27 ottobre 2008

Benedetto XVI non si è fatto condizionare dalle divisioni: Firenze, copione diverso...atto primo (Ermini)


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L'editoriale

Copione diverso, atto primo

«Gli stereotipi gonfiano le vele della memoria, non dello sviluppo. Firenze, città laica, ha bisogno anche di una Chiesa che dica la sua»

Paolo Ermini

Scriveva Ernesto Galli della Loggia ieri sul Corriere della Sera: «Un Paese fermo, consegnato all'immobilità: ecco come appare oggi l'Italia». E ancora: «I motivi sono mille ma alla fine sono tutti riconducibili a una sensazione precisa: siamo una società prigioniera del passato. Con lo sguardo perennemente rivolto all'indietro, che ama crogiolarsi sempre negli stessi discorsi, nelle stesse contrapposizioni, nelle stesse dispute».
A Firenze non va meglio, a prescindere da meriti e demeriti di chi la guida, al vertice delle istituzioni, dei partiti, degli enti e delle categorie. Quel che più conta, e ancora pesa, infatti, è la cultura della città, la sua mentalità, la sua attitudine. In tutti e tre i casi continua a prevalere, al di là degli schieramenti politici, una irriducibile vocazione conservatrice, nonostante un altrettanto evidente bisogno di voltare pagina. Chi c'è dietro? Tanti e nessuno. Perché tanti sono i fiorentini che, volenti o nolenti, hanno parte in commedia nella rete degli interessi (piccoli e grandi) che pervade il tessuto cittadino, tanti i compartecipi di un governo votato al piccolo cabotaggio, tanti i complici di una stagnazione, anche di idee, che frena la corsa verso un futuro fatto non di velleità ma di progetti concreti. Però nessuno, al tempo stesso, ne è colpevole, perché è il sistema a prevalere sulle volontà individuali, comprese le migliori. Anche con il ricorso al solito trucco della continuità: chi vuole cambiare è additato come portatore di acqua al mulino del «nemico» che è sempre alle porte.

GUARDARE AVANTI.

Ma dov'è scritto che guardare avanti significhi per forza condannare tutto ciò che è venuto prima? Dov'è scritto che la storia di una comunità cittadina la si possa fare solo strappando tutte le pagine della storia precedente o al contrario facendo del passato (e del presente) una reliquia? E' proprio così che la città non riesce ad andare oltre le polemiche sterili, i rinfacci, i veti. Che servono soprattutto a non far fare. E a non assumersi responsabilità. Abbiamo davanti una stagione eccezionale.

UNA NUOVA STAGIONE.

Da oggi a Firenze c'è un nuovo arcivescovo, a primavera ci saranno un nuovo sindaco e un nuovo presidente della Provincia, un anno dopo cambierà il presidente della Regione. Nel frattempo sarà cambiato anche il rettore (così come altre altre cariche cittadine). C'è una sola strada consigliabile: approfittarne. Sarebbe sbagliato attardarsi a osservare la realtà con occhiali vecchi. Qui non torneranno i finanziamenti a pioggia dello Stato, né agli enti locali né agli atenei. E neppure al Maggio e a tutti gli altri centri di cultura colpiti dalla scure dei tagli indiscriminati, fatti soprattutto per fare cassa. E non tornerebbero neppure se Berlusconi improvvisamente crollasse e lasciasse a Veltroni il suo posto a Palazzo Chigi. Qui non tornerà la forza di un partito egemone com'era il Pci, capace — piacesse o meno — di regimentare tutti i conflitti e le contraddizioni di un territorio. E qui non tornerà neppure il vento del Sessantotto, con gli operai uniti nella lotta con gli studenti, anche perché di operai in giro se ne trovano sempre di meno (ma anche di studenti rivoluzionari, al di là delle apparenze).

ANCHE FIRENZE E' CAMBIATA.

Gli stereotipi gonfiano le vele della memoria, non quelle dello sviluppo. Il mondo è cambiato. E anche Firenze. Prendiamone atto. Servono determinazione e fantasia. E la voglia di non usare più il passato come specchio (ingannevole) o come alibi (falso), così caro ai furbi, ai mediocri e ai professionisti dello scaricabarile. Nessuno si scomoderà a evocare i fantasmi del neoguelfismo — speriamo — se diciamo che il metodo usato dal Papa per nominare il successore di Ennio Antonelli potrebbe dare qualche buon suggerimento. Benedetto XVI non si è fatto irretire nel gioco delle divisioni e delle interdizioni reciproche, dei condizionamenti, degli appelli e dei moniti. I fatti diranno se avrà avuto ragione.
C'è da augurarselo. Giuseppe Betori può traghettare la diocesi fuori dai tormenti degli ultimi anni (e pure degli ultimi giorni, segnati dal corvo di curia) e può anche lasciarsi alle spalle il caso di don Cantini, al quale vorrebbero tenere inchiodata la Chiesa fiorentina tutti quelli che la preferirebbero in uno stato di docile, permanente minorità. Firenze, città laica, ha bisogno di altro, anche di una Chiesa che dica la sua su ogni problema, come ha preannunciato l'arcivescovo. Non per tradurre ogni sua parola in dettame, non per compiacerla, ma per recuperare al confronto fattivo, anche aspro, una voce importante. Se Betori manterrà la promessa sarà un bene per tutti, anche per i nostri politici che hanno perso il gusto di essere incalzati. È ora di cambiare copione. Oggi si scrive il primo atto.

© Copyright Corriere Fiorentino, 27 ottobre 2008 consultabile online anche qui.

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