10 luglio 2007
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Grazie alla segnalazione di Francesco leggiamo:
Con il Motu proprio sul Messale Romano del 1962, Benedetto XVI dimostra di essere un padre di tutti: così, l’arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci, sul Summorum Pontificum
Il Motu proprio Summorum Pontificum risponde agli sforzi della Chiesa di permettere a tutti coloro che lo desiderino di “restare nell’unità o di ritrovarla”. E’ quanto viene sottolineato dai presuli svizzeri. Per aiutare i fedeli a comprendere il documento del Papa dal punto di vista liturgico, il presidente dell’organismo episcopale elvetico, mons. Kurt Koch, ha redatto un’introduzione disponibile sul sito Internet della Conferenza episcopale elvetica (www.sbk-ces-cvs.ch). Apprezzamento per il Motu proprio viene espresso anche dall’episcopato austriaco. In un documento firmato, tra gli altri, dall’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, si mette l’accento sull’intenzione del Papa di “superare le divisioni della Chiesa, per attingere più profondamente alle sorgenti del Mistero di Cristo”. Un documento, dunque, che unisce e non divide, come sottolinea l’arcivescovo di Bari-Bitonto, mons. Francesco Cacucci, intervistato da Alessandro Gisotti:
R. - Credo che sia fondamentale partire dal fatto che il Papa è padre di tutti, e quindi dev’essere padre di coloro che vivono nella Chiesa, con sensibilità diverse. Fermo restando che il Magistero della Chiesa, che a noi è giunto dal Concilio Vaticano II, diventa normativo per tutti, il riferimento ad un Messale precedente a quello di Paolo VI, che non è stato mai abolito - come sottolineato nella Lettera con cui il Santo Padre accompagna il Motu proprio - questo precedente Messale resta in vigore per coloro che hanno avuto difficoltà ad accettare, soprattutto in alcuni Paesi, un’interpretazione forse con creatività selvaggia, del Vaticano II. Credo però che questo problema non sia legato alla nostra realtà italiana.
D. - Qual è la sua esperienza di pastore in una grande diocesi, come quella di Bari-Bitonto, riguardo alla Messa in latino, al rapporto dei fedeli con l’uso del latino nella liturgia?
R. - Si può dire che nella nostra diocesi non ci sono stati episodi, o almeno, io non ne conosco, di “creatività selvaggia” dopo il Vaticano II. Questo ha facilitato un atteggiamento di grande equilibrio. Il cantare il Pater noster in latino, durante la Messa, per noi è abituale, o cantare il Kyrie o anche il Gloria in latino, questo non fa difficoltà. Ecco perché da parte del nostro popolo sarebbe del tutto inconsueto chiedere di celebrare una liturgia eucaristica in latino. Nel momento in cui si presentasse l’occasione, non credo che ci sarebbero difficoltà. Il nostro popolo è abituato anche a tener presente in latino, durante le celebrazioni.
D. - In realtà, questo Motu proprio che regolamenta l’uso del Messale del 1962 - soprattutto pensando alla Lettera che il Papa ha inviato ai presuli - mette l’accento anche sulla sacralità del Messale di Paolo VI che, ricordiamo, è la forma ordinaria, come il Santo Padre sottolinea...
R. - Vorrei aggiungere che, durante l’ultimo Sinodo dei vescovi sull’Eucaristia, Sinodo al quale ho partecipato, molte voci si sono levate da parte dei vescovi di tutto il mondo, per recuperare il senso del mistero nella celebrazione dell’Eucaristia e in genere nella liturgia. Quindi, questa esigenza è un’esigenza diffusa in tutto il mondo. Penso poi soprattutto a quei vescovi che provenivano dai Paesi dell’est e che hanno sofferto molto, a volte anche la persecuzione, per essere fedeli e per rispettare il mistero eucaristico. Ecco perché forse le reazioni che si sono avute attraverso Léfébvre in alcuni Paesi sono state anche una reazione ad una “creatività selvaggia” e forse ad una mancanza di rispetto, anche, della dimensione del mistero che sempre accompagna la liturgia eucaristica che è la “Divina Liturgia”, come dicono gli orientali.
fonte: Radio Vaticana
Cattolici romani
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