9 settembre 2007
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In Austria il Papa torna ad affrontare il tema della crisi dell'Occidente e dell'Europa «Se non esiste distinzione tra il bene e il male, si rischia la distruzione dell'uomo»
Alberto Bobbio
Pellegrino in Austria, dal santuario di Mariazell Benedetto XVI ha proposto ieri un altro discorso memorabile nel suo pontificato, sulla scia di quanto detto l'anno scorso a Ratisbona. Il Papa ha messo al centro della sua riflessione la crisi dell'Occidente e della cultura europea, spiegando che «il nocciolo della crisi» è la «rassegnazione di fronte alla verità», come se questa fosse «troppo grande» per l'uomo.
Argomenta il Papa: «Se per l'uomo non esiste una verità egli in fondo non può distinguere neppure tra il bene e il male». È il tema del relativismo, lanciato proprio a Ratisbona e ripetuto anche venerdì. Ieri mattina, davanti alla folla bagnata di Mariazell, il Papa ha di nuovo osservato che «le meravigliose conoscenze della scienza possono diventare ambigue», «aprire importanti prospettive per il bene e la salvezza dell'uomo», ma anche «diventare una terribile minaccia», cioè «la distruzione dell'uomo e del mondo».
Sotto la pioggia che cade sulla Stiria, tra le nuvole basse che nascondono il giro dei monti, in una mattina fredda Benedetto XVI rilancia la «questione della verità». Lo fa esattamente un anno dopo la lezione di Regensburg, di cui riprende temi, concetti, ragionamenti. Non è una lectio magistralis . È l'omelia della Messa nel santuario più «mitteleuropeo» d'Europa. Ma è altrettanto importante. Scandisce: «Dio non fallisce, Dio ci lascia la nostra libertà, Dio scrive dritto anche sulle righe storte della nostra storia umana».
Joseph Ratzinger ficca un altro discorso memorabile nel suo pontificato. Mette al centro la crisi dell'Occidente e della cultura europea e spiega che «il nocciolo della crisi» è la «rassegnazione di fronte alla verità», come se questa fosse «troppo grande» per l'uomo. Il Papa teologo argomenta che tutto ciò «non significa affatto disprezzo delle altre religioni, né assolutizzazione superba del nostro pensiero, ma solo l'essere conquistati da Colui che ci ha interiormente toccati e colmati di doni, affinché noi potessimo a nostra volta fare doni agli altri». È la risposta, un anno dopo, a chi lo ha accusato di intolleranza, a chi lo ha bollato come campione di ogni chiusura nel dialogo interreligioso, a chi lo ha ammonito di non conoscere storia e archetipi culturali, a causa della lezione all'università di Ratisbona.
Ragiona: «Se per l'uomo non esiste una verità egli in fondo non può distinguere neppure tra il bene e il male». È il tema del relativismo, lanciato a Ratisbona e ripetuto mentre volava da Roma a Vienna, venerdì, che intreccia la questione dell'onnipotenza della scienza, sulla quale il Papa non si sottrae.
Ieri mattina, davanti alla folla bagnata di Mariazell, ha di nuovo osservato che «le meravigliose conoscenze della scienza possono diventare ambigue» e «aprire prospettive importanti prospettive per il bene e la salvezza dell'uomo», ma anche «diventare una terribile minaccia», cioè «la distruzione dell'uomo e del mondo». È per questo motivo, rilancia il Papa, che «noi abbiamo bisogno della verità». Poi ecco il passaggio che più si avvicina a quanto disse un anno fa a Regensburg, quando citando la discussione tra un dotto musulmano e Manuele II Paleologo, imperatore di Costantinopoli, Ratzinger pose il problema della verità e fu accusato di intolleranza: «A motivo della nostra storia abbiamo paura che la fede nella verità comporti intolleranza».
Benedetto XVI ieri ha osservato che questa paura ha «le sue buone ragioni storiche», come dimostrano anche le reazioni al discorso di Ratisbona, ma se essa «ci assale» allora «bisogna guardare a Gesù come lo vediamo qui nel santuario di Mariazell». Nel santuario ci sono due immagini di Gesù: in braccio alla Madonna nella statuetta di legno di tiglio simbolo del santuario e crocifisso sull'altare della basilica. Per il Papa significa che la «verità non si afferma mediante un potere esterno, ma è umile» e «dimostra se stessa nell'amore». E oggi in Europa è questo amore difetta.
Il Papa fa di nuovo l'esempio, come già venerdì, dell'Europa «diventata povera di bambini» e denuncia: «Noi vogliamo tutto per noi stessi e forse non ci fidiamo troppo del futuro». Poi sottolinea, che oggi molti bambini «vivono nella povertà», vengono «sfruttati come soldati», alcuni «non hanno mai sperimentato l'amore dei genitori», sono «malati», «sofferenti», ma anche «gioiosi e sani». Tutti incarnano in sé l'immagine di Dio, nonostante tutto. Eppure è sbagliato ritenere che i drammi e le sofferenze possano indicare la fine dello storia. Il Papa è chiarissimo: «Priva di futuro sarà la terra solo quando si spegneranno le forze del cuore umano e della ragione illuminata dal cuore, quando il volto di Dio non splenderà più sopra la terra». Invece «dove c'è Dio, c'è futuro».
