20 luglio 2007

Documento vaticano sulla salvezza: il commento di Mons. Bruno Forte


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Grazie alla segnalazione di Francesco possiamo leggere questa importante intervista di Mons. Bruno Forte sul documento della Congregazione per la dottrina della fede "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la Dottrina sulla Chiesa".


La stupenda immagine

Il documento della Congregazione per la dottrina della fede, pubblicato il 10 luglio e intitolato "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la Dottrina sulla Chiesa", ha provocato "a caldo" reazioni di vario tenore tra i cristiani protestanti. Il testo, articolato in cinque risposte (responsa, in latino) ad altrettante domande, intende precisare "il significato autentico di talune espressioni ecclesiologiche magisteriali, che nel dibattito teologico rischiano di essere fraintese". Abbiamo chiesto a mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l'annuncio e la catechesi, di spiegare contenuti e intenzioni delle risposte ai cinque quesiti.

Cosa emerge dal documento della Congregazione per la dottrina della fede?

"Il documento ribadisce punti assodati dell'insegnamento del Concilio Vaticano II, che sono parte costitutiva della coscienza profonda di ogni cattolico adulto nella fede: e, cioè, che la pienezza dei mezzi di grazia offerti dal Signore si trova nella Chiesa cattolica. Chi non avesse questa convinzione, non avrebbe neanche motivo di essere e dichiararsi cattolico".

Che valore hanno le risposte ai quesiti?

"Il valore dei responsa è di richiamare la coscienza della nostra identità di credenti cattolici, figli grati e obbedienti della Chiesa nostra Madre, in un'epoca in cui la tentazione strisciante del relativismo si insinua da tante parti. Questo, però, va vissuto con grande serenità: non è riaffermare l'identità contro qualcuno, ma richiamarla per meglio vivere la nostra missione al servizio del Vangelo e, dunque, la nostra carità verso tutti".

Quali elementi di novità possono essere colti dalle risposte ai quesiti?

"La novità non è nei contenuti, ma nel contesto: che è quello della nuova evangelizzazione nell'orizzonte del villaggio globale e delle sfide della giustizia, della pace, dell'urgenza di testimoniare con serena convinzione gli orizzonti di senso e le ragioni di speranza che ci vengono dalla nostra fede di discepoli di Cristo nella sua Chiesa, la cui comunione è vera buona novella di fronte alle solitudini così diffuse nelle società del cosiddetto tempo post-moderno".

Analizzando nel dettaglio le risposte: nella prima si afferma che "il Vaticano II ha solo sviluppato, approfondito ed esposto più ampiamente" la precedente dottrina sulla Chiesa...

"Certo: il Vaticano II - Concilio della Chiesa, sulla Chiesa nella storia - ci ha aiutato a prendere più profonda coscienza di ciò che siamo come singoli e come Chiesa e della nostra missione di amore verso la famiglia umana. Esso non ha rotto col passato della fede, ma ha realizzato la stupenda immagine amata dai Medioevali: salendo sulle spalle dei giganti - che sono i testimoni della fede ecclesiale in tutte le epoche - esso ci ha fatto guardare più lontano di loro".

Più complesse la seconda e la terza risposta in cui si parla della questione del "subsistit in". Cosa significa questa affermazione del Concilio Vaticano II?

"L'affermazione aveva una chiara connotazione ecumenica, ribadita dai responsa : dire che «l'unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica» è la Chiesa cattolica, significava escludere l'attenzione agli elementi di grazia e di salvezza presenti nelle altre Chiese e comunità ecclesiali non cattoliche. Dire, come ha fatto il Concilio - e i responsa ribadiscono - che essa « sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui» ( Lumen Gentium 8), significa unire l'affermazione della verità sull'unicità della Chiesa cattolica al riconoscimento dei gradi di comunione presenti nelle altre comunità cristiane, fino a quello della natura propria di Chiesa che riguarda le comunità dell'Oriente cristiano che hanno conservato la successione apostolica e, perciò, il sacerdozio e l'Eucaristia nella pienezza della loro realtà".

Nel documento emergono anche alcuni "risvolti ecumenici": viene, infatti, spiegato (cfr "responsa" nn.4-5) perchè il Vaticano II attribuisce il nome di "Chiese" alle Chiese orientali separate dalla piena comunione con la Chiesa cattolica e non, invece, alle comunità cristiane nate dalla Riforma del 16° secolo...

"Affermare che le comunità nate dalla Riforma non sono Chiese secondo il concetto che la Chiesa cattolica ha di questo termine non vuol dire negare che esse lo siano secondo la propria convinzione e maniera di intendere la Chiesa: non vedo qui alcuna difficoltà ecumenica, anzi mi sembra che si vada incontro a un'esigenza di onestà e verità, più volte ribadita negli stessi documenti ufficiali delle Confessioni evangeliche".

Il documento della Congregazione - come già, peraltro, il Motu Proprio " Summorum Pontificum" - è stato interpretato da qualcuno come un'offensiva contro il Concilio Vaticano II. Cosa rispondere?

"Assolutamente non lo è: la prova è che esso ribadisce fedelmente l'insegnamento del Concilio, senza cambiarlo di una virgola. Ciò che vuole evitare il documento è la confusione e l'irenismo, non l'incontro sincero nella Verità, a cui tutti dobbiamo obbedire, e il dialogo fatto di onesta attenzione all'altro e di proposta sincera del proprio punto di vista".

© Copyright Sir, 13 luglio 2007

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