26 agosto 2008

Il card. Scola parla della somiglianza fra Benedetto XVI e Papa Luciani ad iniziare dal sorriso (Radio Vaticana)


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Trent’anni fa l’elezione di Giovanni Paolo I, definito da Benedetto XVI “maestro di verità e catecheta appassionato”. Il cardinale Scola, ai nostri microfoni: Papa Luciani fu una sorpresa dello Spirito Santo

Il 26 agosto del 1978 veniva eletto alla Cattedra di Pietro il Patriarca di Venezia, Albino Luciani. Un Pontificato brevissimo, quello di Giovanni Paolo I, durato solo 33 giorni eppure molto intenso e ricordato con grande affetto dai fedeli.
L’8 ottobre del 2006, Benedetto XVI si soffermò sulla figura di Papa Luciani con parole di gratitudine in occasione della presentazione di un film su Giovanni Paolo I.
Benedetto XVI lo ricordò come “maestro di verità e catecheta appassionato”, che “a tutti i credenti ricordava, con l’affascinante semplicità che gli era solita, l’impegno e la gioia dell’evangelizzazione”. Nel servizio di Alessandro Gisotti, ripercorriamo alcuni momenti del Pontificato di Giovanni Paolo I:


“Ecco che cosa è la fede: arrendersi a Dio, ma trasformando la propria vita”: all’udienza generale del 13 settembre 1978, la seconda del suo brevissimo Pontificato, Giovanni Paolo I spiegava così il mistero della fede. E proprio l’arrendersi all’amore di Dio ha contraddistinto, fin dall’infanzia, la vita di Albino Luciani, uomo proteso verso il prossimo.
“Bisogna voler bene al prossimo - era l’esortazione di Giovanni Paolo I - il Signore ce l'ha raccomandato tanto. Io raccomando sempre non solo le grandi carità, ma le piccole carità”. All’Angelus del 10 settembre 1978, Giovanni Paolo I descriveva questo amore di Dio con parole sorprendenti:

“Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. E' papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore”.

Di Albino Luciani colpivano la dolcezza, la semplicità, l’umiltà. Qualità che, già a Venezia, i fedeli avevano imparato ad apprezzare negli anni del suo Patriarcato. “Humilitas” era il suo motto episcopale ripreso da San Carlo Borromeo. Un Papa “parroco del mondo” che stupiva per la sua capacità di parlare a tutti, di farsi comprendere anche dai più piccoli. Un esempio sono le parole pronunciate all’Angelus di domenica 17 settembre 1978:

“Anche il Papa è stato alunno di queste scuole: ginnasio, liceo, università. Ma io pensavo soltanto alla gioventù e alla parrocchia. Nessuno è venuto a dirmi: 'Tu diventerai Papa'. Oh! se me lo avessero detto! Se me lo avessero detto, avrei studiato di più, mi sarei preparato. Adesso invece sono vecchio, non c'è tempo”.

I numeri del suo Pontificato, durato un mese, sono tutti ad una cifra: 4 le udienze generali, 5 gli Angelus, 2 omelie, 9 discorsi.
Eppure, al di là del dato quantitativo, Papa Luciani compì gesti importanti.
Il 20 settembre si fece promotore di pace scrivendo una lettera agli episcopati di Cile e Argentina, Paesi sull’orlo di una guerra. Impegno ripreso poi con successo da Papa Wojtyla. Con grande attenzione, seguì i negoziati per la pace in Medio Oriente, in corso a Camp David, incoraggiando i protagonisti a rafforzare la via del dialogo.
Tra i suoi atti, spicca la nomina dell’allora arcivescovo di Monaco, Joseph Ratzinger, ad Inviato al terzo Congresso mariano dell’Ecuador. Nell’ultimo Angelus, il 24 settembre, Papa Luciani ha in fondo consegnato un messaggio ai fedeli: un invito a non lasciarsi vincere dal male, affidandosi con speranza all’amore di Cristo:

“La gente talvolta dice: 'Siamo in una società tutta guasta, tutta disonesta'. Questo non è vero. Ci sono tanti buoni ancora, tanti onesti. Piuttosto, che cosa fare per migliorare la società? Io direi: ciascuno di noi cerchi lui di essere buono e di contagiare gli altri con una bontà tutta intrisa della mansuetudine e dell'amore insegnato da Cristo”.

