo stesso del messale del ‘62. E’ solo un esempio. Insomma, la responsabilità di questo Motu proprio che tanto ha e farà scalpore non è tanto nella voglia di antico, di pre-concilio di alcuni. Assolutamente discutibile. Quanto nella incapacità di applicare la ricca e bellissima liturgia nata dalla riforma e dal Vaticano II. Un pezzo in più del Concilio Vaticano II di cui non abbiamo compreso la grandezza. Parafrasando il Vangelo forse si potrebbe dire che “per la durezza dei nostri cuori”, i Papi hanno dovuto concedere spazio alla liturgia più antica anche se meno ricca, bella, partecipativa e viva. Non lo abbiamo capito, ed ora i più giovani pensano che prima fosse meglio. A noi fedeli, ai parroci ai Vescovi far capire quanto sbagliano. Aspettiamo tre anni, ma non con le mani in mano.

Petrus

2 commenti:

francesco ha detto...

ehi
ma arcangelina la conosco!!!!
e non si chiama così eh eh
francesco

francesco ha detto...

bravissima angela!!!
pienamente d'accordo
ma la palla ora sta anche agli amanti del vecchio rito: devono scegliere la comunione affettiva ed effettiva con i loro pastori...
tra tre anni... un primo bilancio
francesco