13 dicembre 2007
Italiano addio...avanti il latino :-)
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ITALIANO in estinzione La pubblicità speak english
di Tony Damascelli
Tra l’Alighieri e Shakespeare chi hanno scelto, secondo voi, i famosi creativi della pubblicità nostrana? Elementare: William. Nonostante gli sforzi di Roberto Benigni per celebrare Dante, nonostante le cantiche in numero di tre, il popolo dei telespettatori è assediato, aggredito, dalla lingua made in England, là dove la rivoluzione industriale ha avuto inizio ecco che gli industriali rivoluzionari (!) distribuiscono il loro vocabolario commerciale, immediato, conciso, superficiale.
Life is now è lo slogan che accomuna italiani del nord e del sud, partendo dal centro, alla voce Roma-Totti, testimone improbabile di una campagna che usa il romano-romanesco «aòòòò» per globalizzarlo con la frasetta inglese che fa tendenza e cassetta. Detta in italiano, la vita è adesso, avrebbe comportato il versamento dei diritti di autore al Baglioni Claudio e alla sua canzone meravigliosa.
Qualcosa di analogo, nel senso del dialetto rivisto ma non corretto, si era intravisto e sentito con «du gusti is megl che uan», faceva tornare alla mente l’italofrancese di Totò e Peppino in piazza del Duomo a Milano, «nu vulevòn savuàr», che venne anche utilizzato per la pubblicità di un allegato del Corriere della Sera.
I creativi non pescano dal nulla ma utilizzano modalità e frasi di uso antico e comune, riproponendoli come avanguardia. Vado a memoria: in principio c’era la bionda francese «oui je suis Catherine Deneuve», come Luigi XV dopo di lei il diluvio. Femmine di ogni tipo che si facevano immaginare, sfiorare, toccare, tutto e dappertutto ma poi, improvvisamente e maledettamente, «don’t touch» l’orologio che di colpo diventava lo strano oggetto del desiderio rispetto a tanta roba bella. George Clooney vive sul ramo del lago ma naviga al massimo tra No Martini No party e What else, con la stessa, identica, eterna espressione di quello che arriva a Roma e non può vedere il Papa. Divo americano + prodotto italiano, totale perfetto.
Se si tratta di profumi non si scappa, J’adore Dior è frase ambigua, blasfema ma lo slogan diventa robetta dinanzi alla maestosa Charlize Theron che riappare magica con l’orologio Breil «touch feel » ma si era fatta riconoscere anche camminando di spalle a Capri, mentre il suo abito, infilzato da una sedia, offriva uno spogliarello censurato, sul più bello, dalla scritta Martini e da un misterioso Mientras en Capri che stimolava l’insulto e la voglia di trasferirsi a Ischia.
Shock your time, telegramma per chi volesse avvicinarsi agli orologi Chronotec, nel sottofondo, per scuotere il tempo e altro, c’è la musica grunge punk dei Foofighters. Eva Green, nerissima nel costume e nel capello, fa cose da pazzi come Cenerentola a mezzanotte, dondola sull’altalena mentre le lancette del grande orologio, tipo Big Ben, si avvicinano all’ora fatidica, il suo profumo appunto è una pozione di mezzanotte che, però, è tradotto per il mercato; la solita voce da maniaco francese segnala «pour Christian Dior», i fratelli Grimm e Perrault si rivoltano nella tomba.
Anche Gucci si butta su un New Fragrance, la Nuova Fragranza odorerebbe forse di detersivo, severamente proibito l’uso della lingua italiana. Anche i padanosiculi Dolce & Gabbana fanno farfugliare in inglese la loro pubblicità mentre ragazzi e ragazze si baciano, si esibiscono, Calvin Klein impone la bionda Scarlett Johansson che bacia, fa all’amore sotto la pioggia e, non bastando, socchiude le sue labbra con un finale mozzafiato «Eternity moment»; un Momento eterno avrebbe fatto venire in mente orazioni funebri.
Fotografare con Nikon is different, ascoltare Radio Rtl è da very normal people, la casalinga di Voghera per intenderci, le automobili sono occasione ideale per trasmettere il messaggio acchiappante in italiano con finalone inglese, Enjoy touring (Bmw), VYp (Very Ypsilon People), Volvo for Life, Do you speak Micra?, va da sé che per essere originali ci si veste come tutti o quasi, indossando i jeans cioè, con i Levi’s per essere, alla fine, «Be original».
Settore tecnologie: meglio non addentrarci fra telefoni, macchine fotografiche, cineprese, gli acronimi e le sigle sono mille, pixel, zoom, blue tooth, file, Mp3, iPod, per le spiegazioni occorrono dizionari scientifici, specifici.
