19 agosto 2008

Il superamento del razzismo, una delle maggiori conquiste (Albanese)


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IL SUPERAMENTO DEL RAZZISMO UNA DELLE MAGGIORI CONQUISTE

GIULIO ALBANESE

A proposito delle recenti sinto­nie e dissonanze rispetto alla
vexata questio dell’accoglienza nei confronti degli immigrati, domenica scorsa mi ha particolarmente colpi­to l’esplicito riferimento, da parte di Benedetto XVI durante la recita del­l’angelus, «all’universalità della mis­sione della Chiesa, costituita da po­poli di ogni razza e cultura. Proprio da qui proviene la grande responsa­bilità della comunità ecclesiale, chia­mata ad essere casa ospitale per tut­ti, segno e strumento di comunione per l’intera famiglia umana».
L’inse­gnamento magisteriale del Pontefi­ce, ispirato dalla Parola forte di Dio, rimette, per così dire, le cose al pro­prio ordine, preservandoci dalle de­rive xenofobe che aleggiano nella no­stra società contemporanea, supe­rando «ogni possibile tentazione di razzismo, di intolleranza e di esclu­sione » e riaffermando l’urgenza di organizzarsi adeguatamente «con scelte rispettose della dignità di ogni essere umano!». Non v’è dubbio in­fatti, come ha affermato il Papa, che «una delle grandi conquiste dell’u­manità è proprio il superamento del razzismo. Purtroppo, però, di esso si registrano in diversi Paesi nuove ma­nifestazioni preoccupanti, legate spesso a problemi sociali ed econo­mici, che tuttavia mai possono giu­stificare il disprezzo e la discrimina­zione razziale». Un discorso inattac­cabile, dunque, che riafferma la grammatica sociale della Chiesa ri­spetto alla tentazione, sempre in ag­guato, di riabilitare il razzismo come reazione a comportamenti devianti e a minacce reali o presunte.
Il rischio infatti è che nell’immagi­nario nostrano, saltando i meccani­smi d’interdizione contro ogni forma di discriminazione sociale, il razzi­smo diventi una pratica non più cen­surabile, assumendo i lineamenti di un 'nuovo ordine'. Il tema è davve­ro scottante soprattutto in riferi­mento al bisogno – anch’esso urgen­te – di legalità (è di ieri la notizia del­l’arresto per terrorismo dell’imam di Varese); ma proprio per questa ra­gione va dibattuto, anche nelle sedi istituzionali, nel pieno rispetto della dignità umana, scongiurando sem­pre e comunque il pericolo di mette­re a repentaglio le fondamenta stes­se della convivenza civile.
L’impegno per la solidarietà verso i poveri costituisce, insomma, il no­stro primo dovere come cristiani es­sendo parte integrante di quella illu­minata scelta antropologica che af­ferma il primato dell’uomo creato ad immagine somiglianza di Dio. Come peraltro evidenziato dalla Commis­sione Giustizia e Pace della Confe­renza degli Istituti missionari italia­ni (Cimi) è davvero preoccupante «l’emarginazione di tante persone e famiglie, dentro e fuori il nostro Pae­se, e questa deve essere posta in ci­ma all’agenda politica nazionale». Non è un caso se in questi giorni si è molto discusso sulle misure anti-ac­cattonaggio adottate da diverse am­ministrazioni comunali. Sulla que­stione è intervenuto anche il cardi­nale Renato Raffaele Martino, presi­dente del Pontificio Consiglio Giu­stizia e Pace, criticando con forza la scelta di combattere chi chiede l’e­lemosina. Non foss’altro perché «è la povertà che bisogna eliminare e non chi è costretto dalla povertà a so­pravvivere », varcando peraltro la so­glia cruciale della tolleranza, col ri­schio d’innescare processi degene­rativi, non più governabili.
D’altronde l’accoglienza, da un punto di vista evangelico, non può essere intesa come debolezza del­l’animo o fraintesa con certo buo­nismo, essendo espressione fattiva, oltre che della imprescindibile ca­rità evangelica, anche della giustizia tout court.

© Copyright Avvenire, 19 agosto 2008

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