4 dicembre 2007
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Con non poche sviste
Chi difende la modernità
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DI PAOLO VIANA
Prima la definisce «terrorismo anticlericale», con la verve che gli è abituale, ma poi la derubrica a «giochetto», perché per lo storico Franco Cardini l’accusa di Eugenio Scalfari al Papa , quella di rifiutare la modernità in nome di una speranza «tautologica», perché fondata sulla fede, «è il solito giochetto che l’intellighenzia laicista mette in pratica ogniqualvolta che un pontefice si discosta dai sacri principi della modernità. Ricordiamo cosa fece con Giovanni Paolo II, che era un papa 'reazionario' prima di alzare la voce con gli Usa e diventare, solo allora e solo per quello, un eroe».
Cardini non è l’unico intellettuale cattolico a giudicare severamente l'editoriale con cui il fondatore di Repubblica, domenica mattina, ha liquidato l’enciclica Spe Salvi come un «rifiuto della modernità». Al centro dell’affondo, l’accusa al pontefice, tonante quanto generica, di «aver voltato le spalle al Concilio Vaticano II» con il rischio di «tornare alla Chiesa pacelliana e anche più indietro». Un’analisi nient’affatto unanime nella cultura laica, come dimostra l’opinione di Salvatore Natoli, che su Avvenire, sempre domenica, commentando il testo papale alla luce del pensiero cristiano, ha individuato elementi di comunanza tra credenti e non credenti proprio sul terreno della speranza.
Anche per questo, l’impressione che l’analisi scalfariana sia sopra le righe è forte e diffusa.
C’è chi - come Paola Ricci Sindoni, docente di filosofia morale all’Università di Messina parla addirittura di «analfabetismo religioso», e avverte che «la speranza di cui parla il Papa è incomprensibile per chi prescinde dalla comprensione di un universo retto dal mistero di Cristo, per chi si rifiuta di entrare in quell’universo linguistico e simbolico che sottopone a critica».
Secondo la studiosa, «Scalfari parla di ontologia e non capisce che l’orizzonte di comprensione è legato a un evento fondatore, il Cristo, che guarda alla storia attraverso la sua Chiesa». Questo 'evento fondatore', dal punto di vista cristiano, scardina la filosofia della storia illuministica alla luce di un’impostazione deduttiva che smonta l’accusa scalfariana, secondo cui l’enciclica sarebbe costruita intorno alla tautologia «speranza- fede-certezza». «Dall’evento fondatore deduco la storia della salvezza e leggo la realtà alla luce della fede - spiega la Ricci Sindoni - e Scalfari può non condividere questa 'logica' ma non può prescinderne se vuole criticarla. Il problema dell’ex direttore è che quando mi muovo all’interno della fede cristiana - ma sarebbe lo stesso se parlassimo dell’Islam - non posso applicare il linguaggio logico matematico, perché in quest’universo di comprensione la logica è simbolica e non per questo meno seria».
Se la critica di Scalfari alla teologia ratzingeriana per la Ricci Sindoni è infondata sotto il profilo ermeneutico, la sua appassionata difesa dell’illuminismo arriva in ritardo di qualche secolo: «l’Adorno, che era ebreo e non cristiano, ha messo in evidenza le repliche della storia alla perversione illuminista: la ragione non trova in se stessa una legge che neutralizzi quanto vi è di disumano nell’uomo, perché questa legge va cercata nella fede e questo Papa è uno dei massimi fautori di un rinnovato rapporto tra fede e ragione. Ma purtroppo, Scalfari ragiona come un illuminista del ’700...».
Un veteroilluminista ma fors’anche un intellettuale deluso, umanamente deluso, incalza Vittorio Possenti, ordinario di filosofia politica all’Università di Venezia. Il punto dolente, in questo caso, riguarda la relazione tra la speranza e le cose ultime, ovvero i novissimi - morte, inferno, giudizio e paradiso - che sono indubbiamente uno snodo decisivo per comprendere il testo di Benedetto XVI. Domenica, l’ex direttore di Repubblica ha definito «suggestivo» il «percorso» delle anime alla vita eterna, regolato dal duplice principio della giustizia e della misericordia di Dio, prospettando però il rischio di «travalicare nell’ideologia e da questa alla favola per bambini».
