13 aprile 2008
Perché quella del Papa negli Usa non è solo una visita pastorale (Stefano Fontana)
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Perché quella del Papa negli Usa non è solo una visita pastorale
di Stefano Fontana
Benedetto XVI sarà negli Stati Uniti dal 15 al 21 aprile. Il suo imminente viaggio fa già molto discutere gli americani e sembra che la curiosità, l’interesse e l’attesa siano alti.
Washington Post e New York Times hanno già detto la loro, sostenendo che tra il papa della “verità del cristianesimo” e il pluralismo americano c’è una sostanziale incomprensione, che il viaggio non scalfirà. Il punto di vista liberal rimane piuttosto fermo ai suoi canoni tradizionali.
Una novità è piuttosto venuta dalla rivista “Time”, che dedica la copertina del fascicolo ora in distribuzione a Benedetto XVI e alla sua prossima visita negli Usa.
In un editoriale di David Van Biema e Jeff Israely si sostiene una grande affinità tra il papa e gli Stati Uniti. Si ricordano i suoi numerosi viaggi da Cardinale, il fatto che abbia nominato suo successore alla Congregazione per la Dottrina della Fede il Cardinale Levada, arcivescovo di Los Angeles, ma soprattutto si sottolinea lo stretto legame tra la teologia ratzingeriana del ruolo pubblico della religione e la storia dell’America fin dai padri fondatori.
Già Tocqueville, infatti, aveva mostrato come alle origini degli Stati Uniti ci fosse la religiosità dei Pilgrim Fathers più che non l’illuminismo irreligioso alla francese. In questo senso si può sostenere che l’America sia più vicina a Benedetto XVI che non l’Europa, ove persiste ancora un laicismo ideologico che bandisce Dio dalla sfera pubblica, mentre il papa ripetutamente rivendica il “diritto di cittadinanza” di Dio nel mondo.
Sono proprio questi scenari a rendere molto interessante questo viaggio del papa negli Usa, che secondo John L. Allen, editorialista del Catholic National Reporter, avrà tre interlocutori: il governo americano, l’Onu e la Chiesa statunitense.
Il programma infatti prevede che il giorno 16 aprile il papa incontri George Bush nella sala ovale della Casa Bianca; che il 17 incontri i rappresentanti delle altre religioni e il 18 quelli delle Chiese e confessioni cristiane. Sempre il 18 parlerà all’Assemblea generale dell’ONU e il 20 pregherà a Ground Zero. Oltre a ciò ci sono gli appuntamenti con le varie realtà del cattolicesimo statunitense, tra cui due messe in due stadi (Washington e New York).
Il nunzio apostolico negli Usa, l’italiano Pietro Sambi, ha ovviamente ribadito che il papa va negli Stati Uniti per confermare nella fede, nella speranza e nella carità la Chiesa americana. In altre parole ha voluto tenere alla larga la politica dalla visita papale. I vescovi americani in un sito chiamato www.uspapalvisity.org interamente dedicato a fornire materiale sulla visita, specificano con grande insistenza che il viaggio non intende influire sulla campagna elettorale in atto e che “la Chiesa non fa politica”.
E’ vero, non fa politica bassa, ma fa politica alta. Sarebbe sciocco imbrigliare le parole di Benedetto XVI dentro la contingenza elettorale, però egli affiderà certamente agli Stati Uniti una nuova missione universale: la diffusione della vera libertà, ossia della libertà nella verità.
Una missione molto americana, oltre che molto “cattolica”. Una medesima missione verrà presumibilmente affidata alla Chiesa americana che, non dimentichiamolo, ha un numero di cardinali secondo solo al gruppo italiano ed ha risorse economiche tali da sostenere progetti di ambio respiro nel campo dell’evangelizzazione e della difesa della vita e della famiglia.
Facendo politica alta, il papa non potrà non toccare questi ultimi temi, con evidenti ricadute anche nella campagna elettorale. Non per volontà del papa, ma per la coerenza implicita nei suoi discorsi.
Non è per sua volontà che tra i candidati democratici Clinton ed Obama e il candidato repubblicano McCain la differenza maggiore consiste proprio nelle posizioni sull’aborto, sulla famiglia e sulla bioetica. Il papa sa bene che su questi temi c’è un’emergenza mondiale, che l’America latina sta subendo una fortissima pressione dalle lobbies internazionali anti-life e che gli Stati Uniti hanno tutte le carte in regola per guidare una involuzione di tendenza, che sarebbe impedita da una vittoria democratica. Se le parole del papa saranno anche un giudizio sulla politica americana sarà per colpa della politica americana, non per le sue parole.
Anche il discorso che il papa terrà all’Assemblea generale dell’Onu, dopo quello formidabile di Giovanni Paolo II del 5 ottobre 1995, desta una grande attesa. Ripetutamente questo pontefice ha richiamato l’Onu alla fedeltà ai suoi motivi ispiratori originari e a non cedere ad una interpretazione convenzionale e relativistica dei diritti dell’uomo. Questo purtroppo avviene spesso, con grave perdita di credibilità delle Nazioni Unite, specialmente nei confronti dei paesi più deboli.
E’ quindi vero, come sostiene il Nunzio negli Stati Uniti, che la visita del papa è di carattere pastorale, ma è inevitabile che le sue parole interpellino anche la politica. La politica alta.
© Copyright L'Occidentale, 9 aprile 2008
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