25 agosto 2008

Crisi internazionale. La coscienza comune: la denuncia e il monito di Benedetto XVI (Zavattaro)


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CRISI INTERNAZIONALE - La coscienza comune

La denuncia e il monito di Benedetto XVI

Fabio Zavattaro

È la situazione internazionale, ancora una volta, a entrare di peso nell’Angelus domenicale di Papa Benedetto.
Abbiamo assistito alla tragedia che si è consumata in Georgia, nell’Ossezia meridionale – proprio negli Angelus dal 10 e del 17 agosto Benedetto XVI aveva pronunciato il suo appello per la fine del conflitto e per l’apertura di corridoi umanitari per dare sollievo ai profughi e alla popolazione civile – e che ha portato come ulteriore conseguenza l’annunciata fine di quella collaborazione tra la Nato e la Russia, tassello concreto di una pace duratura nel vecchio continente.
In questa penultima domenica di agosto il Papa torna dunque a parlare del contesto internazionale; il suo appello è invito a percorrere le strade della pace e del dialogo. Parole che fanno quasi sintesi della complessità registrata in quella area geografica un tempo Unione Sovietica, ma anche non dimenticano le altre realtà – l’Africa delle guerre dimenticate, l’Asia dei conflitti etnico-religiosi, dei diritti umani negati – gli altri scenari dove un crescendo di tensioni non può che portare a “viva preoccupazione”. Dice, dunque il Papa: “Dobbiamo constatare, con amarezza, il rischio di un progressivo deterioramento di quel clima di fiducia e di collaborazione tra le Nazioni che dovrebbe invece caratterizzarne i rapporti. Come non misurare, nelle presenti circostanze, tutta la fatica dell’umanità a formare quella coscienza comune di essere famiglia delle Nazioni che il Papa Giovanni Paolo II aveva additato quale ideale all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite?”.
Concetti che Benedetto XVI aveva voluto riproporre con forza nel suo discorso pronunciato davanti ai rappresentanti delle Nazioni nel Palazzo di Vetro dell’Onu a New York, in occasione del suo viaggio americano. E come non ricordare quanto aveva affermato il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, quando, conversando con i giornalisti alla vigilia del discorso di Benedetto XVI alle Nazioni Unite, aveva detto: l’Onu sta affrontando “sfide difficili e di tutti i tipi e per risolverle ha bisogno dell’appoggio forte e spirituale del Papa”.
Così all’Angelus domenicale torna sul concetto della famiglia delle Nazioni, il Papa, per dire: “Occorre approfondire la consapevolezza di essere accomunati da uno stesso destino, che in ultima istanza è un destino trascendente, per scongiurare il ritorno a contrapposizioni nazionalistiche che tanto tragiche conseguenze hanno prodotto in altre stagioni storiche. I recenti eventi hanno indebolito in molti la fiducia che simili esperienze restassero definitivamente consegnate al passato”.
Non fa nomi, ma come non pensare proprio alla crisi nelle Repubbliche un tempo sovietiche, e ai conflitti in Iraq, in Afghanistan, dove si continuano a registrare attentati, morti e feriti. Non bisogna cedere al pessimismo, dice Benedetto XVI: “Occorre piuttosto impegnarsi attivamente affinché venga respinta la tentazione di affrontare nuove situazioni con vecchi sistemi. La violenza va ripudiata! La forza morale del diritto, trattative eque e trasparenti per dirimere le controversie, a partire da quelle legate al rapporto tra integrità territoriale e autodeterminazione dei popoli, fedeltà alla parola data, ricerca del bene comune: ecco alcune delle principali strade da percorrere, con tenacia e creatività, per costruire relazioni feconde e sincere e per assicurare alle presenti e alle future generazioni tempi di concordia e di progresso morale e civile”.
Ci accingiamo a ricordare l’elezione di Albino Luciani a Papa con il nome di Giovanni Paolo I. Un Papa eletto il 26 agosto di trenta anni fa e il cui Pontificato è durato solo trentatre giorni, il tempo di un sorriso, come titolò il quotidiano parigino “Le monde”. Proprio guardando al conflitto mediorientale e a quella stretta di mano che a Camp David vide insieme i presidenti Carter e Sadat e il premier israeliano Begin, Papa Luciani disse: “Di pace hanno fame e sete tutti gli uomini, specialmente i poveri che nei turbamenti e nelle guerre pagano di più e soffrono di più”. E poi ecco l’invito ad avere speranza nel Signore, con le parole dei fedeli nell’Islam, che ricordano: “C’è una notte nera, una pietra nera e sulla pietra un piccola formica; ma Dio la vede, non la dimentica”.
È questo l’ottimismo del credente. Che fa dire a Benedetto XVI: trasformiamo i pensieri e gli auspici “in preghiera, affinché tutti i membri della comunità internazionale e quanti, in particolare, sono rivestiti di maggiore responsabilità, vogliano operare con generosità per ripristinare le superiori ragioni della pace e della giustizia. Maria, Regina della pace, interceda per noi”.
Angelus che aveva come tema principale quella domanda di Cristo agli apostoli: “Voi chi dite che io sia?”. La risposta di Pietro – “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” – fa dire a Gesù: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli”.
Commenta Papa Benedetto: “È la prima volta che Gesù parla della Chiesa, la cui missione è l’attuazione del disegno grandioso di Dio di riunire in Cristo l’umanità intera in un’unica famiglia. La missione di Pietro, e dei suoi successori, è proprio quella di servire quest’unità dell’unica Chiesa di Dio formata da giudei e pagani; il suo ministero indispensabile è far sì che essa non si identifichi mai con una sola nazione, con una sola cultura, ma che sia la Chiesa di tutti i popoli, per rendere presente fra gli uomini, segnati da innumerevoli divisioni e contrasti, la pace di Dio e la forza rinnovatrice del suo amore”.
Servire dunque l’unità interiore che proviene dalla pace di Dio. E come può allora non chiedere, il Papa, alle nazioni e ai popoli di mettere da parte le loro divisioni per costruire un futuro che sia di dialogo, di collaborazione, di pace?

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