9 agosto 2008
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Australia. L’analisi del direttore de L’Osservatore Romano
Ai confini della terra, nella continuità di una tradizione vitale
Al cuore del più lungo viaggio del suo pontificato è stata la trasmissione della fede. Ancora una volta Benedetto XVI si è speso senza risparmio per mostrare la continuità e la vitalità sempre nuova della tradizione cristiana
di Giovanni Maria Vian
Il viaggio in Australia, come già quello negli Stati Uniti, ha contribuito a svelare il vero volto di Benedetto XVI.
Che non è la maschera del grande inquisitore freddo e retrogrado da sempre impostagli dai media, ma il viso gentile, e capace di stupirsi quasi fosse un bambino, del teologo pastore attento e sollecito.
Cioè di un intellettuale che sempre ha voluto e saputo spiegare, da vero Pastore, i fondamenti della fede cristiana: già quando era docente universitario, poi come vescovo, quindi come custode della dottrina cattolica, in quanto responsabile dell’organismo romano prepostovi e principale consigliere teologico di Giovanni Paolo II, e infine ora come successore del Papa polacco, al quale dagli stessi media viene anche contrapposto, in modo scopertamente strumentale.
Rivolgendosi in primo luogo ai fedeli, ma poi a quanti sono lontani, con un linguaggio e un pensiero chiari e coerenti; grazie a discorsi che soltanto in minima parte vengono ripresi da televisioni, radio e organi di stampa, e che invece per la loro ricchezza vale la pena leggere. E anche questa volta il bilancio del viaggio è positivo.
La riuscita dei viaggi di Benedetto XVI – come già di quelli del cardinale Ratzinger in quanto prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, con una scelta senza precedenti che portò in diversi continenti lui e il segretario del dicastero, l’arcivescovo Tarcisio Bertone, ora suo segretario di Stato – si spiega innanzitutto con la loro accurata preparazione.
Che questa volta ha coinvolto non soltanto i cattolici australiani ma ha mobilitato la Chiesa su scala planetaria per la celebrazione della Giornata mondiale della gioventù. Un’impresa ovviamente non facile, ma anch’essa riuscita, grazie al consueto generoso impegno del Pontificio Consiglio per i Laici, e con la partecipazione di molte centinaia di vescovi, preti e religiosi che hanno incontrato miriadi di ragazze e ragazzi arrivati da ogni parte del mondo, davvero «sino ai confini della terra», secondo l’espressione biblica ricorrente nei giorni di Sydney. Fondamentale per la riuscita del viaggio sono poi stati l’appoggio dell’arcivescovo della metropoli, il cardinale George Pell, e il largo sostegno del governo australiano guidato da Kevin Rudd, intervenuto due volte, con un calore non protocollare, ad accogliere il Papa e i giovani pellegrini; e che ha voluto sigillare la conclusione della visita papale con la nomina del primo ambasciatore residente presso la Santa Sede, Tim Fischer, esponente di primo piano dell’opposizione, con un esempio davvero impeccabile di scelta bipartisan.
In questa cornice, predisposta come si è detto grazie a un’eccellente preparazione, Benedetto XVI ha subito affrontato – sin dall’incontro in aereo con i giornalisti, come già aveva fatto volando negli Stati Uniti – i temi più urgenti dell’agenda australiana: la questione dell’ambiente, la presenza delle popolazioni aborigene, lo scandalo degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica, ma soprattutto la desertificazione spirituale.
Come si vede, temi che oltrepassano largamente i confini del continente “nuovissimo”, in un appuntamento davvero globale, e che sono stati l’occasione per il Papa di ripetere con mite e chiara fermezza che il mondo contemporaneo ha sete di Dio e che dunque è vera la risposta offerta a ogni essere umano da Cristo e dalla sua Chiesa. Il lungo e impegnativo viaggio australiano – un avvenimento definito “storico” dal rabbino Jeremy Lawrence – e la Giornata mondiale della gioventù si sono dunque rivelati importanti, di certo non manifestazioni isolate e spettacolari.
E Benedetto XVI nel corpus dei discorsi australiani ha voluto costantemente andare al cuore delle questioni, sin dal primo giorno.
