17 ottobre 2008

Mamma, ho perso l’arca: L’archeologia biblica, i ritorni della nouvelle theologie e le indagini di Corrado Augias (Respinti)


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Su segnalazione di Alessia leggiamo questo "gustoso" articolo :-)
R.

Mamma, ho perso l’arca

L’archeologia biblica, i ritorni della nouvelle theologie e le indagini di Corrado Augias. Dire, fare, baciare, lettera e testamento (antico e nuovo): credere a Gesù è proprio una penitenza

di Marco Respinti

Un pomeriggio tardi, nella Londra di diversi anni fa, ho sorbito il proverbiale tè in compagnia di una colta signora, non inglese, che, divertita, raccontò di come un dì avesse scandalizzato di proposito e di brutto un gruppetto di pii cattolici “di base” dicendo loro, improvvisamente, che si facessero poche illusioni giacché nemmeno la mamma e il papà (putativo) di Gesù si erano sposati in chiesa...
Ecco, il nuovo libro di Corrado Augias, Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione (Mondadori, Milano, pp.276, E18,50), una lunga intervista allo storico Remo Cacitti, assomiglia molto alla boutade della raffinata signora di quella serata londinese. Seguendo il filo d’Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo (Mondadori, 2006), una lunga intervista allo storico Mauro Pesce, il noto giornalista tivù finge di essere nato ieri.
Mostra, infatti, e “dimostra” che il cristianesimo ha ben poco a che fare con Cristo, insomma che tutto è parto di orditi successivi, di trame imperiali, di architetture ecclesiastiche, persino di un buon numero di persone in malafede, inquisitori e simili.
Sorretto da Cacitti, Augias ripercorre alcuni dei temi resi malamente popolari da Il Codice Da Vinci (ma con un distacco razionalistico ignoto a quel libro) gettandosi nella selva oscura dell’annoso dibattito fra il “Gesù della fede” e il “Gesù storico”, quello dove ogni tanto sbuca pure un “Gesù dei Vangeli” che mai si capisce se sia un terzo nuovo incomodo oppure solo uno dei precedenti con panni nuovi.

Santa profanità

Bigino di ripasso. Fino al secolo XVIII la veridicità anche storica dei testi evangelici non era mai stata in dubbio; poi però anche Matteo, Marco e Luca (Giovanni un po’ meno) sono caduti nella rete del criticismo positivista e così, con buona pace di Giuseppe Flavio (lo storico ebreo romanizzato che per primo offrì al mondo oggettive testimonianze extra-evangeliche sull’esistenza storica di Gesù), il Messia è diventato una favola, un elfo qualsiasi. Epperò, siccome chi di storia ferisce di storia perisce, è andata a finire che l’universitas dello scibile umano si è arricchita pure di quella disciplina pregevole che è l’archeologia biblica, ivi compresa quella di ambito strettamente neotestamentario, e le due con i loro annessi e i loro connessi, ovvero certe fini indagini e talune ricche ricostruzioni svolte in campo politico, sociologico, letterario, geografico e che più ne ha più ne metta, tutte relative ai tempi del Messia, ai tempi subito a lui precedenti, nonché a quelli immediatamente seguenti, con l’ultimo degli Atti degli Apostoli concludendosi la rivelazione e detto campo di ricognizione “profana”.
Ne è risultato questo: a Gesù vero Dio si potrà pure non credere (liberissimo ognuno di farlo), ma del Gesù vero uomo vi è prova e riprova. A questo punto, l’antico criticismo di stampo ottocentesco si è sentito in dovere di cambiar rotta. Non dice più che Gesù non è storicamente esistito: dice che quello esistito è diverso da quello narrato (da preti e suore, ovvio).