Per Possenti, nel giornalista «il quale, significativamente, fa riferimento a una salvezza che 'l’anima amorosa di tutti ardentemente spera', si legge un’inquietudine circa il destino eterno di tutti, cui hanno dato un’efficace risposta Von Balthasar e Maritain. A proposito di quest’ultimo consiglierei a Scalfari di leggere Le cose del cielo (editore Massimo di Milano), perché forse vi troverebbe un lenimento alla sua delusione, nell’ambito di un’ipotesi teologica straordinaria, peraltro poco nota, che spiega come la giustizia di Dio non venga meno con la sua misericordia, cosa di cui lui mi pare che proprio non riesca a capacitarsi».
Possenti ammette che l’enciclica presenta «accenti critici dedicati a Marx e al marxismo molto più cauti e - sono parole di Scalfari - più riguardosi di quelli riservati all’Illuminismo» ma precisa: «il Papa mantiene intatta la critica all’ateismo e all’antropologia marxista. Questo diverso 'atteggiamento' è semplicemente il riflesso del fatto che il marxismo, diversamente dall’illuminismo, ha individuato e denunciato un problema, quello della povertà sfruttata, che è ancora attuale».
Lo stesso Possenti, d’altronde, contesta nel merito le deduzioni scalfariane circa la 'chiusura' della Chiesa ratzingeriana («il fatto che l’enciclica sia indirizzata a vescovi, presbiteri, diaconi e fedeli non è una stranezza, Scalfari controlli pure: tutte le encicliche hanno un destinatario...») e boccia come «non condivisibili» e «non dimostrate » le accuse di aver voltato le spalle al Concilio Vaticano II, che definisce «pregiudiziali» nell’editoriale di Repubblica.
Lo studioso ricorda il contributo dato da Ratzinger al Concilio: «Già da cardinale e anche più recentemente, parlando al sacro collegio, Benedetto XVI ha dimostrato di muoversi in assoluta continuità con il Vaticano II. La sua ermeneutica è chiarissima: per il Papa il Concilio fu un rinnovamento nella continuità e non una sorta di rivoluzione ».
Su questo concetto torna Cardini, replicando così a Scalfari: «Il ventre che partorisce il pregiudizio anticlericale è sempre gravido, malauguratamente. Di fronte al richiamo all’eternità del messaggio evangelico e alla forza della tradizione o al ruolo della gerarchia, il mondo laicista reagisce, come al solito, chiamando in causa una lettura del Concilio che, oltre ad essere parziale e forzata, è ormai una sorta di appello mitico.
Secondo i laicisti, il Vaticano II avrebbe 'svecchiato' la Chiesa facendola inginocchiare di fronte al mondo. Il Concilio non è mai stato questo. Analogamente, se per modernità si intende la relativizzazione di Dio, la Chiesa non l’ha mai accettata e simili interpretazioni si basano su pregiudizi e scarsa conoscenza della Chiesa e del Concilio».
© Copyright Avvenire, 4 dicembre 2007
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2 commenti:
come direbbe Luisa: "Chapeau".
Tanto per citarne una.
Se ho ben capito la Ricci Sindoni afferma che Scalfari non può criticare la Spe salvi perchè privo di fede («Dall’evento fondatore deduco la storia della salvezza e leggo la realtà alla luce della fede e Scalfari può non condividere questa 'logica' ma non può prescinderne se vuole criticarla».
Secondo questa logica il Papa non può criticare l'ateismo perchè credente.
Inoltre sempre la R.S. sentenzia che "quando mi muovo all’interno della fede cristiana (...) non posso applicare il linguaggio logico matematico (...)".
Un'affermazione un pò perentoria; magari potrebbe provare a leggere l'ultima opera di D.Dennet "Rompere l'incantesimo - la religione come fenomeno naturale".
Saluti
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