19 novembre 2007
Il "padre" della pecora Dolly: «Addio clonazione, più promettenti le ricerche su staminali adulte». Lo speciale di "Avvenire"
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Il «papà» di Dolly dice addio alla clonazione
«Più promettenti le ricerche su staminali adulte»
DA LONDRA ELISABETTA DEL SOLDATO
Ian Wilmut, lo scienziato britannico famoso per aver fatto nascere la pecora Dolly, ha deciso di abbandonare la ricerca nel campo della clonazione per occuparsi di una nuova tecnica di impiego delle cellule staminali che consente di creare cellule-madri senza ricorrere agli embrioni. Lo ha scritto ieri il quotidiano inglese «The Daily Telegraph», precisando che lo scienziato è interessato alla ricerca per la cura di malattie come il morbo di Parkinson. «Ho deciso qualche settimana fa di non andare avanti con il trasferimento nucleare (il metodo della clonazione)», ha dichiarato Wilmut, che insegna all’Università di Edimburgo, in Scozia. Lo scienziato è certo che la tecnica messa a punto in Giappone dall’équipe del professor Shinya Yamanaka offre migliori possibilità di sviluppare cellule dallo stesso paziente per curare una serie di malattie. A differenza delle attuali ricerche sulle cellule staminali, questa nuova tecnica non prevede il ricorso a embrioni umani ed è dunque, ha sottolineato Wilmut, «più accettabile socialmente ed eticamente».
La decisione di Wilmut di voltare le spalle alla cosiddetta «clonazione terapeutica», è giunta pochi giorni dopo l’annuncio, sulla rivista «Nature», di un gruppo di ricercatori guidati dal professor Shoukhrat Mitalipov dell’Università di Beaverton in Oregon (Stati Uniti), sui progressi ottenuti nella clonazione dei primati, ed è ora de- stinata a far discutere l’establishment scientifico. Wilmut diventò famoso nel 1997 quando lui e la sua équipe presentarono al mondo la pecora Dolly, nata l’anno precedente. Non è ancora chiaro se Wilmut sia stato spinto a prendere la decisione di abbandonare la clonazione terapeutica, di cui è pioniere, per ragioni puramente pratiche, come lui stesso ha dichiarato, o anche etiche e morali come quelle sottolineate dalle associazioni per la vita che da anni in Gran Bretagna si battono contro la clonazione e l’uso di embrioni umani nella ricerca. Al momento l’unica certezza è che Wilmut non userà la licenza per la clonazione di embrioni umani, ottenuta due anni fa dalla «Human Fertilisation and Embryology Authority», l’organo che regola in Gran Bretagna il campo della fecondazione artificiale ed embriologia, al fine di trovare nuove terapie per malattie finora incurabili come la sclerosi laterale amiotrofica. Una decisione che potrebbe ora segnare la fine della clonazione terapeutica, per la quale negli ultimi dieci anni sono stati spesi milioni di sterline, e l’inizio di una nuova era per la creazione di cellule staminali e la cura di malattie gravi. «Il metodo giapponese portato avanti dal professore Shinya Yamanaka – ha spiegato Wilmut al “ Telegraph” – suggerisce una tecnica per creare cellule staminali embrionali senza il bisogno dell’utilizzo di ovociti umani, che come sappiamo bene sono estremamente scarsi». Usando il sistema giapponese, ha continuato, «si eviterebbe dunque la creazione e la conseguente distruzione di embrioni umani clonati», una procedura osteggiata fortemente da molti gruppi e associazioni, religiose e non, in Gran Bretagna.