Nel campo sportivo nulla è impossibile, specie per i fuoriclasse con la palla o la pallina, calcio, golf, tennis, basket, ma, trattandosi di disciplina mondiale, meglio «Impossible is nothing».
L’italiano si difende come può, le frasi gergali, nella maggior parte in romanesco (Bonolis-Laurenti-De Sica), trovano l’espressione massima con Gigi Proietti, il suo «a me mi piace» è la risposta all’invasione anglofrancese. In grave ritardo ho forse capito perché quell’uomo biondastro, con la camicia jeans aperta sul petto, non doveva chiedere mai. Non conoscendo l’inglese non lo avrebbe capito nessuno.
© Copyright Il Giornale, 13 dicembre 2007
Al bando anche a Strasburgo: la Ue preferisce usare il latino
di Alessandro Caprettini
Nell’Europa a 27 che ha ormai confinato in un angolo l’italiano, spunta a sorpresa una lingua che si riteneva morta e sepolta: il latino. I badge di parlamentari, funzionari e assistenti messi a disposizione per il 2008 hanno infatti stampigliato su - in bella evidenza - «Parlamentum Europeum». Frutto della moral suasion del vice-presidente Mario Mauro (Forza Italia) e di alcuni alleati trovati lungo la strada, convinti che si dovesse fare uno sforzo per evitare che sui tesserini fossero usate le diverse lingue nazionali ma che fosse anche da scartare l’abilitazione delle sole tre (inglese, francese, tedesco) riconosciute come «lingue di lavoro».
Il caso ha voluto poi che un paio di giorni fa, quando i primi badge per l’anno prossimo sono stati distribuiti, fosse presente nel Colosseo di Strasburgo anche una delegazione italo-spagnola di una società che ha creato un nuovo videogioco (Imperium) in cui non solo ci si diverte, ma si fanno anche i conti con la storia ai tempi di Marco Aurelio. Tra coloro che sono approdati sulle rive del Reno per l’occasione, anche due figuranti: un console e un centurione, fotografati in lungo e in largo dalle comitive di turisti che facevano visita all’Europarlamento.
Non è la prima volta che il latino riappare sulla scena Ue. Già a luglio del 2006 la presidenza semestrale finlandese aveva messo sul web traduzioni del proprio programma tra cui una nella lingua di Cicerone, forse perché ad Helsinki ha la sede un radiovideogiornale che trasmette esclusivamente in latino e da 20 anni trova spazio anche nella tv pubblica. Antonio Tajani si complimentò per l’iniziativa («Latine loquimur...» esordì nel suo intervento in aula il capogruppo azzurro), ma sembrava cosa destinata a durare lo spazio di un mattino.
E invece - stando agli esperti per via del semaforo verde acceso da Benedetto XVI al ritorno della messa in latino, come dettato dal Concilio di Trento - ecco che una lingua che si considerava ormai sepolta pare riprender vita, come testimoniato da decine e decine di iniziative.
Peccato che intanto ad avviarsi verso la sepoltura sia l’italiano. Già relegato in seconda fila con l’arrivo dei 15 Paesi ex-est europei nel 2004, la nostra lingua ha perso pian piano posizioni su posizioni nei palazzi europei. Da inizio anno le conferenze stampa della commissione si svolgono ormai solo nelle tre «lingue di lavoro»; da tempo a Bruxelles sono insorti problemi fra istituzioni e comunità italiana per la decisione di spostare i corsi di studio nella nostra lingua in periferia e destinare le scuole europee del centro città solo al trilinguismo ufficiale. Ed è sempre di qualche mese fa la decisione - assunta per cercare di abbattere i costi crescenti delle traduzioni - di limitare ancora ed esclusivamente alle tre «lingue di lavoro» tutti i bandi di concorso Ue.
Bisogna insomma sapere l’inglese, il tedesco o almeno il francese per poter rispondere e partecipare, sia a una eventuale assunzione che a un concorso. L’Avvocatura di Stato ha presentato qualche mese fa un ricorso alla Corte di Lussemburgo, ma si attende l’esito con malcelato pessimismo. La politica, Prodi in testa, non ha fatto invece fin qui una piega. Forse perché proprio l’attuale premier ha portato la Ue a 27. O forse perché hanno ignorato a lungo le disposizioni di Schröder prima e della Merkel poi, come di Chirac prima e di Sarkozy adesso, rivolte ai propri parlamentari e ai propri funzionari perché evitassero nel modo più assoluto di parlare nei luoghi di lavoro comunitari altra lingua che non fossero rispettivamente tedesco e francese.
© Copyright Il Giornale, 13 dicembre 2007
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