27 agosto 2008

Cina, stretta dopo i Giochi. Fatto sparire un vescovo (Capuzzi)


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LIBERTÀ NEGATE

Repressione

Il giorno della chiusura delle Olimpiadi, un gruppo di poliziotti ha fatto irruzione nella cattedrale di Wuqiu, nella regione di Hebei, e ha trascinato via monsignor Giulio Jia Zhiguo, della Chiesa sotterranea. Il presule aveva celebrato la Messa il giorno dell’Assunta, nonostante il divieto di raduni imposto ai «cristiani clandestini». È la dodicesima volta che il religioso viene imprigionato

Cina, stretta dopo i Giochi Fatto sparire un vescovo

DI LUCIA CAPUZZI

«Dopo le Olimpiadi, la re­pressione si farà più dura».
I fedeli della Chiesa cattolica sotterranea cinese – che non riconoscono l’autorità di Pe­chino in materia religiosa e sono fe­deli alla Santa Sede – ne erano con­vinti.
Per due settimane, hanno atteso la fine dei Giochi con timore, certi che – non appena lo sguardo del mondo si fosse allontanato dalla Cina – con­tro di loro si sarebbe scatenata “l’of­fensiva” delle autorità di Pechino. Nessuno pensava, però, che i fatti precipitassero tanto rapidamente. La polizia non ha aspettato nemmeno il termine delle Olimpiadi: domenica, poche ore prima della spettacolare cerimonia conclusiva, quattro agen­ti si sono presentati nella cattedrale di Wuqiu, nella regione di Hebei, e hanno trascinato via monsignor Giu­lio Jia Zhiguo, vescovo sotterraneo di Zhengding.
Secondo quanto ripor­tato dall’agenzia AsiaNews, al mo­mento dell’arresto il presule stava ce­lebrando la Messa. È la dodicesima volta che monsignor Jia Zhiguo vie­ne imprigionato.
Il vescovo, che ora ha 73 anni, ne ha trascorsi quindici in carcere, dal 1963 al 1978. Dal 1989, il presule si trova sotto “stretta sorve­glianza”: in pratica, negli ultimi vent’anni, ha alternato periodi di li­bertà a lunghi soggiorni dietro le sbarre. Tanto che, in più occasioni, il Vaticano è intervenuto per chiedere il suo rilascio.
Durante il periodo olimpico, il pre­sule – come molti altri della Chiesa sotterranea – era stato costretto agli arresti domiciliari. Un gruppo di a­genti lo vigilava 24 ore su 24, davan­ti alla sua casa era stata perfino co­struita una baracca dove bivaccava­no gli agenti di turno. Il tutto mentre, al villaggio olimpico, il regime osten­tava un “volto liberale”, consentendo appositi “spazi per la spiritualità e la preghiera” e celebrazioni religiose per tutti i credi presenti. Fuori da “que­st’isola franca”, però, la libertà reli­giosa – come le altre libertà civili – e­rano fortemente ristrette.
I prelati della Chiesa cattolica “uffi­ciale” – la cui nomina e attività di­pende da Pechino – hanno ricevuto rigide indicazioni affinché, durante il periodo dei Giochi, non venissero organizzate speciali manifestazioni. Quelli già programmati dovevano es­sere brevi e poco affollati, al massimo 200 persone. Ben peggiore la condi­zione della Chiesa sotterranea, a cui era stato espressamente vietato ogni tipo di celebrazione, sotto la minac­cia di «provvedimenti» post-olimpi­ci. A molti sacerdoti, inoltre, era sta­to consigliato di «intraprendere dei viaggi», in modo che i giornalisti stra­nieri non riuscissero ad incontrarli. Il «cordone di sicurezza» costruito in­torno a monsignor Jia aveva proba­bilmente analogo obiettivo.
Nonostante, però, lo rigide maglie del regime, i fedeli di Zhengding si era­no radunati per celebrare la Messa nel giorno dell’Assunta. La polizia, per evitare di turbare la “pace olim­pica”, non era intervenuta. I «provve­dimenti » sono stati rimandati a Gio­chi conclusi, come ha dimostrato l’arresto del vescovo. Che al mo­mento sembra essere stato ingoiato dalla macchina repressiva del siste­ma: nessuno sa dove sia stato porta­to, né se e quando potrà tornare.

© Copyright Avvenire, 26 agosto 2008

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