Il professore Yamanaka ha dimostrato di poter tramutare le cellule dell’epidermide di topi in cellule staminali capaci di curare malattie e secondo alcuni colleghi britannici avrebbe ottenuto lo stesso risultato usando cellule dell’epidermide umana. Il lavoro di Yamanaka dimostrerebbe dunque che per esempio dopo un infarto le cellule epidermiche di un paziente potrebbero essere riprogrammate in cellule muscolari e usate per la cura della malattia. Lo stesso metodo potrebbe essere usato anche per curare altre malattie, per esempio il morbo di Parkinson producendo cellule cerebrali. «Siamo molto entusiasti di questo passo avanti –ci spiega Josephine Quintavalle di CORE (Comment on Reproductive Ethics) –. Finalmente vince il buonsenso. Questo lavoro potrebbe mettere fine anche a un’altra follia: la proposta di creare embrioni ibridi, composti da cellule in parte umane e in parti animali».
© Copyright Avvenire, 18 novembre 2007
LONDRA
IL «DAILY TELEGRAPH»: DECISIONE «RIVOLUZIONARIA»
L’annuncio di Ian Wilmut ha innescato ieri un acceso dibattito sul sito del quotidiano britannico «The Daily Telegraph», dove si sono alternate anche voci autorevoli nel panorama scientifico e bioetico: tutti concordi nel sottolineare la portata rivoluzionaria del gesto di Wilmut nel riconoscere la sterilità – prima ancora che la difficoltà sul piano etico – del perseguire la ricerca sulla clonazione e sugli embrioni. Nella stessa direzione si è mosso anche l’editoriale con cui il quotidiano ha commentato la scelta di Wilmut, una svolta favorevole perché capace di «arginare la marea» di un progresso scientifico ormai incontrollabile.
© Copyright Avvenire, 18 novembre 2007
Il genetista Dallapiccola: è una conferma che sono altre le strade da percorrere
DA MILANO ENRICO NEGROTTI
« Sono notizie che non fanno altro che confermare quello che andavo dicendo già all’epoca del referendum: prima che le staminali embrionali diano qualche risultato, si troveranno modi per utilizzare le staminali dell’adulto». Il genetista Bruno Dallapiccola, docente all’Università «La Sapienza » di Roma e direttore scientifico dell’Istituto «Mendel » di Roma, puntualizza: «È la presa d’atto che gli scienziati non sono in grado di governare le cellule staminali embrionali ».
La scelta di Wilmut di non puntare più sulla clonazione degli embrioni umani può rappresentare una svolta?
È una notizia che fa piacere perché viene da un’autorità nel campo delle ricerche sulla clonazione. Ma non mi illuderei che nessuno cerchi più di manipolare embrioni: del resto solo pochi giorni fa si è parlato della clonazione dello scimpanzé, un animale molto simile all’uomo. E qualcuno si è spinto a ritenere più vicina proprio la clonazione umana. Certamente ora Wilmut sembra prendere atto che i continui insuccessi mostrano che prima di ipotizzare effetti terapeutici di cellule embrionali occorre fare molte verifiche.
Le motivazioni di Wilmut sono principalmente pratiche, ma non viene trascurata la difficoltà a far accettare socialmente la clonazione. Cosa ne pensa?
Wilmut ci ha abituato ai suoi cambiamenti di opinione. Poco dopo la nascita di Dolly, sostenne che si trattava di un metodo che sarebbe stato inumano utilizzare nell’uomo. Poi anni dopo ha chiesto la licenza per effettuare esperimenti sugli embrioni umani. Ora, resosi conto che scientificamente c’è una strada migliore, richiama il fatto che c’è anche un’opposizione etico-sociale: ne prendiamo atto.
Dal punto di vista scientifico, sono promettenti le strade che seguirà ora Wilmut sulla scia del giapponese Yamanaka?
Sono strade che da tempo molti studiosi suggeriscono (e che anch’io segnalavo all’epoca del referendum): ci sono fattori di trascrizione che possono far ringiovanire le cellule staminali adulte rendendole simili a quelle embrionali. Comunque credo che si debba pretendere sempre molta cautela e prudenza, anche per rispetto dei malati, quando lanciano messaggi di speranza per la cura di nuove malattie.
© Copyright Avvenire, 18 novembre 2007
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