19 settembre 2008
Cattolici divisi dalle leggi razziali (Airò)
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Cattolici divisi dalle leggi razziali
Lo storico gesuita padre Sale: ci furono imbarazzanti tentativi per «salvare» almeno gli ebrei convertiti, però anche forti interventi pontifici rimasti sconosciuti in Italia perché censurati dal fascismo
DI ANTONIO AIRÒ
Alla ripresa della sessione autunnale degli esami di riparazione del settembre 1938 lo scrittore Dino Provenzal, preside del liceo classico di Voghera, venne destituito. La sua colpa? Essere un ebreo. Per di più cattolico.
Le recenti leggi razziali avevano scelto la strada della separazione-segregazione nei confronti degli ebrei. Lo aveva ribadito Mussolini in un discorso a Trieste: il problema razziale non era scoppiato all’improvviso, dato che l’ebraismo mondiale era stato «un nemico irriconciliabile del fascismo». Il Duce aggiungeva che «tuttavia gli ebrei di cittadinanza italiana i quali abbiano indiscutibili meriti militari e civili nei confronti del regime, troveranno comprensione e giustizia; quanto agli altri si seguirà nei loro confronti una politica di separazione».
In parecchi hanno visto in queste dichiarazioni di Mussolini un tentativo di contrastare i riflessi di un forte intervento di Pio XI contro il razzismo e l’antisemitismo pronunciato a Castelgandolfo il 6 settembre.
«Era la prima volta che ciò accadeva in modo esplicito e diretto», nota ora lo storico gesuita Giovanni Sale sull’ultimo numero de La Civiltà cattolica.
Purtroppo questo testo non fu divulgato in Italia (venne riportato da una rivista cattolica belga). Le autorità fasciste ne avevano infatti vietato la pubblicazione sui giornali e sulle riviste cattoliche: il regime non voleva che circolassero nel nostro Paese testi come quello di fine luglio dal significativo titolo «La dottrina della Chiesa di fronte al razzismo confermata e illustrata dal Santo Padre», dove si legge tra l’altro che «tutto il genere umano è una sola, grande, universale razza umana… ».
Al momento delle leggi razziali la Santa Sede, tramite il gesuita Tacchi Venturi, intermediario del Vaticano presso il Duce, aveva cercato di salvaguardare almeno gli ebrei battezzati, con un occhio particolare ai matrimoni misti. Il discorso di Trieste sembrava venire incontro a queste richieste. In realtà (come dimostra il caso Provenzal) anche quell’obiettivo non fu in alcun modo raggiunto. Quello di una legislazione italiana «più blanda» contro gli ebrei nella sua applicazione – precisa padre Sale – «è un mito da sfatare». Ma diventa imbarazzante anche giustificare la richiesta di un diverso trattamento per gli ebrei convertiti.
Resta il fatto – lo documenta lo storico gesuita – che con le leggi razziali (contro le quali giunsero a Pio XI non poche lettere di cattolici e anche di fascisti «critici» che invitavano il Papa a denunciare il provvedimento) i rapporti tra il governo italiano e la Santa Sede andarono deteriorandosi, anche se la prudenza del Vaticano, che invitava tra l’altro il clero a non inviare alcuna adesione alla rivista La difesa della razza, e gli editoriali altrettanto prudenti e tuttavia critici contro le teorie del regime «non solo antiscientifiche ma mostruosamente illogiche» (come avrebbe scritto padre Enrico Rosa), furono determinati «dalla volontà di salvare il salvabile».
Non è vero infine che la Santa Sede e con essa il mondo cattolico italiano subirono passivamente la legislazione antiebraica e che intervennero soltanto nella difesa degli interessi cattolici. Il rifiuto del razzismo è confermato da una vibrante omelia del cardinale Schuster nel Duomo di Milano nel novembre 1938. L’arcivescovo denunciava «l’eresia anticristiana e antiromana del mito nordico razziale» e in filigrana non c’era solo il nazismo, ma anche la repressiva legislazione del regime.
© Copyright Avvenire, 19 settembre 2008
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