14 settembre 2007
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CITTÀ DEL VATICANO
Da oggi i parroci potranno celebrare la messa in latino secondo il rito tridentino. È l’effetto dell’entrata in vigore del motu proprio emanato il 7 luglio da Benedetto XVI «Summorum pontificum» sull’utilizzo della liturgia precedente alla riforma del 1970; il documento stabilisce che spetta al parroco, e non ai vescovi, accogliere le richieste di fedeli aderenti alla tradizione liturgica preconciliare. Il motu proprio tenta di disinnescare lo scisma lefebvriano, ma il rito antico è permesso, non imposto, e la liturgia ordinaria della Chiesa resta quella conciliare; e nemmeno si indica se il prete debba essere rivolto verso l’altare o verso i fedeli. Suggerisce però che le letture possano essere pronunciate nelle lingue nazionali e dà la possibilità di celebrazioni in latino anche per battesimi, matrimoni, confessioni e unzione degli infermi.
Parroci e vescovi dovranno ora attrezzarsi per rispondere alle richieste di messe in latino, e non nascondono qualche preoccupazione. Molte, poi, le voci critiche, che - come Martini e Tettamanzi - vedono nel motu proprio la cancellazione della riforma conciliare.
Intanto, il patriarca ortodosso Alessio II dice che l’incontro con il Papa sarà certamente possibile, «ma si devono prima superare le difficoltà sorte dal 1991». La lista degli ostacoli al «summit» non è cambiata: «L’azione missionaria della Chiesa cattolica, il proselitismo, la questione degli Uniati in Ucraina».
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La voce di Tettamanzi non e' critica...noi fedeli ambrosiani stiamo aspettando la sua parola cosi' come e' accaduto in praticamente tutte le altre diocesi.
R.
Esecutivo da oggi il “Motu proprio” di Papa Benedetto XVI
Il latino sugli altari: la Messa all’antica ritorna in vigore
Fausto Gasparroni
CITTÀ DEL VATICANO Da oggi i parroci che lo vorranno, accogliendo richieste dei fedeli e senza necessità del permesso del vescovo, potranno celebrare liberamente la Messa in latino secondo il rito tridentino. È l’effetto dell’entrata in vigore del Motu proprio di Benedetto XVI Summorum Pontificum sull’utilizzo della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970.Il documento, emanato il 7 luglio scorso, liberalizza l’uso del messale romano del 1962, stabilendo che spetta al parroco accogliere le richieste di fedeli aderenti alla tradizione liturgica preconciliare. Liberare da ogni vincolo la messa di San Pio V rappresenta per Ratzinger il tentativo di disinnescare lo scisma lefebvriano: il Motu proprio consente ai seguaci del vescovo francese, e a chiunque lo desideri, di celebrare senza autorizzazioni preventive la messa tridentina, confermando però la riforma liturgica conciliare e ammonendo: «I sacerdoti delle comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi».Stando al documento ratzingeriano il rito antico è permesso, non imposto, e la liturgia ordinaria della Chiesa resta quella conciliare; ai vescovi resta il controllo sull’applicazione delle norme e fra tre anni dovranno riferire al Papa su eventuali difficoltà.Il Motu proprio non dà indicazioni sul fatto se il prete debba essere rivolto verso l’altare o verso il popolo, suggerisce che nella messa di san Pio V le letture possano essere pronunciate nelle lingue nazionali e dà la possibilità di celebrazioni in latino anche per battesimi, matrimoni, confessioni e unzione degli infermi.La finalità proclamata da Benedetto XVI nella lettera inviata ai vescovi di tutto il mondo, la “ragione positiva” della sua scelta, è di «giungere a una riconciliazione interna nel seno della Chiesa», precisando che «é infondato il timore» che con la liberalizzazione della messa in latino anteriore al 1970 «venga messa in dubbio» la «riforma liturgica» o l’«autorità del Concilio», come pure che si creino «spaccature nelle comunità parrocchiali».Il rito antico, precisa, «non fu mai giuridicamente abolito» e «in linea di principio restò sempre permesso». Ma «il nuovo messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del rito romano». Il vecchio messale «presuppone una certa formazione liturgica e un accesso alla lingua latina», due condizioni che «non si trovano tanto di frequente».Rispolverando il rito antico il Papa ha teso la mano ai lefebvriani, che comunque fin da subito, pur esprimendo «compiacimento» e «gratitudine», non hanno mancato di sottolineare «i punti dottrinali» di divisione ancora da affrontare.
Intanto parroci e vescovi dovranno attrezzarsi per rispondere alle richieste di messe in latino, non nascondendo qualche preoccupazione in proposito.
In questo periodo molte sono state le voci critiche, che vedono nel Motu roprio i rischi di una “revisione” della riforma conciliare. Anche nomi di alto profilo, come l’ex arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini e quello attuale, Dionigi Tettamanzi, hanno manifestato posizioni differenti.Il cardinale Dario Castrillon Hoyos, presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei ed ex-prefetto della Congregazione per il Clero, che proprio oggi celebrerà a Loreto una Messa col vecchio rito, auspica invece che le nuove possibilità di scelta siano «un motivo di gioia per tutti coloro che amano la tradizione, un motivo di gioia per tutte quelle parrocchie che non avranno più divisioni». Altro problema, invece, è quello che tocca gli ebrei. Lo scorso giugno alcuni esponenti dell’ebraismo internazionale hanno manifestato critiche al fatto che con la liberalizzazione della Messa in latino decisa venisse reintrodotta la preghiera del Venerdì santo per la conversione degli ebrei (non la formula «perfidi ebrei» abolita da Giovanni XXIII). In luglio il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone ha mostrato disponibilità a eliminare dal messale in latino «le preghiere che possono urtare la sensibilità del mondo ebraico».
© Copyright Il Cittadino, 14 settembre 2007
Idem come sopra...
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