16 gennaio 2008

Il Rabbino capo di Roma, Di Segni: "Aspettiamo il Papa in sinagoga"


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Di Segni: adesso lo aspettiamo in sinagoga

Paolo Conti

ROMA — «Se con la protesta all'università si voleva impedire al Papa di parlare in quanto esponente religioso, il fatto sarebbe gravissimo e inaccettabile», dice il professor Riccardo Di Segni ( foto), rabbino capo della comunità ebraica di Roma.

Lei, rabbino, era favorevole o contrario alla visita papale?

«È giusto che un Papa vada all'università. Personalmente ho la massima stima per la dottrina di questo pontefice: lo ascolto sempre con interesse e attenzione anche se non necessariamente con condivisione. Quindi nessuno scandalo. Negli anni scorsi la presenza del Papa all'università c'è stata: anche se trovo più congeniale che parli dalla cattedra di Pietro che non da quella della "Sapienza". Ecco, un problema nascerebbe se diventasse un appuntamento abituale, fisso, istituzionale».

Ernesto Galli della Loggia ricorda gli studiosi ebrei o israeliani che non hanno potuto parlare in alcune università italiane perché considerati vicini a posizioni sioniste.

«Tutto vero. Abbiamo protestato, e anche molto vivacemente. C'è in quell'atteggiamento, che disgraziatamente di tanto in tanto si ripete, un pericoloso aspetto razzista».

Ma lei inviterebbe Benedetto XVI in Sinagoga?

«Veramente lo abbiamo invitato a più riprese, e in tempi anche recenti. Aspettiamo solo una risposta. Se accetterà, sarà il benvenuto. Certo non sarebbe una compensazione per la mancata visita alla "Sapienza" perché si tratterebbe di un confronto tra due realtà religiose su una storia antica e drammatica. Ma con una battuta potrei dire che fino all'inizio del Novecento la Comunità ebraica si chiamava Università israelitica... E qui ricordo che il 23 ospiteremo per la prima volta il presidente e l'imam della Grande Moschea di Roma » Quale significato avrebbe una visita di

Benedetto XVI nel Tempio maggiore?

«Lo darà lui quando deciderà di farla. Per quanto ci riguarda sarebbe il segno della prosecuzione di un impegno. Quando chiedemmo a Giovanni Paolo II, già anziano e malato, di tornare in Sinagoga, ci risposero che la visita del 13 aprile 1986 era un evento simbolicamente irripetibile. Una posizione spiegabile, per quanto riguarda il Papa defunto. Ma questo pontefice agisce in modo mediaticamente e stilisticamente assai diverso dal suo predecessore.
E non bisogna dimenticare la sua prima visita a una Sinagoga nella sua Germania».

Cosa pensa delle obiezioni di molti docenti alla visita del Pontefice all'università nel nome del laicismo?

«Credo fermamente che non debbano esserci mai barriere invalicabili alla comunicazione e all'insegnamento. Essere laici non significa tapparsi le orecchie quando parla qualcuno che abbia un'ispirazione religiosa».

Lei registra la crescita di una reazione anti-religiosa, parlando in generale, nella società italiana?

«Si è risvegliata una certa voce laica che per molto tempo è rimasta convenzionalmente in letargo. Ma una società pluralistica deve tenere presenti tutte le componenti, inclusa quella religiosa. Naturalmente nel rispetto reciproco ».

© Copyright Corriere della sera, 16 gennaio 2008

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