8 agosto 2008

Don Carlo D'Imporzano: "La mia prima messa a Pechino". Come cambia la Chiesa in Cina? (Il Sussidiario)


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TESTIMONIANZA/ La mia prima messa a Pechino. Come cambia la Chiesa in Cina?

Int. a Carlo d'Imporzano

Domenica 27 luglio un prete cattolico italiano è tornato a celebrare ufficialmente messa a Pechino, nella chiesa dedicata a San Giuseppe, in lingua italiana e spagnola. Altri due sacerdoti stranieri celebreranno messe di rito cattolico in altrettante chiese di Pechino: la cattedrale del sud e quella del nord. Le lingue utilizzate per le liturgie saranno tedesco, francese e coreano.
Don Carlo D'Imporzano, fondatore di Monserrate, Ong per il dialogo tra le culture e i popoli presente in tutti i continenti, è il sacerdote che ha avuto la grande occasione di tornare a officiare la messa nella capitale cinese. Ha raccontato a ilsussidiario.net la sua straordinaria esperienza.

Don Carlo, perché celebrare ufficialmente una messa a Pechino può risultare un avvenimento così tanto “rivoluzionario”?

Partiamo da un fatto: dopo circa 60 anni un sacerdote straniero può celebrare nella Chiesa più centrale di Pechino, a 800 metri dalla Piazza Tian An Men e a circa un chilometro dalla residenza del Premier Hu Jintao. A noi sembra un fatto di relativa importanza, mentre nella mentalità cinese è un episodio assolutamente straordinario.

Può aiutarci a capire meglio la portata eccezionale di questo evento?

Pechino è sempre stata la città dell’Imperatore, dove dimoravano solo i suoi fedelissimi. A Pechino vivevano solo la corte e i cortigiani, diremmo noi occidentali. Un atteggiamento civico rimasto inalterato più o meno fino a oggi. Parlando un giorno, ad esempio, con un importante funzionario del Ministero degli Esteri riguardo ad alcuni fenomeni di critica al Governo, questi mi disse scandalizzato: «Pensa, chi diceva queste cose era uno di Pechino!».
Possiamo quindi ben capire che dare il pulpito a un sacerdote straniero nel cuore di Pechino è certamente un fatto la cui straordinarietà si comprende appieno solo attraverso un'immedesimazione con la mentalità cinese.

Quali sono, secondo lei, i principali fattori che hanno permesso una simile svolta?

A me sembra che la prima parola sia “fiducia”. Grazie ai rapporti sviluppati in quest'ultimo decennio si è creato un clima di fiducia reciproca per cui si possono anche rischiare gesti in altri periodi impensabili. Si dà credito alla Chiesa e ai suoi rappresentanti di volere un rapporto sincero, costruttivo e positivo.
La seconda parola è “collaborazione”. Si è riconosciuto che ciascuno, nel proprio ambito e nel rispetto della propria identità e autonomia, cerca il bene comune. Da parte delle autorità si è capito che la Chiesa non è uno stato straniero, per di più occidentale, che vuole distruggere la Cina. Si riconosce, da parte di alcuni, che la Chiesa è un bene per i cinesi e per la Cina e che in questo momento è utile avere buoni rapporti. In ogni caso spira un nuovo vento da Oriente.

Quindi non si tratta solo di un'eccezione, ma di un vero e proprio segnale dei tempi che cambiano…

Si sta aprendo un nuovo scenario nei rapporti fra Cina e Santa Sede. Da entrambe le parti c’è chi mette in guardia da rischi, pericoli. Alcuni mostrano resistenza e difficoltà nel riconoscere come la storia stia camminando, ma ci sono dei processi storici che diventano ineluttabili. L’impero romano fece la pace costantiniana. Fu calcolo o convinzione? Tattica o scelta politica? Se ne può discutere a lungo, resta però il fatto che questa scelta diede libertà alla Chiesa. Eppure, pochi anni prima, l’impero aveva perpetrato violente persecuzioni contro i cristiani.
La storia non si ripete mai, però certe esperienze storiche illuminano. In quel tempo, come oggi, il compito della Chiesa non era né distruggere né salvare l’impero romano, ma annunciare Cristo Risorto, salvezza di ogni uomo e del mondo. Per questo i cristiani furono sempre una grande ricchezza e un bene per l’impero, che rimase sempre un impero ateo, contrariamente all’impero romano d’Oriente. La storia ha dimostrato, nel tempo, che fu grazie alla Chiesa di Roma, alla Chiesa latina che anche l’eredità positiva dell’impero romano si è potuta salvare e diffondere in tutto il mondo fino a oggi.