Il motto scelto per il pellegrinaggio era «Guardare a Cristo» e Benedetto XVI lo ripete tre volte, come un contrappunto al suo discorso. Spiega che se guardiamo a Cristo «ci rendiamo conto che il cristianesimo è di più e qualcosa di diverso da un sistema morale, da una serie di richieste e di leggi». In questi due anni e mezzo di pontificato lo ha detto decine e decine di volte. Ha detto che Dio è amore. Lo ha scritto in un'enciclica. Ma ieri lo ha ripetuto: «Il cristianesimo è il dono di un'amicizia». Naturalmente porta in sé una «grande forza morale» di cui c'è «tanto bisogno» di fronte «alle grandi sfide del nostro tempo».
A questo punto Benedetto XVI propone una affascinante interpretazione del decalogo. Spazza via ogni giuridicismo, spiega che i dieci comandamenti indicano come camminare nel mondo. Così i primi tre diventano un «sì a Dio che ci lascia la nostra libertà», il quarto un «sì alla famiglia», il quinto «sì alla vita», il sesto «all'amore responsabile», il settimo un «sì alla solidarietà, alla responsabilità sociale e alla giustizia», l'ottavo alla verità mentre gli ultimi due sono un «sì al rispetto delle persone e a ciò che ad esse appartiene». Davanti a lui sotto la pioggia ci sono i rappresentanti dei 35 mila componenti dei consigli parrocchiali che in Austria sono stati eletti nel mese di maggio. A dieci di loro consegna il Vangelo e gli Atti degli Apostoli, i libri che contengono il percorso della verità che ha appena spiegato.
Nel pomeriggio nella basilica torna a celebrare i Vespri, come ha sempre fatto durante tutti i suoi viaggi. E parla questa volta ai preti e ai religiosi d'Austria. Anche a loro dà una sorta di mandato: «Opponetevi ai molteplici tipi di ingiustizia nascosta o aperta, come anche al disprezzo degli uomini che sta espandendosi». Poi li invita a fare brillare la luce del Vangelo «nella società, nella politica, nel mondo dell'economia, della cultura e della ricerca». Richiama tre caratteristiche del sacerdote e del religioso: povertà, castità e obbedienza.
Ma non usa il tono dell'ammonimento, né ricorda il dibattito che su questi temi ha opposto, negli anni scorsi, parti della Chiesa in Austria. Fa come al solito: indica la via del Vangelo.
La questione della povertà e dei poveri «deve sempre essere oggetto di un severo esame di coscienza». La castità non vuol dire che i preti si votano «all'individualismo e ad una vita isolata», ma che devono vivere «un amore disinteressato per gli uomini». Sull'obbedienza spiega che «l'obbedienza a Gesù Cristo nella prassi deve essere molto concretamente un'umile obbedienza alla Chiesa». E su questo, dice Ratzinger, «dovremmo fare sempre di nuovo un profondo esame di coscienza».
© Copyright L'Eco di Bergamo, 9 settembre 2007
La piccola Madonna che spezzò la rupe
La Madonna con bambino custodita al santuario di Mariazell in Stiria, che festeggia 850 anni dalla fondazione ed è la ragione della visita del Papa in Austria, è una statuetta scolpita in legno di tiglio e alta 48 centimetri. La semplice scultura è datata al primo gotico e raffigura una Madonna col bambino in grembo sulla destra. Il bambino tiene nella mano destra una mela e con l'altra indica un frutto che la madre gli porge. I due frutti simboleggiano la redenzione dal peccato originale.
La leggenda racconta che nel 1157 un monaco di nome Magnus aveva con sè la statuetta quando un masso gli sbarrò la strada. Il monaco allora si rivolse alla Madre di Dio in cerca di aiuto, e la rupe si spaccò liberandogli il passo. Giunto alla sua meta, il monaco costruì quindi una «cella» («Zelle» in tedesco) che doveva fungere da cappella e rifugio: «Maria nella cella» (Marienzell) divenne così il nome al luogo. Nel frattempo, Mariazell, nell'Alta Stiria, con la statua di «Magna Mater Austriae» (Grande Madre dell'Austria), è diventato il santuario più suggestivo e importante di tutta l'Austria.
Il suo fascino stregò anche il cardinale Joseph Ratzinger alla sua prima visita nel 2004, tanto che promise di ritornare. Una volta divenuto Papa, i responsabili del Santuario gli hanno ricordato la sua promessa, e Benedetto XVI l'ha onorata.
© Copyright L'Eco di Bergamo, 9 settembre 2007
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