19 dicembre 2007
Il papa e il re saudita: così il dialogo (Padre Samir per “Mondo e Missione”)
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Il papa e il re saudita: così il dialogo
di Samir Khalil Samir
Il Regno d’Arabia Saudita non ha relazioni diplomatiche con la Santa Sede. La visita del Re Abdullah in Vaticano, il 6 novembre scorso, la prima di questo genere, è perciò un evento storico. L’Arabia rappresenta oggi l’autorità più riconosciuta nel mondo islamico sunnita, sia per motivi storici (lì è nato e si è sviluppato l’islam), sia per motivi socio-economici: il Paese aiuta finanziariamente quasi tutti i popoli musulmani. E l’aumento recente del prezzo del petrolio contribuirà ad allargare il suo potere.
L’incontro è durato mezz’ora. Il comunicato vaticano che ne dà conto è breve e denso: «I colloqui si sono svolti in un clima di cordialità e hanno permesso di toccare temi che stanno a cuore agli interlocutori. In particolare, si sono ribaditi l’impegno in favore del dialogo interculturale e interreligioso, finalizzato alla pacifica e fruttuosa convivenza tra uomini e popoli, e il valore della collaborazione tra cristiani, musulmani ed ebrei per la promozione della pace, della giustizia e dei valori spirituali e morali, specialmente a sostegno della famiglia».
Quattro punti meritano riflessione.
Il primo: come in tutti gli incontri con musulmani, il dialogo è sempre interculturale e interreligioso. È impossibile separare religione e cultura, com’è impossibile separare religione, politica e società. È questo uno dei motivi che ha spinto Benedetto XVI a mettere insieme i due Pontifici consigli (del dialogo e della cultura), anche se alla fine si è tornati a due dicasteri. Ciò che in Occidente e nel mondo cristiano entra nella categoria della cultura - come il vestito, il cibo, la lingua, la purezza fisica, le usanze... - fa parte, per molti musulmani, dell’essenza della religione: il velo per le donne, il cibo halal, l’arabo per la salât, le purificazioni...
In secondo luogo, la «convivenza pacifica e fruttuosa» allude al fenomeno recente ma persistente della violenza, in particolare in nome della religione, della cultura o della politica. L’agenzia ufficiale saudita ha scritto: «Le due parti hanno sottolineato che violenza e terrorismo non hanno nulla a che fare con la religione».
Sicuramente, l’Arabia è del tutto contraria al terrorismo, come la maggioranza dei governi islamici. Non sorprende dunque che il quotidiano saudita Arab News abbia scritto: «Il re e il Papa hanno sottolineato che violenza e terrorismo non hanno né religione, né patria... Tutti i Paesi e tutti i popoli devono lavorare insieme per sradicare il terrorismo» (cfr AsiaNews del 7 novembre). Tuttavia il problema rimane ed è duplice: da una parte, i Paesi musulmani giustificano la violenza quando c’è un rischio per la religione; dall’altra, non collegano il radicalismo religioso (e la dottrina wahhabita dell’Arabia Saudita lo è) alla violenza o addirittura al terrorismo.
In terzo luogo, la collaborazione tra cristiani, musulmani ed ebrei. Quest’ultima menzione è importantissima; il realismo del re Abdullah lo porta a questa posizione e dobbiamo essergli riconoscenti. Alcuni giornali arabi hanno omesso di citare gli ebrei, ed è significativo! Il Vaticano, da parte sua, ha alluso al problema della libertà religiosa… tema che da solo necessiterebbe in questa rubrica un approfondimento.
Infine, i due hanno concordato che lo scopo è «la promozione della pace, della giustizia e dei valori spirituali e morali, specialmente a sostegno della famiglia». Tre elementi: pace, giustizia, etica. I primi due sono chiari: «Non c’è pace senza giustizia», diceva Giovanni Paolo II; per il mondo arabo, questo principio è la base dei dibattiti sulla Palestina, dove l’ingiustizia è flagrante. Ma il più interessante è il terzo elemento: promuovere i «valori spirituali e morali». La critica generale dei musulmani all’Occidente (che per loro è cristiano!) è la perdita dei «valori spirituali e morali, specialmente a sostegno della famiglia». La diffusione dell’aborto, del divorzio, della libertà sessuale (sia prematrimoniale che nel matrimonio), dell’omosessualità, delle coppie di fatto, ecc. è vista come la prova della decadenza della civiltà occidentale, nonostante i risultati raggiunti con lo sviluppo scientifico. Una delle cause fondamentali della lotta islamica all’Occidente - visto come il grande Satana - è questa libertà dei costumi. Forse la loro analisi merita riflessione.
* Gesuita e islamologo
© Copyright Mondo e Missione n.10/2007
Il commento di Sandro Magister e' consultabile qui.
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