Oggi pomeriggio, il cardinale patriarca di Venezia, Angelo Scola, presiederà e concelebrerà, insieme ai vescovi del Triveneto, una Messa per ricordare Papa Luciani a Canale d’Agordo, città natale di Giovanni Paolo I. Al microfono di Alessandro Gisotti, il cardinale Scola mette l’accento sull’importanza del Pontificato di Albino Luciani:

R. - Giovanni Paolo I è stato veramente una grande sorpresa dello Spirito Santo, perché ha permesso, con il suo intenso e breve insegnamento, ma soprattutto con la sua figura, il dilatarsi cattolico del Papato. Ha permesso il passaggio dal Papa italiano al Papa proveniente da ogni luogo e da ogni continente. Ha così preparato la straordinaria azione di Giovanni Paolo II e anche quella di Benedetto XVI, che ha molti tratti in comune con Giovanni Paolo I.

D. - Come ricordare oggi il pastore Albino Luciani, al di là di quei tratti di dolcezza dell’animo, lo diceva anche lei, del suo proverbiale sorriso, così amati dai fedeli?

R. - Il sorriso di Papa Luciani non va dato troppo per scontato, va interpretato. Io credo che sia l’esito di due virtù, che egli praticò sin dalla sua infanzia, e di cui lui parla sovente: l’umiltà e l’obbedienza, che per lui vanno sempre insieme.

Quindi, non è un sorriso a buon mercato. Non fu buonismo. E, in effetti, per Papa Luciani queste due virtù, cioè coniugare l’umiltà e l’obbedienza, sono l’esito di una libertà che è sempre vigile ed è sempre tesa a ridire in ogni atto, in ogni circostanza favorevole o sfavorevole, il suo sì a ciò che la Provvidenza domanda.

D. - Questa descrizione ricorda tanto Benedetto XVI...

R. - Esattamente! Infatti, io credo che Benedetto XVI abbia un’ammirazione profondissima e delicatissima verso Papa Luciani, che andò ad incontrarlo a Bressanone, quando era patriarca di Venezia, e l’allora professor Ratzinger venne una prima volta in vacanza a Bressanone. Papa Benedetto ha accolto la straordinaria cultura e la profondità evangelizzatrice di Giovanni Paolo I.
Basta leggere i suoi “Illustrissimi” per rendersi conto di quale finezza spirituale e di quale ampiezza di evoluzione e, ancora, di quale sensibilità letteraria era dotato Giovanni Paolo I. La sua forza comunicativa era l’esito di questo lavoro paziente di sentirsi come servitore del popolo santo di Dio, per il quale egli si sforzava in tutti i modi di adeguare la sua comunicazione. Sarebbe bello poter imparare un po’ da lui.

D. - Cosa ha dato il patriarca Albino Luciani a Venezia, alla sua diocesi? Cosa resta oggi di quegli anni di patriarcato?

R. - Il patriarca Luciani ha retto la diocesi in un momento di grande travaglio per tutto il Paese e per tutta la cattolicità. Era il tempo del post-Concilio. Non sono state poche le tensioni in diocesi in quel momento. Da allora, il patriarca le affrontò, coniugando l’amore al senso dell’autorità che gli era propria. Lui aveva un senso potente che il compito del pastore è l’unità del popolo di Dio. Quindi, era molto esigente verso se stesso, nell’obbedienza, e domandava obbedienza, soprattutto ai sacerdoti. Questo non fu talora senza problema. L’eredità è quella di una testimonianza della bellezza, del dono totale della propria vita a Cristo, che si vede bene passando in rassegna tutti i suoi insegnamenti. Soprattutto, penso alle omelie in San Marco, ma anche agli incontri con i sacerdoti e a questo desiderio di evangelizzazione che passò per lui sin dalla sua giovinezza, attraverso la catechesi. In questo, egli recuperò la grande tradizione di un altro patriarca Papa, che fu Pio X.

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