Cavalli morti

Del resto, anche un buon numero di teologi, colti da nouvelle vague, si è messo a ragionar cosi e così qualcuno si è cacciato nei pasticci. Già, perché uno resta sempre libero di non credere al cristianesimo, ci mancherebbe, ma certo non può chiedere al cristianesimo di non credere a se stesso. Se cioè uno a Cristo non ci crede amen, epperò non puo domandare al Messia di essere diverso da com’è. Anche l’ateo più incallito converrà infatti che è buona creanza lasciare alla Chiesa universale almeno la sovranità dottrinale sul credo che le è proprio. Roma locuta, dunque, causa finita; esistono certamente ancora teologi “nuovi” che insistono, ma è acqua passata.
Eppure Augias e Cacitti riprendono oggi (come dicono gl’inglesi) a frustare il cavallo morto della “diversità stridente” fra i vari Gesù per annunciare finalmente al mondo che, udite udite, lì in mezzo qualcuno ciurla nel manico.

Per esempio “Ratzinger”, ovvero Sua Santità Papa Benedetto XVI, che agli occhi di Augias-Cacitti è colpevole autore di un’opera, Gesù di Nazareth (Rizzoli, Milano 2007), di tipo “restauratorio” (?) e per di più diretta contro il Concilio Ecumenico Vaticano II (?) in cui il Cristo dottrinale raccontato non è mica quello storico vero, è d’accordo anche il cardinale Carlo Martini. Indossata la tiara, Augias-Cacitti prende insomma a insegnare il mestiere a un pontefice, il felicemente regnante, giudicato troppo spirituale per il trend del neocricitismo storicistico attuale, quello augias-cacittiano.

Ma il punto non è questo. A noi, in realtà, interessa qui poco del cristianesimo e del Papa. Interessa invece molto, moltissimo una questione che si potrebbe definire di metodo in un tempo, qual è il nostro, che si crede illuminato mentre invece brancola nel buio come un cieco senza guida; volendo citare T.S. Eliot, lo si definirebbe un tempo che avanza progressivamente all’indietro. Anzi è un tempo persino superstizioso, dal momento che la cultura che lo domina è in gran parte la sopravvivenza di credenze infondate, già sfatate a dovere ma pur sempre dure a morire (i medioevali credevano che la Terra fosse piatta, l’“anello mancante”, e bla, bla, bla).

Dentro l’happy hour

Crediamo insomma di sapere un mucchio di cose che invece ignoriamo e ne misconosciamo un numero cospicuo di altre che invece dovremmo ricordare. Questo perché quanto la scienza accerta raramente trova spazio nelle opere divulgative, anche alte, e quasi mai vede la strada che giunge ai banchi di scuola. Così, si vive la vita in base a luoghi comuni scambiati per conoscenze specialistiche e alla fine ci si dona mente e corpo alla moda intellettuale del momento, Gesù è un mito oppure Gesù è esistito ma mica come detta il catechismo.
Tutto molto ganzo. Finché regge, però. Perché a un certo punto la sete torna, imperiosa. Il positivismo spacciato in saldo dall’ultimo best-seller di grido fa infatti fare un figurone al ristorante, ma alla lunga secca la gola
. Al bar del momento entriamo allora spavaldi e ordiniamo subito le bollicine, meglio se colorate. Non crediamo per carità, ai caleidoscopici effetti che esse generano rifrangendo in mille modi la luce dei neon davanti ai nostri occhi, però ci piace trastullarci con le coccole che il loro effetto altamente anestetico provoca sulla nostra arsura almeno per un attimo magico che vale illusione di eternità.

Una sbornia, insomma; o meglio una canna, a cavalcioni della quale iniziamo un viaggio astrale. E così l’Arca dell’Alleanza la inseguiamo solo se al cinema danno Indiana Jones, il Santo Graal lo cerchiamo solo se con noi viene anche Dan Brown e due pensierini su quel tale morto crocifisso che qualcuno dice essere pure risorto li mettiamo in fila solo perché non è che all’happy hour, vestito il cashmirino, possiamo confessare di non esserci ancora concessi l’ultimo Augias-Cacitti
Occorrerebbe disintossicarsi, ma come la mettiamo, diamine, con il fatto che Maria e Giuseppe non si sono sposati in chiesa?

© Copyright Il Domenicale, 17 ottobre 2008 consultabile online anche qui.

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