2 ottobre 2008

A colloquio con l'arcivescovo Tomash Peta, presidente dei vescovi del Kazakhstan: "La fedeltà di una Chiesa segnata dal martirio" (Osservatore Romano)


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A colloquio con l'arcivescovo Tomash Peta, presidente dei vescovi del Kazakhstan in visita «ad limina Apostolorum»

La fedeltà di una Chiesa segnata dal martirio

di Nicola Gori

Il dialogo tra le religioni e la secolarizzazione ereditata dall'ex impero sovietico. Sono queste le sfide principali che la Chiesa del Kazakhstan deve affrontare. Pur in mezzo a difficoltà di vario genere, la comunità ecclesiale - la cui storia è segnata dal sangue dei martiri - continua a rendere testimonianza del messaggio di salvezza cristiana. È una missione difficile da compiere in un Paese di grande estensione geografica a causa dei limiti imposti dall'enorme distanza tra le parrocchie. Ne abbiamo parlato con monsignor Tomash Peta, arcivescovo di Maria Santissima in Astana e presidente dei vescovi cattolici del Kazakhstan. Lo abbiamo incontrato - e con lui i rappresentanti delle comunità cattoliche in Uzbekistan e in Kyrgyzstan i quali, insieme ai rappresentanti delle comunità cattoliche in Tadjikistan e in Turkmenistan, si trovano a Roma in occasione della visita ad limina Apostolorum - alla vigilia dell'udienza del Papa.

Eccellenza Peta, la Chiesa in Kazakhstan è una giovane realtà, sopravvissuta alla persecuzione del regime comunista. Si tratta ora di raggiungere la piena maturazione. Ci può parlare dei progetti pastorali e delle difficoltà che si presentano su questo cammino?

Il Kazakhstan ha ottenuto l'indipendenza e la sovranità nel 1991. Da allora abbiamo goduto della libertà di religione, sancita da una legge già nel 1992. Recentemente però questa certezza sembra essere messa in discussione. Infatti è stato sottoposto al Parlamento un nuovo progetto di legge in materia di libertà religiosa. La prima bozza era molto restrittiva e se fosse stato approvato quel progetto, avrebbe significato per il Kazakhstan non essere più un Paese in cui si gode pienamente di libertà religiosa. Fortunatamente l'attuale bozza è più permissiva. La speranza dunque è che la libertà di religione e la libertà di coscienza dei singoli siano tutelate nel Paese. Questo consentirebbe alla nostra comunità di crescere e svilupparsi. Sicuramente positivo è il fatto che dalla sua indipendenza il Kazakhstan ha instaurato relazioni diplomatiche con la Santa Sede. È stata anche aperta la nunziatura apostolica e sono state erette tutte le strutture ecclesiali (diocesi, metropolie e conferenza episcopale).

Il tessuto religioso del Paese è molto composito. Intrattenete buoni rapporti con le altre fedi?

I rapporti sono buoni. Tanto che lo scorso anno una delegazione di responsabili delle comunità religiose del Kazakhstan (ortodossi, luterani, musulmani e cattolici) ha visitato Roma e Assisi, invitata dai francescani conventuali. Tuttavia, non si può dire che ci siano ancora forme di cooperazione coinvolgenti, in gradi di stimolare attività congiunte per il raggiungimento del bene comune. Valga per tutti l'esempio dell'azione a tutela della vita, spesso isolata o comunque non coordinata, e l'approccio al problema della tossicodipendenza. Tuttavia lascia ben sperare l'istaurarsi di un clima di dialogo in occasione degli incontri su questioni religiose, che ogni tre anni si svolgono ad Astana sotto l'egida del presidente della Repubblica, Nursultan Nazarbayev.

Abbiamo parlato delle difficoltà, anche logistiche, che incontra la Chiesa nella diffusione del Vangelo. Potete contare sull'aiuto di un laicato impegnato?

I fedeli cattolici in Kazakhstan non hanno potuto avere contatti con dei sacerdoti per anni. Non c'erano chiese. Hanno mantenuto viva la fede attraverso la preghiera, la recita del Rosario in particolare. Hanno continuato a battezzare i loro bambini. Questo lo si deve per lo più proprio all'impegno di tanti laici. Abbiamo anche magnifici esempi di sacerdoti vissuti nel periodo delle persecuzioni, il beato Aleksiej Zaricki o i servi di Dio Wladyslaw Bukowinski e Serafim Kaszuba. Purtroppo, il numero dei cattolici è diminuito molto. La gran parte di loro infatti proveniva da altri Paesi e quando il Kazakhstan è divenuto indipendente hanno colto l'occasione per poter rientrare in patria. Quelli che sono rimasti vogliono essere "sale" e "luce" per il Paese che prima è stato "un oceano di sangue e lacrime di martiri".

Qual è il contesto sociale in cui la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione accanto al popolo, anche considerando il fatto che il Paese, tutto sommato, gode di una certa ricchezza assicuratagli dalle risorse minerarie, dal petrolio in particolare?

Dall'indipendenza a oggi sono stati compiuti passi importanti per raggiungere soddisfacenti livelli di progresso e per migliorare il benessere dei cittadini. Sino a oggi la sfida più importante affrontata dal Governo, ma direi da tutta la società, è stata quella di evitare che dal sistema comunista si passasse a forme di capitalismo "selvaggio". È chiaro però che ora è necessario uno sforzo ulteriore per creare nuove opportunità di sviluppo materiale per tutti i cittadini, così come è importante e necessario dar vita a un sistema previdenziale per i poveri. Sono convinto che le nostre autorità e la nostra società troveranno il modo per superare anche queste difficoltà. Per quanto riguarda l'azione della Chiesa cattolica in Kazakhstan bisogna ricordare che si tratta di un "piccolo gregge" (circa 200.000 fedeli), capace tuttavia di svolgere per esempio un'opera caritatevole di notevole spessore. È nostra volontà mettere in campo tutte le nostre energie per aiutare il popolo a crescere. E noi vogliamo crescere con loro.

(©L'Osservatore Romano - 2 ottobre 2008)

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