E se subito nel primo giorno ha collocato il significato della sua visita a un’Australia impegnata in uno sforzo per purificare la propria storia – il premier Rudd aveva più volte nei mesi scorsi ammesso le colpe nei confronti delle popolazioni aborigene –, nella seconda giornata della visita è tornato a rivolgere lo sguardo all’unico Signore, incontrando i rappresentanti delle confessioni cristiane, quelli di altre religioni e una comunità di recupero. Non a caso nel giorno in cui una emozionante Via Crucis, una riuscita sacra rappresentazione moderna, ha percorso il centro di Sydney. Al centro il Papa ha posto Cristo e il suo significato. Per i rapporti tra le diverse Chiese e confessioni cristiane, innanzitutto. Richiamandosi alla franchezza degli australiani, Benedetto XVI ne ha sottolineato l’importanza per fare avanzare il movimento ecumenico: riconoscendo il fondamento del battesimo comune, ma mirando più in alto, alla comune celebrazione eucaristica.
Nella consapevolezza che l’ecumenismo è però giunto a un “punto critico” e che la dottrina non può essere considerata un ostacolo nel progresso ecumenico.
La centralità di Cristo è stata apertamente evocata dal Papa anche nel cordialissimo incontro con i rappresentanti di diverse religioni, nel quadro della libertà religiosa e in una «armoniosa correlazione tra religione e vita pubblica», tanto più importante quanto più si tende a presentare – come avviene aggressivamente in molte società occidentali – la religione come causa di divisione. Le religioni possono infatti procedere insieme, soprattutto nel campo dell’educazione, insegnando sobrietà e attenzione alla dimensione spirituale.
Gesù è infine tornato nel discorso ai giovani di una comunità di Sydney: è infatti Cristo – origine di ogni realtà, da Lui creata e dunque buona – a volere la vita. Che non si può ottenere adorando “altri dei”, identificati da Benedetto XVI nei beni materiali, nell’amore possessivo e nel potere: tutte realtà buone, ma che non vanno adorate come idoli.
Attento ai segni, nella messa per la consacrazione del nuovo altare della Cattedrale di Sydney concelebrata con i vescovi, il Papa ha auspicato l’inizio di una nuova edificazione della Chiesa australiana, e nella veglia con i giovani ha chiesto di aprire il cuore allo Spirito Santo, centro della Giornata mondiale della gioventù. Come il nuovo altare, sul quale spicca un originale bassorilievo ispirato all’immagine sindonica, anche i cristiani sono consacrati: cioè messi a parte del Regno di Dio – ha sottolineato il vescovo di Roma – in un mondo che vorrebbe invece mettere Dio da parte. Ma la consacrazione dei cristiani è esigente, e per questo Benedetto XVI ha ancora una volta espresso vergogna e dispiacere per i casi di abusi sessuali su minori; con un dolore e una forza che non lasciano spazio a dubbi sul suo atteggiamento, e facendo seguire alle sue parole, come già negli Stati Uniti, un incontro con alcune vittime, svoltosi con comprensibile discrezione. E allo Spirito Santo, «in vari modi la persona dimenticata della Santissima Trinità», il Papa ha dedicato, in parte sulla traccia di sant’Agostino, la lunga meditazione svolta durante la veglia con i giovani. Sottolineando a loro – ma parlando a tutta la Chiesa – che lo Spirito di Dio è nella vita di ogni essere umano e attira a ciò che è reale, a ciò che è durevole, a ciò che è vero. Oltre i limiti di tutto quello che passa, ben al di là della follia consumista.
Al cuore del più lungo viaggio del suo pontificato è stata dunque la trasmissione della fede. Ancora una volta, insomma, Benedetto XVI si è speso senza risparmio per mostrare la continuità e la vitalità sempre nuova della tradizione cristiana, nel panorama di un “deserto spirituale” che si va allargando.
Alle centinaia di migliaia di giovani riuniti a Sydney – e attraverso di loro a tutta la Chiesa – il Papa ha posto domande radicali: «State vivendo le vostre vite in modo da fare spazio allo Spirito in mezzo a un mondo che vuole dimenticare Dio, o addirittura rigettarlo in nome di un falso concetto di libertà?». Fiducioso che molti risponderanno positivamente, per costruire «un mondo in cui la vita sia accolta, rispettata e curata». Tra i cristiani, ma anche tra moltissimi credenti e non credenti.
© Copyright 30Giorni, luglio 2008
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