E oggi in quale situazione versa la Chiesa in Cina?

È la grande inascoltata da noi in Occidente, con una storia così diversa e apparentemente lontana da noi, che è difficile capirla. Dovremmo forse osservarla di più e cercare di immedesimarci in lei per saperla ascoltare. Non dobbiamo applicare nostri schemi preconcetti a una storia culturalmente così diversa nella struttura del pensiero e del modo di sentire.
La Chiesa è una in Cina con tutta la sua storia di santità e martirio. È quanto ha detto chiaramente il Papa nella sua lettera ai cattolici cinesi. Ci sono stati momenti storici, in cui aderenti, anche di spicco, alla cosiddetta Chiesa ufficiale e appartenenti alla Chiesa clandestina si sono incontrati nei campi di rieducazione o in carcere. La Cina è così: mentre accoglie con tutti gli onori i Gesuiti a corte a Pechino, perseguita i cristiani in una provincia periferica.
È una Chiesa che ha tante piaghe da curare e rimarginare, ma è anche una Chiesa da ammirare, rimasta fedele nel tempo anche a costo del martirio. Pensiamo ai santi martiri della rivolta dei Boxers, solo per citare un caso eminente della storia di martirio che ha accompagnato questa Chiesa nei secoli della sua esistenza. Ma è anche una Chiesa giovane, che si sta riformando profondamente e si trova in una grande fase di crescita, anche numerica. Sono moltissime infatti le conversioni.

Che cosa ha significato per lei, un sacerdote straniero, poter celebrare la messa dopo così tanti anni di divieti e proibizioni?

Innanzitutto un grande senso di umiliazione. Pensavo a quante lacrime, quanti dolori il calice consacrato ha raccolto qui in questi anni. Quante speranze, quante domande a Dio che ha sostenuto chi celebrava ed i fedeli tutti. E io chi sono, pensavo, perché possa essere reso partecipe di questo? E insieme avevo una profonda domanda di poter servire questa Chiesa e offrire la vita perché sia sempre più presente la gloria umana di Cristo in questo Paese.
A questo si aggiunge la coscienza chiara di essere nell’alba di una nuova era. Da qui se ne vedono i primi riflessi di luce. Come quel piccolo rigonfiamento nel ramo che precede l’apparire della gemma, si vede un nuovo momento storico e la Chiesa, la “Straniera”, come dice Elliot, che sebbene piccola e insignificante (10 milioni su un miliardo e cinquecento milioni di uomini) è il nuovo virgulto del mondo degli anni 2000.

A suo avviso che cosa è più urgente e che cosa si deve sperare perché si realizzi un autentico cambiamento?

Che si rimetta Cristo nel cuore dell’uomo e che la nuova creatura che nasce generi umanamente una nuova famiglia, non più confuciana, ma che compia l’aspirazione della famiglia confuciana, di unità eterna, totale, cui ogni uomo aspira. La Chiesa è il compimento della storia e della cultura cinese la quale anela a tanti valori e aspirazioni sorprendentemente vicini alla sensibilità cattolica. Valori che sono lì e aspettano solo di trovare il loro totale compimento umano.
Che questo nuovo cuore palpiti è speranza per tutta la Cina e, oserei dire, anche per tutta la Chiesa. Occorre che torniamo a respirare con due polmoni, dell’Occidente e dell’Oriente, diceva Giovanni Paolo II, ma forse in questo secolo dobbiamo respirare un’aria che viene dall’Asia.
È il secolo dell’Asia, come profeticamente disse il Papa. Del resto è già così nel campo dell’economia, e lo sarà presto anche per la scienza e per l’esperienza umana. Perché questo modo di vivere e di lavorare determinerà profondamente la nostra vita occidentale. Non fu forse così per la rivoluzione industriale? Oggi siamo alle soglie di un’analoga rivoluzione. Chiediamo a Dio di sapere rispondere da cattolici alla chiamata che questa realtà storica emergente ci fa.

© Copyright Il Sussidiario, 8 agosto 2008 consultabile online anche qui.

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